HIV non si sconfigge solo con i farmaci, tantomeno lo si sconfiggerà con un vaccino così come non si sono sconfitte epatite A e B. Si potrà sconfiggere, forse, combattendolo congiuntamente sul piano scientifico e su quello sociale. Oggi il secondo ha spazi decisamente meno importanti e HIV non decresce come ci aspetterebbe stanti successi della ricerca.
È questa la sfida che Plus ha deciso di raccogliere attraverso la sua costituzione. Essa nasce con l’intento di far sì che le persone LGBT sieropositive abbiano la possibilità di essere tutelate sia come persone LGBT che come persone sieropositive, in un contesto in cui la formazione e l’informazione scientifica viene promossa e portata avanti in un clima paritario, da professionisti, operatori e volontari che condividono lo stesso background sociale ed esperienziale degli utenti.
A Nairobi c’è una zona chiamata slum, la bidonville. Nello slum c’è il quartiere Ngomongo (nella galleria in basso vi aggiungo alcune vedute caratteristiche), forse il più disastrato dell’intera area. A Ngomongo dentro a una baracca di lamiera c’è la chiesa di St. Peter che, a sua volta, dal lunedì al venerdì ospita la “scuola di Diego”: la Life’s Hope School. Al sabato e alla domenica si svolgono le funzioni religiose, ma da lunedì a venerdì la chiesa affitta la baracca di lamiera alla scuola… (quando si dice lo spirito cristiano!). Pertanto ogni venerdì tutti i banchi e gli arredi scolastici vengono spostati in un angolo della baracca coperto da una tenda, per poi essere risistemati ogni lunedì.
La scuola supportata da Diego Stellino che, oltre a essere un nostro iscritto, presiede l’associazione Slum Child con base in Italia (ma lavora nelle bidonville di Nairobi ormai da diversi anni) e sta collaborando con Plus per l’apertura del Checkpoint di Nairobi.
A Ngomongo a maggio 2023 hanno asfaltato un pezzo di terreno sassoso: ora c’è la strada asfaltata (ci siamo quasi arrivati con l’Uber… l’autista locale non era molto convinto di entrare in quel posto); qualche tempo fa una charity cinese ha costruito le fogne, ossia dei canali a cielo aperto a lato della strada, ed è già un passo avanti perché prima non c’erano neppure quelle. I più “fortunati” abitano/lavorano ai margini della strada asfaltata in piena eau de mer(de). Gli altri abitano in stradine strette, sterrate, sempre in piena eau de mer(de) ma senza un filo d’aria.
Nella “scuola di Diego” non c’è elettricità, né acqua corrente, c’è una porta da cui entra la luce (e le mosche). Volendo l’elettricità si potrebbe allacciare ma, nel caso l’affitto passerebbe da 2500 a 2800 scellini (circa 18€) al mese e il gestore non sa come trovarli anche perché le famiglie che dovrebbero pagare 600 scellini al mese (3,80€) non li hanno e non pagano.
Come ho accennato prima, la baracca che vedete nelle foto non è della scuola infatti, ma della chiesa anzi, è la chiesa,
Nel fornello che vedete nelle foto c’è il pranzo che si stava cuocendo e, nel contempo, contribuiva a mantenere il tepore interno tipico delle baracche di metallo in pieno sole.
Nella scuola trovano spazio 8 classi (elementari e medie) più una prescolare.
Dimenticavo: il baracco con scritto choo è il gabinetto. Costa 10 scellini a cagata che vanno a una associazione che lo “pulisce”, nel senso che lo svuota perché è un buco e le fogne non ci sono.
Io ho deciso che supporterò almeno l’affitto della scuola personalmente. Plus ovviamente è disponibile a fare da collettore per supportare altre spese come il materiale scolastico (dai gessetti ai banchi hanno bisogno di tutto). Vediamo se riusciamo a far sedere quei bimbi su sedie integre, a studiare sui banchi invece che uno sopra all’altro, magari perfino ad allacciare la corrente.
Proprio perché viviamo l’isolamento sociale, la discriminazione, l’incertezza per il futuro, ecc. sono certo che sapremo fare del nostro meglio per dare una mano.
