Ho appena letto una mail di Nicoletta Policek (Executive Director EATG) che ci informa dello stato di salute di Ben Collins, storico attivista di EATG, purtroppo ricoverato in ospedale in attesa di un intervento chirurgico, al quale vanno i miei migliori auguri di pronta guarigione.
L’approccio gramsciano di Nicoletta nell’affrontare il tema mi ha fatto riflettere. Nicoletta scrive: “…da una prospettiva gramsciana, questa solidarietà è più di un semplice gesto di benessere; è un potente atto di resistenza organica contro l’individualismo promosso dall’egemonia dominante.” In altre parole quando condividiamo notizie sulla salute di un compagno di lotta, “... non è solo empatia; è una forza culturale che costruisce attivamente una società più umana e interconnessa, una società in cui riconosciamo che il nostro benessere è intrinsecamente legato a quello degli altri.“

Penso che sia un bellissimo modo di ragionare, una prospettiva politica che condivido pienamente e che mi porta a chiedermi come si concilia tutto ciò con la comunità LGBTQ+ che non potrebbe essere meno interessata ai propri componenti che vivono con HIV.
Se vogliamo metterla sul piano personale, in 20 anni di lotta contro HIV, di coming out sierologico, non ricordo che qualcuno mi abbia chiesto come sto. È necessario andare in ospedale per smuovere l’etica marxista drogata da anni di il mio stato sierologico è un problema personale?
Sul finire degli anni ’80 buona parte del movimento contribuì a fondare la LILA e, di fatto, lasciò alle associazioni di “settore” la gestione di un tema che pur interessava la nostra comunità già allora, anche se sottotraccia per ovvi problemi di discriminazione multipla. Uno stigma doppio che abbiamo affrontato da soli o, più comunemente, non è mai stato affrontato ma semplicemente sepolto.
Se è vero che in quegli anni i 4 gatti LGBT che facevano politica e lotta contro la discriminazione sull’orientamento sessuale e l’identità di genere, non avrebbero potuto reggere all’apertura di un secondo fronte impegnativo come quello dell’HIV, è anche vero che 10 anni più tardi il movimento avrebbe potuto riprendere in mano una situazione che colpiva sempre di più la nostra comunità e realizzare quella svolta politica che ActUp ha fatto, a suo tempo.

Ma non è successo, ed oggi siamo in una situazione di generale ignoranza, silenzio (=morte), rimozione, disinteresse, in molti casi perfino per il proprio stato di salute (il medico dice che sto bene perché devo ricordarmi il nr dei CD4), figuriamoci per quello degli altri componenti della comunità. In questi ultimi giorni la lotta si concentra spesso sul tema della salute trans, purché si parli di terapia di affermazione di genere o servizi ospedalieri sempre più di difficile accesso, mai di HIV. Del resto in Italia, al contrario di altri Paesi UE, non conosciamo l’incidenza di HIV nella popolazione trans, prevalenza poi è pura fantasia stante che non lo sappiamo per nessuna popolazione chiave.
Ma pare che nemmeno questo punto sia di interesse, ancorché stigmatizzante.
Una comunità che si disinteressa di qualcosa che la colpisce, è ancora una comunità? Forse, ma una comunità dove ogni gruppuscolo pensa solo a sé stesso e costruisce attivamente una società disumana, autoreferenziale, senza alcuna visione politica generale e di comunità dove, a breve, la collettività non avrà più alcun peso.
Tanti auguri a quelle 2.300 persone con nuova diagnosi, buona parte dei quali gay. Sarete soli.
Sandro Mattioli
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