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La seconda giornata della conferenza EACS in corso a Varsavia, inizia con una splendida lettura del dott. Molina, il “papà” della PrEP on demand usata da almeno il 50% degli utenti in PrEP.

Chi meglio di lui poteva impostare una lecture dal titolo “Going beyond HIV and STIs with PrEP and PEP” (Superare l’HIV e le malattie sessualmente trasmissibili con la PrEP e la PEP).

Solo questo incipit è già tutto in programma per il nostro Paese dove ancora c’è chi pensa che chi ha preso HIV è perché se l’è andato a cercare, che chi usa PrEP o PEP è uno che si espone volontariamente a rischi molteplici o si è già esposto ad essi, a seconda della strategia di prevenzione scelta.

Molina, sempre preciso nelle sue relazioni, ci mostra i dati dell’infezione globale del 2022 che danno 39 milioni di persone con HIV, 1,3 milioni di nuove diagnosi. Rispetto al decennio precedente si nota un calo del 32% nelle nuove diagnosi e del 52% nelle morti per AIDS. Ma nell’Europa Orientale e in Asia centrale le nuove diagnosi sono cresciute del 52%. È l’area dove HIV cresce più velocemente nel pianeta, con un’incidenza che supera il 30%. Qualcuno dal salotto di casa propria in Italia starà già pensando chi se ne frega, ma non è così che funziona questa epidemia. Le capitali dell’Est Europa sono a un’ora di volo e se non si affronta questa situazione assurda, in buona parte causata da frequenti atteggiamenti discriminatori, anche noi rischiamo una ripresa dell’infezione.

Molina chiarisce subito che, pur in assenza del vaccino, la prevenzione è possibile e cita gli elementi principali purtroppo iniziando con

  • l’ABC (astinenza, fedeltà, condom); studi osservazionali descrivono un calo dei casi di HIV del 70-90% ma sulla reale possibilità di porre in essere questa strategia ci sono più dubbi che certezze;
  • la circoncisione maschile è accreditata di circa il 60% di riduzione della trasmissione da donna a uomo, ma è molto legata alla tradizione/religione e comunque protegge i maschi ma non le femmine come molte attiviste hanno fatto notare in diverse conferenze internazionali;
  • la strategia della riduzione del danno, in particolare fra gli IDU (Injection Drug Users), per esempio su aghi/siringhe. Efficace ma limitata a un solo gruppo esposto;
  • i farmaci antiretrovirali che si sono dimostrati efficaci nella prevenzione materno-fetale; con la PEP (Profilassi Post Esposizione), con la TASP (trattamento come prevenzione, con la PrEP (Profilassi pre-esposizione).

Negli anni la PrEP si è dimostrata altamente efficace nel prevenire l’infezione negli uomini e nelle donne ed è uno strumento essenziale nella lotta contro HIV, questo scrive Molina… dovrebbe fare un giro di conferenze in Italia.
PrEP è presente ormai in tutte le linee guida, in quelle OMS dal 2015!! Le persone in PrEP in Europa e Asia Centrale sono oltre 200.000 e l’obiettivo di OMS è di arrivare a 500.000 entro il 2025.
Poi passa a descrivere gli studi scientifici a sostegno che vi risparmio anche perché ormai dovrebbero essere noti ai lettori di Plus.

Tuttavia la PrEP come la conosciamo oggi non è priva di problemi, i due principali sono l’aderenza terapeutica e la cosiddetta “retention in care” ossia il restare in PrEP. Sono ormai diversi gli studi che evidenziano problemi degli utenti ad assumere correttamente, in orario, la PrEP. Anche in Italia lo studio ITAPreP ha riscontrato questo problema così come gli studi della coorte Kaiser in USA, o gli stessi studi di Molina in Francia. I motivi sono diversi ma sicuramente lo stigma legato alla sua assunzione gioca ancora un ruolo importante.