In quest’area del Kenya le persone si danno da fare a ben vedere, ma vivono in una situazione di estrema povertà. Un’economia di sussistenza dove lo scopo primario del lavoro è riuscire a mangiare la sera. Senza futuro, senza speranze, questa gente lavora così mangia… ogni tanto. La sola possibilità che hanno per uscire da questo stallo è studiare: elementari, medie, superiori, magari l’università, così da trovare un lavoro che possa dare stabilità, un futuro che per questi bambini significa mangiare, vivere in un appartamento con, ma si esageriamo, l’elettricità e l’acqua corrente.
Verso la fine del 2005, assistetti a una riunione convocata dal Centro Operativo Aids, durante la quale la dott.ssa Suligoi illustrò la situazione relativa ai casi di HIV, di Aids e le prospettive future. In quegli anni in Italia la maggior parte dei casi di HIV erano appannaggio dei “tossicodipendenti”, come venivano definiti allora, per via dell’uso di scambiarsi la medesima siringa. Tuttavia la dott.ssa Suligoi intuì che le cose iniziavano a cambiare e ci fece notare un incremento dei casi fra gli “omo-bisessuali”, altro termine coevo. Ricordo che alzai la mano e chiesi qualche informazione in più. Mi venne risposto di non preoccuparmi perché eravamo nella media europea in quanto ad incremento di casi fra gli omo-bisessuali.
L’informazione non mi lasciò particolarmente sereno, infatti decisi di controllare i dati ufficiali dell’Unione Europea e scoprii che l’Italia era esattamente a metà della media europea: 12 Paesi meno bravi di noi e 12 più bravi. Incominciai quindi a cercare di capire cosa facessero quelli più bravi di noi, mi interessò soprattutto notare che non c’erano solo i “soliti” Paesi del Nord Europa, ma c’erano anche Paesi dell’area mediterranea fra i più bravi. Pochi mesi dopo, durante una conferenza di ILGA Europe, assistetti a una presentazione di Ferran Pujol sul Checkpoint di Barcellona aperto appena un anno prima. Il metodo checkpoint anche se nato in Olanda, poteva essere applicato anche in un Paese a noi vicino come la Catalogna.
Inizia così la storia del BLQ Checkpoint, quando chi scrive era ancora responsabile salute del Cassero.
Ci sono voluti sette anni di advocacy per arrivare a convincere la Regione, ma anche l’associazionismo locale, che il checkpoint come modello d’intervento era assolutamente necessario in una città e una regione che da sempre ha un problema importante con le diagnosi tardive di HIV.
Nel 2013 la Regione Emilia-Romagna fa un atto di importante riconoscimento politico: con il DGR 768/2013 con il quale riconosce il lavoro di Plus che viene definito soggetto attuatore del progetto di interesse regionale BLQ Checkpoint. Un atto pubblico coraggioso, che nessun’altra Regione ha avuto il fegato di fare, a dimostrazione che il lavoro di tessitura politica e anche tecnica alla fine paga. I tempi lunghi si spiegano con la difficoltà, in parte insita nella Pubblica Amministrazione, ad accettare i progetti innovativi soprattutto se difficilmente inquadrabili nelle regole e nelle procedure in essere. In effetti un checkpoint non si inquadra in nessuna di esse perché non è un ambulatorio ma esegue test di screening, non è un centro associativo ma svolge attività per la community. In effetti svicoliamo, probabilmente la Regione dovrebbe oggi pensare a un altro gesto coraggioso realizzando delle regole per i Checkpoint, condivise e trasparenti. Ma questo si vedrà.
Il Comune di Bologna si dimostra subito collaborativo e mette a disposizione una dirigente per strutturare una convenzione, che diventerà a tre con l’aggiunta di Azienda Sanitaria di Bologna. Sarà un processo abbastanza faticoso appunto per gli aspetti innovativi di un centro che mal si adatta alle regole esistenti. Ma alla fine ce la facciamo e viene firmata una convenzione trina: Plus, Comune di Bologna e Azienda Sanitaria.
