Nome d’arte Tallulah

Difficile dire qualcosa di sensato su Stefano Tallulah Pieralli che, poco fa, ci ha lasciati.

Difficile perché Stefano ha fatto davvero tanto. Nello sconforto della perdita, ho provato a leggere i commenti sui social che, pur avendo postato la notizia da poche ore, sono già moltissimi. Alcuni mi fanno tornare alla mente tanti episodi di un’amicizia pluridecennale. Altri, per fortuna uno o due, avrebbero dovuto collegare i neuroni prima scrivere.

Stefano ha fatto tutto e anche disfatto tutto ma, come sa chi lo conosceva bene, “conteneva moltitudini”.
In 40 anni di attivismo ha contribuito a fondare l’Arcigay e a criticarla aspramente; ci sono foto che testimoniano di un ragazzino biondo e riccioluto che partecipava alle prime attività del Cassero. Irriconoscibile se non per la tipica smorfia di quando si accendeva una sigaretta, rimasta intatta per i successivi 40 anni. Tra i fondatori di Arcigay a Reggio Emilia, che gli varrà il secondo nome d’arte di Granduchessa. L’unico circolo che, ancora oggi, riteneva degno della sua idea di associazionismo militante, politico ma poco o per niente ideologico, anzi, molto concreto.

Una concretezza che lo ha portato da subito allo scontro con quel sistema sociale che voleva i gay tristi e sfigati, mentre Stefano tutto era tranne che triste e sicuramente non sfigato. Rompere gli schemi, diceva ogni tanto, lo stesso pensiero che porta il giovane Pieralli a travestirsi e a battere il marciapiede (ma gratis, facendo incazzare le professioniste e rischiando anche le botte in un paio di occasioni), o ad appostarsi nei pressi delle caserme per adescare i militari che, del resto, non vedevano l’ora secondo le cronache dell’epoca. Ancora fino pochi mesi fa, il tema della riappropriazione del piacere lo vedeva fervido sostenitore, insieme all’altro pilastro di Plus, Giulio Maria Corbelli, scomparso pochi mesi or sono.

Stefano è stato dirigente del PCI, qualcuno lo ricorda online, ma ha sempre rifiutato proposte di carriera politica legate al suo orientamento sessuale, “io non faccio il gay del partito”. Tutti ricordano i racconti di Frattochie, dell’esperienza in URSS, ecc. Stefano era una delle poche persone del movimento con una chiara visione politica e ancor più chiara capacità di analisi dei quadri politici che si sono succeduti negli anni, per tacere dell’invidiabile capacità di inquadrare al volo le persone. Quante volte mi sono sentito dire “te l’avevo detto che era un idiota”.
Fra i vari commenti online ho letto “aristocratico”, vero. Un marxista aristocratico con una punta di monarchia illuminata (dalla sua luce ovviamente). Trovatene un altro in grado di contenere queste moltitudini.

Stefano, come scrive nelle righe di presentazione del Direttivo di Plus, lavorava come educatore nelle dipendenze patologiche, quindi riduzione del danno, pene alternative, ecc. Anche li in contro tendenza alla logica dei “poverini”, semmai seguendo la logica del vaffa alternato all’ascolto e alla comprensione. Ho potuto constatare di persona quanto bene gli volessero “i suoi ragazzi” – come li chiamava.

E poi Plus. Da sempre, da prima della fondazione. Fu Stefano a mettermi sotto al naso il bilancio del Cassero – ovviamente gestione di oltre 10 anni fa – e a farmi notare che con una previsione di spesa di pochi euro per il settore salute “non si fa un checkpoint, torna sulla terra”. Non per caso, è stato il MIT a offrirci spazi per i nostri primi test per HIV.

Qualcuno online lo definisce testardo. Non lo conosceva bene o, più facilmente, non era in grado di argomentare al suo livello. Stefano difendeva le sue posizioni che neanche un fante della prima guerra mondiale in trincea. Ma ascoltava, rifletteva e cambiava idea se il confronto era sufficientemente di alto profilo e le motivazioni di pari valore. Di certo non era quello che ti dava ragione per farti contento. La via più facile, una moda diffusa in Italia alla quale possiamo far risalire l’arretratezza in cui versa il nostro Paese, non era il modus operandi di Stefano e, guarda caso, non è neppure quello di Plus, un’associazione che ha fatto scelte in controtendenza, articolate, spesso non semplici, sulle quali Stefano ha avuto un’influenza importante. Un’influenza, un insegnamento, una impostazione che ci ha consentito di reggere colpi durissimi come la morte di Giulio, e che oggi ci mette nelle condizioni di andare avanti nonostante non ci sia più Stefano in Direttivo. Queste cose accadono quando i grandi uomini lasciano grandi insegnamenti in eredità. La strada è li, basta camminarci sopra. Possibilmente su quegli stessi tacchi favolosi indossati da Tallulah, le uniche scarpe sulle quali non zoppicava.

Grazie di tutto, tesoro.

Sandro.