Il farmaco Cabotegravir di ViiV usato come PrEP una volta ogni due mesi, potrebbe risolvere questo problema dell’aderenza. È un farmaco iniettivo studiato per il lento rilascio. EMA ne ha approvato da pochissimo la commercializzazione in UE. Per cui ora la palla è nel campo della ViiV e dei rapporti che vorrà tenere con AIFA (rimborsabilità, tempi – che non saranno brevi – ecc.). Stupisce sempre il fatto che in Francia è stato avviato lo studio “Prevenir – CABOPrEP che si propone di arruolare 322 MSM e di mettere a confronto l’attuale PrEP in pillole con quella iniettiva.

Non capirò mai perché in Italia questi studi non vengono né fatti né avallati se richiesti. Da un lato siamo spesso così provinciali da guardare con supponenza gli studi degli altri, dall’altro poco propensi a farne in Italia a meno che non ci sia un primario che decida in tal senso. Secondo me questo è uno dei motivi che ci fanno spesso arrivare ultimi nel porre in essere strategie di prevenzione vincenti. Sembra quasi che si pensi che se qualcuno si contagia, pazienza… alla peggio sono froci (?).

Fra l’altro sul Cab come PrEP non sappiamo proprio tutto e abbiamo risolto tutto, studi sono ancora necessari:

quanto è onerosa l’iniezione – che oltretutto deve essere fatta da personale sanitario – prevista ogni 2 mesi, non c’è ancora chiarezza sui tempi di protezione e della cosiddetta “forgiveness”, le eventuali reazioni nel sito delle iniezioni, il costo del farmaco e l’implementazione.

Sul tema della prevenzione la Francia è un Paese da ammirare perché la PrEP è gratis dal 2016 (in Italia dal 2023 e non ancora disponibile ovunque), i condom sono sovvenzionati dal 2018, la PrEP può essere prescritta anche dal medico generico dal 2021.
Tuttavia la PrEP è ancora poco usata in Francia e buona parte delle nuove infezioni si registrano fra persone non in PrEP per lo più per paura degli effetti collaterali, per un basso livello di percezione del rischio, perché non gli è mai stata offerta, ma c’è anche chi aveva timore di essere giudicato.

Detto questo è anche chiaro che l’elefante nella stanza è il condom: il 71% degli MSM HIV negativi sotto i 24 anni non lo usa nei rapporti anali in Francia e, ovviamente, se il condom non viene usato non funziona. Va da sé che questa strategia non è efficace almeno non come è stata portata avanti fin qui in Francia… figuriamoci da noi dove i condom si pagano, e pure cari. Ma da noi non si fanno questo tipo di studi per cui il problema è già risolto.

Molina segnala anche l’incremento in Francia, ma possiamo dire lo stesso anche da noi, delle infezioni a trasmissione sessuale (IST) fra le persone in PrEP, in particolare fra coloro che hanno molti partner e non usano/usano in parte il condom. Caratteristiche confermate dagli studi portati avanti da Molina dove è emerso che il 39% dei partecipanti producevano l’89% dei casi in IST.

Da qui gli studi sull’uso dell’antibiotico doxiciclina come PEP (200 mg max dopo 72 ore dal rapporto), ovviamente con visite e controlli.
In effetti stiamo parlando di persone che, verosimilmente, avrebbero preso il farmaco perché hanno frequenti diagnosi di IST. Tanto vale che lo assumano come PEP sia pur in casi particolari. Gli studi hanno dato ragione a Molina infatti la riduzione dei contati è evidente soprattutto per clamidia.
Le linee guida internazionali (IAS 2022, EACS 2023) sono possibiliste per gli MSM da valutare caso per caso perché il rischio di resistenze non è ancora stato sufficientemente studiato e non sarebbe corretto essere troppo di manica larga.

Ho partecipato a una sessione relativa al Monkeypox per capire se possiamo mettere la parola fine almeno su questa epidemia. Pare che sia meglio stare ancora attenti.

Mi ha tuttavia fatto piacere ascoltare le belle relazioni di Nicolò Girometti, un ex specializzando del S. Orsola di Bologna che ora lavora al Chelsey and Westmister Hospital e a 56 Dean Street a Londra. Non serve che dica altro!

