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Il Global Village inaugura il giorno dopo l’apertura della conferenza e chiude un giorno prima. Nonostante frequenti il Global da tanti anni, ancora non mi rassegno a questa stranezza. Pazienza.
La cerimonia di chiusura del Global, è iniziata con un canto indigeno, una preghiera per un sicuro ritorno a casa. Una super colorata drag queen ha preso la parola, l’accento olandese (credo) non rendeva semplice la comprensione per me, ma in sostanza ha infervorato i presenti. Buona parte degli attivisti in realtà già smontando i booth, via i cartelli, via gli ultimi condom e femidom (quest’anno ovunque), del resto oggi i volontari della conferenza stanno regalando pacchi da 5 self test per covid, chiari segnali dell’attenzione dovuta in una conferenza seria. A dirla tutta c’è anche la possibilità di fare un test molecolare con risposta entro 10 ore.

Ma torniamo alla cerimonia di chiusura del Global. La drag queen invita sul palco un gruppo pop canadese. Da vedere così sembrano più metal vestiti di pelle e reti come sono, ma sono decisamente pop. Bravi. Fanno spettacolo, ballano e cantano soprattutto la ragazza bionda con la calza smagliata ha una gran voce e un controllo vocale incredibile. Un componente del gruppo con lunghe treccine rosse, smette di cantare ed esce dal gruppo, la musica si ferma e si rivolge al pubblico e dice a tutti di essere HIV+ – a me queste cose emozionano sempre – e si lancia in un breve ma appassionato discorso politico: dice che grazie ai farmaci è undetectable e ha ricominciato a vivere, a cantare, a lavorare. Chiede maggiore azione per far si che tutti possano avere accesso ai farmaci e riprendere a vivere.
È un ragazzo minuto, più treccine che fisico, più bravo a ballare che a cantare forse, ma ha guadagnato 1000 punti facendo vedere a tutti che anche con una canzone e un balletto si può promuovere un principio.

La plenaria di oggi, ultima giornata di conferenza, ha come tema HIV e co-infezioni e si apre con la relazione di Marina KLEIN, McGill University Health Centre, Canada che ci espone un racconto di fantasia: “Triple elimination: HIV, HCV, HBV”. In effetti potrebbe iniziare con “eccovi i viaggi dell’astronave Enterprise” invece sembra crederci, anzi il sottotitolo è “cosa serve per raggiungere gli obiettivi”.
In primis spiega cosa intende con eradicazione e eliminazione. Per eradicazione cita lo smallpox come azzeramento permanente dell’incidenza mondiale dell’infezione, senza che occorrano ulteriori interventi. Per eliminazione cita le epatiti virali e HIV, e parla di riduzione dell’incidenza dell’infezione/malattia dove non è più una minaccia per la salute pubblica, ma sono necessari controlli frequenti. Sostanzialmente ci ha raccontato come siamo messi in ambito HIV, cosa che credo tutti conosciate bene, e soprattutto quali sono i problemi che ancora dobbiamo affrontare. Per esempio: in merito ai test, il self test è ancora un problema perché è poco diffuso e del resto è di terza generazione (ossia 3 mesi di periodo finestra), per tacere delle reali possibilità di raggiungere le popolazioni chiave. Il trattamento, per fortuna che c’è ma dura tutta la vita e consiste in pillole da prendere tutti i giorni. Gli LA stanno per arrivare ma arriveranno dove e a chi davvero servono? Sulla prevenzione: ancora il tema donne, la necessità di espandere la PrEP, non esiste alcun vaccino e scusate se è poco dopo 40 anni di ricerca e milioni di morti.

Per HBV la situazione è complessa. Serve un test DNA, l’accesso al Tenofovir è un problema in molti Paesi, la vaccinazione è un’arma ottima ma ancora buona parte del mondo non ha accesso alla vaccinazione contro HBV. Per quanto riguarda HCV, la dottoressa insiste sulla necessità di test RNA per confermare la infezione cronica, raggiungere le popolazioni chiave e, quindi, andare oltre i centri specialistici, è ancora un problema e noi ne sappiamo qualcosa, penso al progetto “Stop HCV”. Non esiste vaccino, la riduzione del rischio spesso è inadeguata, la criminalizzazione dell’uso di sostanza sicuramente non aiuta a cancellare l’HCV dalla faccia della terra. Esiste una cura che funziona bene, per lo più su tutti i genotipi, ma non è accessibile a tutti. In altre parole serve un vaccino efficace e accessibile.