Il Comune ci trova una sede, i locali che occupiamo attualmente, non propriamente una sede meravigliosa perché si trattava di un ex ristorante chiuso da sette anni, pertanto completamente fuori norma e da ristrutturare. Cosa a cui ha dovuto pensare Plus. Posso dire con orgoglio che siamo riusciti a trovare oltre 300.000€ con i quali abbiamo ristrutturato e allestito una sede che, anche grazie al progetto di ben due architetti (Andrea Adriatico e Nino Tammaro), è oggettivamente un bel posto, molto lontano dalla tipica struttura ambulatoriale alienante. Un luogo in sé accogliente, fermo restando che l’accoglienza vera e propria la fa il personale volontario dedicato a questo scopo che non sbaglia un colpo, agisce sempre in modo molto professionale. Visto l’ammontare speso, concordiamo con il Comune una convenzione di 15 anni che non prevede il pagamento di un affitto.
Il terzo ente firmatario è l’Azienda Sanitaria di Bologna. Grazie all’insostituibile lavoro della dott.ssa Venturi, responsabile del Centro C.A.S.A., forse l’unica responsabile genuinamente interessata al progetto, otteniamo una convenzione della durata di quattro anni, credo che sia il massimo per USL. In questa fase iniziale l’Azienda si impegna a fornire gli infermieri per l’esecuzione dei test (anzi, del test perché all’epoca abbiamo iniziato con il solo test di screening per HIV), ad occuparsi dell’acquisto del test, della gestione del materiale di consumo e dello smaltimento dei rifiuti speciali. Inoltre USL si sarebbe occupata, in collaborazione con Plus, della formazione del personale volontario dell’associazione. La disponibilità del personale infermieristico viene fissata in sei ore alla settimana, per cui decidemmo di aprire martedì e giovedì dalle 18 alle 21. Dopo otto anni siamo ancora fermi a questa fase di start-up.
Dopo poche settimane dall’apertura, l’Ospedale S. Raffaele di Milano ci coinvolge in uno studio sull’esecuzione di test di screening a risposta rapida su HCV (epatite C). Di li a poco verranno aggiunti anche i test per sifilide.
Alla scadenza della convenzione lato USL, dopo vari solleciti per un incontro teso a rinnovo ovviamente, per tutta risposta ci arriva una mail con la convenzione già rinnovata, in peior, e già firmata dalla dott.ssa Gibertoni allora direttrice generale dell’Azienda Sanitaria di Bologna. La convenzione passa da 4 anni a uno, si mette così una pietra tombale sulle reali possibilità di sviluppo del BLQ Checkpoint… come se questo non fosse sufficiente, quest’anno (2023) il rinnovo annuale della convenzione ha subito un ritardo di ben sei mesi. Per cui siamo nelle condizioni di ipotizzare programmi di sviluppo senza la collaborazione di USL, che manco risponde alle mail e si fa negare al telefono, della durata massima di 12 mesi, quest’anno ridotti a sei.
Poi si chiedono perché chiudere.
Per riprendere l’esempio del Checkpoint di Barcellona, i cui abitanti sono più o meno come quelli della nostra regione, quel centro è aperto 12 ore al giorno, il personale interno riceve uno stipendio, hanno comunque decine di giovani volontari che promuovono il servizio nelle discoteche, ai Pride e così via. Il centro distribuisce la PrEP gratuitamente mentre noi dovremo impazzire. Un centro che ha aperto 17 anni fa in puro volontariato, che oggi offre un’opportunità di lavoro e segue oltre 2.000 persone. Questo significa sviluppo.
A Bologna invece da alcuni anni ci dobbiamo pagare i test per sifilide per motivi burocratici ma mai confermati ufficialmente, non abbiamo contezza di chi sia il nostro medico di riferimento perché dal giorno in cui la dott.ssa Venturi è andata in pensione semplicemente questo passaggio è saltato, siamo stati spostati dal Dipartimento cure primarie a quello di salute mentale senza alcuna spiegazione. Chissà, forse qualcuno ha ipotizzato che i gay possano avere problemi in tal senso. A ben vedere siamo riusciti ad andare avanti in questi ultimi 4 anni solo grazie all’appoggio della Responsabile infermieristica che ci segue, anche meglio di un medico, dott.ssa Assueri.