Pressoché tutti i dati presentati, ormai un po’ datati, evidenziano che la fase acuta dell’epidemia è sicuramente superata, che le persone con HIV con meno di 350 CD4 hanno subito le situazioni peggiori mentre quelli con una situazione immunitaria migliore non hanno avuto particolari problemi, in caso di contagio hanno risolto come tutte le persone senza HIV; sicuramente l’epidemia ha riguardato in maggioranze MSM per vari motivi (di cui abbiamo già scritto in precedenti report), sicuramente è importante tenere alta la guardia perché qua e la ancora qualche caso viene rilevato. Per cui tutti i ricercatori insistono perché il vaccino venga effettuato da tutti gli MSM, in particolare chi vive con HIV, appunto per evitare eventuali “ritorni di fiamma”. Del resto il vaccino è la prevenzione per eccellenza, non ha senso attendere che l’infezione si ripresenti in massa.

Sandro Mattioli
Plus aps

È domenica e giustamente in plenaria ci presentano studi su studi alla ricerca di vaccini o cure.
Con il titolo: Approaches for HIV cure and vaccine research ben due ricercatori hanno cercato di farmi capire a che punto siamo con le ricerche sia per il vaccino sia per la cura, tema molto complesso o almeno lo è per un paziente come me. In realtà gli studi per cura e vaccino sono interconnessi sotto molti aspetti e hanno sicuramente un aspetto fondamentale in comune: siamo lontani dal successo. A seconda delle aree di ricerca, siamo ancora nell’ambito di studi sugli animali, di ricerca di strategie, di target da colpire, maybe o could be sono le parole più spesso usate. Quindi mettiamoci il cuore in pace, la strada è ancora lunga.
Detto questo la ricerca sta proseguendo su una area di azione che è stata illustrata, in particolare, da Thomas Rasmussen, Aarhus University Hospital in Danimarca.

Il ricercatore ha fatto una vasta disamina delle nostre speranze attuali, ossia sui vari strumenti che la ricerca sta valutando, studiando e sperimentando: dagli anticorpi neutralizzanti (bNAb), ai recettori antagonisti, dai vaccini terapeutici agli immunomodulatori alle citochine e così via.

Certamente ci sono speranze, l’area di ricerca è molto ampia, complessa e – presumo – costosa se devo dare retta alla bacchettata di Rasmussen alla UE accusata di investire molto meno degli USA in ricerca. Ma è altrettanto vero che dopo 40 anni di ricerca siamo ancora lontani da un risultato che possa guarire qualcuno.
Gli studi su immunoterapie su modelli animali sembrano promettenti e si spera bene per gli studi sugli umani;
l’uso di bNAb all’inizio della terapia antiretrovirale può incrementare l’attività delle cellule T e forse portare a controllare l’infezione senza terapia;
si ipotizza che la immunoterapia possa colpire i reservoir all’inizio del trattamento antiretrovirale (o durante), cosa che potrebbe modificare il corso dell’infezione da HIV e così via.

È poco probabile che si arrivi in tempi brevi a qualcosa che porti alla completa eradicazione di HIV dai nostri corpi, ma tutte queste aree di analisi e ricerca sono parte di un quadro molto ampio ossia sono alcuni degli approcci possibili e testabili per giungere a una cura contro HIV. Come dire se questo non funziona proviamo quello, scusate l’estrema sintesi, resta il fatto che sono passati 40 anni e ancora siamo ai tentativi. Ammetto che sono un po’ infastidito e condivido in pieno il parere del dott. Rasmussen: gli enti pubblici, UE in particolare, devono investire più fondi in ricerca. Forse vale la pena ricordare che i morti per cause aids correlate sfiorano il milione.