Ormai è abbastanza chiaro che chi sei e dove vivi ha un peso importante nella sconfitta di queste infezioni. Se sei IDU, MSM, indigeno, donna, afro-americano potresti essere elegibile per i trattamenti ma non riceverli. In tutto questo sicuramente l’arrivo del Covid non ha aiutato, la ricercatrice calcola in 72.000 i morti in più per HCV. Come se non bastasse c’è anche il monkeypox appena dichiarato emergenza sanitaria globale. Alla fine della fiera neppure la ricercatrice ha le risposte, ci propone un progetto canadese che tende a rendere più orizzontale l’approccio sanitario con il coinvolgimento della community. In altre parole le solite chiacchiere.

Vorrei spendere due parole sulla cosiddetta Positive Lounge. Un luogo dove le persone con HIV possono riposare, se lo desiderano, bere qualcosa (caffè, succhi si frutta, è cosa nota che chi ha HIV non beve altro), o anche fruire di servizi quali sessioni di yoga o di massaggi. Il lounge è presidiato da un nutrito numero di volontari e volontarie per ovvi motivi di servizio. Ovviamente nessuno ti fa il test HIV all’ingresso, ma solitamente un minimo di etica fa si che il servizio sia fruito pressoché solo da persone con HIV, spesso stagionate come me, o che hanno problemi fisici e necessità di riposo. A me è sempre sembrato una cosa di grande civiltà, sensibilità e rispetto per le fragilità di persone con HIV che, nonostante gli anni e gli acciacchi sono presenti e danno un contributo fondamentale alla riuscita della conferenza.

Per la prima volta nella mia via associativa, mi sono fermato fino alla fine della conferenza per vedere il lavoro dei rapporteur (praticamente riassumono la conferenza per aree di competenza) e la cerimonia di chiusura.

I rapporteur fanno decisamente un lavoraccio. Infatti per ogni “track” devono riassumere gli elementi principali delle relazioni. Si tratta di una conferenza mondiale, per cui vi lascio immaginare. Devo dire che anche dai riassunti non è emerso niente di particolarmente nuovo, semmai conferme: molto lavoro sugli anticorpi neutralizzanti, sulla cura siamo ancora alle sfide o a “servono altri studi per…” mi è sembrato di capire che la strategia shock e kill sia ancora in auge e qualche studio promette bene. Ho visto anche che si parla spesso di patches con micro-aghi che potrebbero aiutare i long acting.

Finalmente il Governo canadese si è fatto vivo. Durante la cerimonia di chiusura è comparso il Ministro per la Salute, prontamente contestato dagli attivisti e dalle attiviste, in particolare sex worker. Ho adorato l’attivista anziana e con il deambulatore ma in piedi e con il cartello sopra la testa. Un esempio per tutti. Il Ministro non ha fatto una piega anzi, forse ha preso in contropiede i manifestanti dichiarando, da politico consumato, la piena disponibilità a lavorare con la community, a portare avanti un progetto di legge che modifichi – se ho ben capito – quella attuale che prevede l’obbligo di disclosure per chi ha HIV prima di un rapporto sessuale, e così via. Nessun accenno alla decriminalizzazione del sex working.

 

E con questo si chiude la ventiquattresima conferenza mondiale AIDS. Sicuramente non è una conferenza che verrà ricordata per una svolta nella lotta contro HIV/AIDS, in effetti non ho grandi novità e da quel che ho ascoltato anche diversi clinici sono d’accordo con me. Tuttavia, dopo due anni di covid, era ora di ricominciare a fare advocacy, community, a scambiarci parere, best practices, a mettere li idee per i futuri progetti perché, in fondo, a questo serve la International AIDS Conference. La cosa che ho notato con molto piacere è stata una buona presenza di giovani, nonostante le leggi immigratorie di merda di cui anche il Canada si è dotato, a quanto apprendo. In particolare ho conosciuto un paio di attivisti dell’Asociación Ciclo Positivo, Argentina che, a covid piacendo, andrò sicuramente a visitare a Buenos Aires non appena sarà possibile andarci. Ragazzi giovani ma che hanno trovato il modo di cambiare in meglio la legge su HIV nel loro Paese e che parlano già in un’ottica globale. Il futuro promette bene. Ma non voglio anticipare la parte “giovani” che è giustamente di appannaggio di Salvio, che scriverà più avanti.

Sandro Mattioli
Plus aps