Va da sé che Plus non ha alcun preconcetto ideologico, pertanto a fronte di un impegno serio della Pubblica Amministrazione e dell’Azienda Sanitaria nello specifico, un impegno che vada nella direzione logica che ha portato il Sindaco Lepore a firmare il protocollo Fast Track City e che, quindi, metta il BLQ Checkpoint nelle condizioni di uscire dalla fase di start-up e dare un serio contributo al raggiungimento degli obiettivi di UNAids prima del 2030, non abbiamo nessun problema a fare marcia indietro.
Ma al momento resta in essere la decisione di chiudere il BLQ Checkpoint a partire dal 1 luglio 2023. Di seguito il comunicato stampa.
Sembra proprio che anche l’ultima commissione di AIFA abbia dato parere favorevole al rimborso della PrEP da parte del Sistema Sanitario Nazionale. Abbiamo finalmente fatto un passo in avanti con quasi 10 anni di ritardo (!), che vuol dire che tante persone si sono contagiate per l’ignoranza, la burocrazia e la supponenza di questo Paese.
Ci è bastato leggere la grassa ignoranza con cui troppi giornalisti hanno dato la notizia per renderci conto del livello di interesse o, forse, della stupidità. Ad ogni modo la parte tecnica pare abbia finalmente deciso ma, ovviamente, questo non vuol dire che domani mattina troveremo i flaconi gratis in farmacia.
Ora attendiamo la determina, poi la pubblicazione in gazzetta ufficiale. Poi, presumo, un passaggio in conferenza Stato Regioni. Poi ogni Regione dovrà pur deliberare qualcosa per far entrare il farmaco in prontuario o modificarlo, un budget dovrà essere definito e quello del 2023 già è fatto.
È ipotizzabile che qualche Regione opti per passare al 2024?
Resta sulla porta il problema delle prescrizioni solo erogabili dall’infettivologo dopo una visita che, qua e là, si paga. Poi ci sono i test di controllo che, qua e là, si pagano.
Poi ci sono i deliri di onnipotenza di questo o quel primario che decide che nei “suoi” ambulatori “quella roba li” non si prescrive, come del resto già accade.
Ovviamente nessuno sta pensando a coinvolgere i Checkpoint, o più correttamente, i PrEP Point che, dove presenti, potrebbero svolgere un ruolo importante, non sia mai che dei centri community based defraudino un clinico di un qualche potere.
Speriamo almeno che non obblighino le persone in PrEP a recarsi solo presso le farmacie ospedaliere che, per diffusione e orari di apertura, non offrono un servizio paragonabile alle farmacie private.
Inoltre, se proprio deve essere l’infettivologo a prescrivere il farmaco per la PrEP, almeno che sia in fascia A e sulla base di un pianoterapeutico di 12 mesi, così che, nel caso, il farmaco possa essere prescritto anche dal medico di medicina generale.
Nel frattempo, gli italiani acquistano la PrEP online a prezzi competitivi, spesso senza alcun controllo medico, grazie agli ostacoli dei burocrati, agli interessi politici, ecc.
Ma non è tutto, dobbiamo anche aggiungere gli ostacoli piazzati per anni da diversi esponenti del movimento LGBT. Alcuni di maggiore peso, come Giovanni Dall’Orto che nel 2017 pontificò su Pride (evidentemente uno spazio LGBT su cui fare affidamento), o altri decisamente meno influenti ma comunque con un seguito, come il sig. Mangiacapra che dalla Campania da anni tuona contro Plus e contro il sottoscritto più o meno direttamente, per tacere del Cassero che, ancorché circolo LGBT storico bolognese per anni all’avanguardia sul tema diritti, su PrEP ha sempre avuto una posizione guardinga, quando non nettamente contraria, soprattutto nelle precedenti gestioni, con buona pace dell’indiscusso impegno del responsabile salute di Arcigay nazionale. Fa ben sperare la nuova Presidente del Cassero, Camilla Ranauro, che giusto ieri ha annunciato la decisione di AIFA con molto entusiasmo.
In sintesi, non è tutta colpa di Aifa se PrEP in Italia è ancora così controversa, non alla portata di tutti, ecc. Di questo HIV da anni sta ringraziando.