Nel pomeriggio devo ammettere che ho saltato qualche sessione perché, grazie soprattutto a Salvio che è qui con me, ho saputo che il Canada, o quantomeno il Quebec, offre il vaccino contro il vaiolo a chiunque lo chieda purché esposto al rischio. Anche se a 5 anni credo di essere stato vaccinato contro il vaiolo, considerando che è passato più di mezzo secolo, ho pensato di farlo.

Quindi sono andato in uno dei quattro centri vaccinali, il più vicino. Una signora mi ha chiesto se ero a rischio e mi ha messo sotto al naso un elenco di gruppi esposti… io sono dentro a 2/3 dei gruppi. La signora ha sorriso e mi porta a un tablet dove inizia a mettere dentro i miei dati. “Lei ha più di 18 anni direi” – mi dice – “Esatto, 18 e sei mesi” confermo. Credo che sia ancora la che ride. Con il tablet mi prende un appuntamento “fake” per le 19,15 (sono andato alle 12,15), poi passa a un’altra signora che sbriga la parte amministrativa, stampa un foglio e una etichetta, fa un cenno a un ragazzino nero coi capelli gialli che mi accompagna al punto vaccinale nr. 1, che poi è una delle scrivanie in un ampio open space, pieno di scrivanie dove siedono infermieri (toh? Non medici a vaccinare). Il mio nurse ha due braccia grosse come le mie cosce, mi fa le domande di rito (segni del contagio, contatto con un contagiato, allergie, ecc.). Mi dice che probabilmente a 5 anni sono già stato vaccinato ma un richiamo male non fa, mi spiega che mi inietta il vaccino per smallpox ma che è efficace anche contro monkeypox. Si raccomanda di evitare di espormi per questa settimana e mi spiega che il vaccino non evita sempre il contagio, ma che nel caso l’infezione sarà più “mild” e mima l’infezione mild abbassando il braccione verso la cosciona. “Ready?”. Manco riesco a dire yes che mi ha già forato (mano leggerissima). Aspetto una mezzoretta eventuali reazioni allergiche esco e vado nel village perché c’è il wi-fi (come mi ha spiegato il mio nurse…. Chiaramente della famiglia). Chiamo un Uber (evidentemente qui i tassisti non hanno bloccato Montreal) e torno alla conferenza in tempo per la sessione sul chem.

La sessione sul chem è al Global, room 1, immersa in un tripudio di musiche e microfoni che si sovrappongono. Ci sono tre relazioni, ma la più interessante è quella dell’attivista del NSW (Nuovo Galles del Sud). Non per caso vedo che usa un “nuovo” acronimo per la comunità: GBMSM. Inizia illustrando la situazione del NSW: è lo stato più popoloso dell’Australia, l’uso di sostanze è criminalizzato ma almeno c’è la riduzione del rischio, rispetto ai tre nuovi obiettivi di UNAIDS (95, 95, 95) loro veleggiano su 95, 95, 91, registrano un decremento dei casi di HIV nella comunità, ma un aumento di casi fra immigrati gay, la PrEP è sovvenzionata e usata soprattutto dagli GBMSM. Con la sua associazione, ACON, si sono inventati un programma, denominato M3THOD. Non prevede cose particolarmente innovative (riduzione del rischio personalizzata, sostituzione siringhe, supporto e counselling sulle sostanze, ecc.) ma il servizio è offerto in modo furbo. Bigliettini dotati di QRCode con un enorme “PNP?” sopra (che sta per party and play) con il codice il potenziale utente raggiunge le info sui servizi e di solito viene agganciato. Niente di particolarmente complicato ma funzionale.

L’Australia è molto più avanti di noi sotto molti punti di vista. Lo stato Vittoria ha pagato quasi 10 anni fa una serie internet interamente gay dove, fra le altre cose, si parlava di Pep, di comunicazione del proprio stato sierologico, di sesso con persona con HIV, ecc. Noi ancora le stiamo ipotizzando. Un impegno pluriennale che sta portando evidenti risultati. Purtroppo in Italia il gap culturale (che potremmo tranquillamente definire ignoranza), porta politici e amministratori a non investire in prevenzione i cui risultati si vedono dopo anni… sicuramente più di una legislatura. Preferiscono dimostrare di spendere soldi per le terapie, gli esami ecc. che danno risultati quantificabili e in brevissimo tempo, salvo il fatto che la gente continua a contagiarsi. Avete presente la via facile e quella articolata?