In questo delirio di assurdità ascientifiche, per fortuna molti gay italiani pensano che assumere un farmaco che previene HIV non fa mica schifo! Ormai diverse migliaia di persone in Italia sono in PrEP e i costumi, la mentalità, la cultura stanno pian piano cambiando, anche grazie – lo dico con orgoglio – al lavoro di Plus su PrEP iniziato nel 2013 (bel prima che EMA la autorizzasse).
Oggi si muovono i primi prepster in Italia e, una volta di più, i gay italiani hanno sopravanzato i falsi profeti e cercano e usano tutti gli strumenti che la scienza mette a disposizione con HIV.
Un passo nella giusta direzione. Il lavoro non è finito. Dobbiamo recuperare il ritardo, smettere di considerare le varie forme di prevenzione come alternative una all’altra (vanno usate tutte e poche storie), guardare con fiducia ai passi in avanti della ricerca su PrEP a partire dall’iniezione di Cabotegravir con copertura bimestrale che è già una realtà negli USA.
Difficile dire qualcosa di sensato su Stefano Tallulah Pieralli che, poco fa, ci ha lasciati.
Difficile perché Stefano ha fatto davvero tanto. Nello sconforto della perdita, ho provato a leggere i commenti sui social che, pur avendo postato la notizia da poche ore, sono già moltissimi. Alcuni mi fanno tornare alla mente tanti episodi di un’amicizia pluridecennale. Altri, per fortuna uno o due, avrebbero dovuto collegare i neuroni prima scrivere.
Stefano ha fatto tutto e anche disfatto tutto ma, come sa chi lo conosceva bene, “conteneva moltitudini”. In 40 anni di attivismo ha contribuito a fondare l’Arcigay e a criticarla aspramente; ci sono foto che testimoniano di un ragazzino biondo e riccioluto che partecipava alle prime attività del Cassero. Irriconoscibile se non per la tipica smorfia di quando si accendeva una sigaretta, rimasta intatta per i successivi 40 anni. Tra i fondatori di Arcigay a Reggio Emilia, che gli varrà il secondo nome d’arte di Granduchessa. L’unico circolo che, ancora oggi, riteneva degno della sua idea di associazionismo militante, politico ma poco o per niente ideologico, anzi, molto concreto.
Una concretezza che lo ha portato da subito allo scontro con quel sistema sociale che voleva i gay tristi e sfigati, mentre Stefano tutto era tranne che triste e sicuramente non sfigato. Rompere gli schemi, diceva ogni tanto, lo stesso pensiero che porta il giovane Pieralli a travestirsi e a battere il marciapiede (ma gratis, facendo incazzare le professioniste e rischiando anche le botte in un paio di occasioni), o ad appostarsi nei pressi delle caserme per adescare i militari che, del resto, non vedevano l’ora secondo le cronache dell’epoca. Ancora fino pochi mesi fa, il tema della riappropriazione del piacere lo vedeva fervido sostenitore, insieme all’altro pilastro di Plus, Giulio Maria Corbelli, scomparso pochi mesi or sono.
Stefano è stato dirigente del PCI, qualcuno lo ricorda online, ma ha sempre rifiutato proposte di carriera politica legate al suo orientamento sessuale, “io non faccio il gay del partito”. Tutti ricordano i racconti di Frattochie, dell’esperienza in URSS, ecc. Stefano era una delle poche persone del movimento con una chiara visione politica e ancor più chiara capacità di analisi dei quadri politici che si sono succeduti negli anni, per tacere dell’invidiabile capacità di inquadrare al volo le persone. Quante volte mi sono sentito dire “te l’avevo detto che era un idiota”. Fra i vari commenti online ho letto “aristocratico”, vero. Un marxista aristocratico con una punta di monarchia illuminata (dalla sua luce ovviamente). Trovatene un altro in grado di contenere queste moltitudini.
Stefano, come scrive nelle righe di presentazione del Direttivo di Plus, lavorava come educatore nelle dipendenze patologiche, quindi riduzione del danno, pene alternative, ecc. Anche li in contro tendenza alla logica dei “poverini”, semmai seguendo la logica del vaffa alternato all’ascolto e alla comprensione. Ho potuto constatare di persona quanto bene gli volessero “i suoi ragazzi” – come li chiamava.
E poi Plus. Da sempre, da prima della fondazione. Fu Stefano a mettermi sotto al naso il bilancio del Cassero – ovviamente gestione di oltre 10 anni fa – e a farmi notare che con una previsione di spesa di pochi euro per il settore salute “non si fa un checkpoint, torna sulla terra”. Non per caso, è stato il MIT a offrirci spazi per i nostri primi test per HIV.
Qualcuno online lo definisce testardo. Non lo conosceva bene o, più facilmente, non era in grado di argomentare al suo livello. Stefano difendeva le sue posizioni che neanche un fante della prima guerra mondiale in trincea. Ma ascoltava, rifletteva e cambiava idea se il confronto era sufficientemente di alto profilo e le motivazioni di pari valore. Di certo non era quello che ti dava ragione per farti contento. La via più facile, una moda diffusa in Italia alla quale possiamo far risalire l’arretratezza in cui versa il nostro Paese, non era il modus operandi di Stefano e, guarda caso, non è neppure quello di Plus, un’associazione che fa fatto scelte in controtendenza, articolate, spesso non semplici, sulle quali Stefano ha avuto un’influenza importante. Un’influenza, un insegnamento, una impostazione che ci ha consentito di reggere colpi durissimi come la morte di Giulio, e che oggi ci mette nelle condizioni di andare avanti nonostante non ci sia più Stefano in Direttivo. Queste cose accadono quando i grandi uomini lasciano grandi insegnamenti in eredità. La strada è li, basta camminarci sopra. Possibilmente su quegli stessi tacchi favolosi indossati da Tallulah, le uniche scarpe sulle quali non zoppicava.
Ebbene si: ho barato. C’è ancora un pezzo di relazione che mancava e riguarda i poster, ossia quegli studi i cui abstract sono stati accettati e pubblicati in forma di cartelloni nella sede della conferenza, un enorme salone dedicato agli abstract. Naturalmente erano oltre 1000 gli studi pubblicati, io ne ho selezionati solo alcuni. I poster sono linkati, se cliccate è possibile vederli in un formato sostenibile.
Incomincio con i nostri colleghi/”rivali” del Checkpoint di Milano, che sono bravi a valorizzare i dati che raccolgono. CROI ha accettato il loro lavoro: Mpox: Sexual behavior reduction do not explain decreased Mpox incidence among prep users. In sintesi i milanesi hanno notato che i ragazzi in PrEP che seguono, non hanno minimamente cambiato le abitudini sessuali durante l’epidemia di Mpox e non si spiegano come mai i casi siano calati. Ricordo che il cluster milanese da solo copriva il 50% dei casi nazionali. Non è spiegabile con vaccino che è arrivato tardi rispetto ai tempi della statistica, tantomeno con la lentezza con cui il vaiolo delle scimmie replica, perché secondo il dott. Rossotti (il secondo da sinistra nella foto) sostiene che i dati clinici in suo possesso mostrano un’accelerazione nell’incubazione scesa a 3 giorni. Volendo cavarcela con una battuta, anche perché con i dati attuali non ci sono spiegazioni scientifiche, forse mpox non è riuscito a tenere il ritmo degli MSM di Milano.
Lo studio Burden of coronary disease in transgender women with and without HIV invece, ipotizza una relazione fra la terapia ormonale in donne trans e problemi cardiovascolari. Non è tanto per lo studio in sé che non è di particolare peso, ma per il fatto che finalmente qualcuno pubblica studi sulle persone trans.
Lo studio olandese Sexual behavior and sti incidence during the first 4 years of prep use among MSM, riporta alcune considerazioni sugli MSM in PrEP. Durante i primi 4 anni di utilizzo della PrEP, l’incidenza complessiva di IST è stata elevata e stabile. L’incidenza di clamidia e gonorrea è leggermente diminuita negli utenti daily ma, al di la di questo la linea di tendenza vede un incremento di casi di IST per poi stabilizzarsi. I test regolari e il trattamento delle IST rimangono una priorità tra gli utenti in PrEP. La prevenzione biomedica delle malattie sessualmente trasmissibili può essere esaminata in questo contesto.