Nell’ultima plenaria della giornata si è parlato di long-acting PrEP. Attualmente risultano in PrEP 2,7 milioni di persone. La gran parte negli USA, UK e Francia ossia molto al di sotto degli obiettivi dati.

Come se non bastasse, dalle statistiche risultano problemi di aderenza e interruzione del trattamento nella PrEP giornaliera sicuramente per il costo, ma anche per motivi odiosi come discriminazione, eccessivo numero di visite, ecc.

Sono allo studio numerose soluzioni alternative che vanno nella direzione del long-acting, quelle più vicine all’uscita in commercio sono sicuramente l’anello vaginale e le iniezioni intramuscolari.

La relatrice inizia proprio dall’anello vaginale e prende le mosse dallo studio DREAM (Dapivirine Ring Extended Access and Monitoring) e il suo gemello HOPE che hanno dato risultati interessanti con una efficacia del 50%. L’anello viene sostituito dalla utente ogni 4 settimane. Tuttavia la presentazione successiva, fatta da una attivista non da un’altra ricercatrice, evidenzierà che questi studi anche belli sulla carta e nei risultati poi falliscono quando all’atto pratico poche donne usano o si possono permettere lo strumento, con buona pace del fatto che le renderebbe autonome dalla contrattazione dell’uso del condom, ancora molto problematica.

Le organizzazioni internazionali hanno disegnato un piano globale per l’accesso all’anello vaginale con Dapivirina che vanno dagli aspetti di registrazione e regolatori, alla catena di produzione, dalla domanda alle politiche locali e naturalmente all’advocacy.

Si passa poi al Cabotegravir LA iniettivo. Cita lo studio HPTN 083 su maschi cis e donne trans che fanno sesso con maschi e salta fuori un’efficacia del 66% rispetto al braccio con TDF/FTC le attuali pillole daily.

Lo studio HPTN 084 su donne fra i 18 e i 45 anni, oltre 3.200 arruolate, arriva al 88% sempre in comparazione con TDF/FTC. Questi dati sono usciti nel 2020, quindi dove sta il problema nel trasferire le evidenze scientifiche nella vita quotidiana?

La ricercatrice porta diversi esempi anche di ordine burocratico che sicuramente allungano i tempi, ma alla fine i costi sono sempre il freno migliore e sicuramente sottotraccia c’è una battaglia fra i grandi gruppo di big pharma che ha odorato il business.

La ricercatrice cerca anche di evidenziare i pro e i contro: fra i pro:

l’assunzione meno frequente
l’aderenza agevolata dalla durata
non ci sono controindicazioni con la terapia ormonale
l’incremento delle possibilità di scelta
un sistema più discreto/meno stigmatizzante

ma anche i contro, fra gli altri:

l’iniezione in sé e le possibili reazioni nel sito dell’iniezione
le possibili interazioni (Rifampicina)
non è indicato per persone con HBV
in caso di tossicità non può essere eliminato (ma questa a me pare una sciocchezza perché è previsto un mese di assunzione in pillole).

A viene da aggiungere che l’assurda volontà di mandare in clinica ogni 2 mesi gli utenti è un deterrente perché comporta un numero di visite in ospedale maggiore rispetto alla PrEP orale.

Anche la ricercatrice cita i centri community based come possibile soluzione ma in Italia non sarà così perché i centri di malattie infettive vi do per certo che non vorranno lasciar andare possibili clienti altrove. Aggiungo che anche le case di comunità previste dalla riforma del sistema sanitario nei territori, dovrebbero essere usate così come le unità mobili, il tutto a cura di infermieri che sono poi quelli che anche in ospedale fanno le iniezioni.

Sandro Mattioli
Plus aps