Il simpatico studio PEP-in-pocket (PIP): long-term follow-up of on demand HIV post-exposure prophylaxis probabilmente farebbe venire un ictus agli infettivologi restii a concedere al PrEP (soprattutto ai gay). La PIP, in italiano sarebbe PEP in tasca, si rivolge a persone che hanno un alto rischio di contagio ma non molto spesso. La PIP consiste nel fornire a queste persone 4 settimane complete di PEP, il counselling perché abbiano chiaro quando iniziare il trattamento e dove recarsi in caso di bisogno. Le conclusioni vanno oltre proponendo la PIP il passaggio da PIP a PrEP in base all’evoluzione del rischio delle persone. Inoltre, è suggerito di includere la PIP, insieme a PEP e PrEP, nelle opzioni biomediche di prevenzione dell’HIV per gli individui HIV-negativi a rischio di infezione.
Dalla terrazza esterna del nuovo centro congressi di Seattle, dove c’è voluto tutto il mio coraggio per sedermi (soffro un po’ di vertigini) inizio l’ultima relazione… penultima va… che è proprio su un tema che mi è caro, per ovvi motivi: l’ageing. L’invecchiamento. La plenaria di oggi è stata molto interessante perché un geriatra – George A. Kuchel, University of Connecticut – con una evidente propensione per l’infettivologia ha tenuto finalmente una relazione dove sono stati messi a confronti modelli e dati relativi all’invecchiamento con e senza HIV.
Quella che a troppi medici infettivologi italiani sembra poco più che una seccatura su cui fare battute sportive, al Croi viene presa così sul serio da trovargli spazio in una plenaria davanti ad alcune migliaia di medici (e alcuni attivisti).
Lo studio di Greene pubblicato su JAIDS 2015, ha arruolato una coorte di persone con HIV adulte. Come si vede dall’immagine vengono descritti problemi che portano alla diagnosi di sindrome geriatrica che normalmente il medico riscontra in persone intorno agli 80 anni, se non che i dati fanno riferimento a persone con HIV di 60 anni o più giovani.
Che è, in sostanza, quello che sostiene il prof. Guaraldi in Italia basandosi sui dati raccolti dalla coorte di Modena. La presentazione prosegue con altri due studi del 2013 e del 2015 dove si spiega come HIV acceleri o accentui l’invecchiamento. Detto questo il geriatra spiega che il processo invecchiamento è multifattoriale, ossia non è un solo elemento che va in on e si incomincia ad invecchiare. I fattori sono molti, per esempio la metilazione del DNA, e HIV interviene a favorire o bloccare alcuni di essi provocando una accelerazione.
Con l’invecchiamento precoce avviene quella che Kuchel definisce, forse in modo un po’ avventuroso, un altro tipo di crisi AIDS ossia l’insorgenza di co-patologie, “un numero crescente di pazienti con HIV vive più a lungo ma invecchiano più velocemente mostrando precocemente segni di demenza e fragilità ossea che solitamente si vedono in pazienti più anziani (tradotto da David France, published nov. 1, 2009). E il punto non sta nel non voler invecchiare o pensavate di vivere per sempre, come mi sono sentito rispondere anche di recente da pregiati infettivologi in Italia.
Il punto è che questi temi vanni tenuti presente e alcuni problemi possono essere diagnosticati precocemente in modo da rendere meno penosa e più in salute le persone con HIV. Ovvio che invecchiare è un processo naturale, dovrebbe essere altrettanto ovvio per dei clinici seri collaborare con i colleghi che si occupano di geriatria e portare dati a supporto invece di canzonare o fare battutine. Il dott. Kuchel infatti cita quello che sembra essere un problema anche negli USA: le barriere istituzionali. Siamo tutti così chiusi nei nostri settori che ci risulta difficile collaborare con altri. E con “settori” intende quelle che in Italia si chiamano società scientifiche e anche le istituzioni sanitarie che, a suo dire, dovrebbe essere meno concentrate sui propri obiettivi, più collaborative.
Con l’epidemia da sars-cov2/covid (quasi) alle spalle, riprendiamo le buone abitudini e quindi anche la formazione delle persone che sono disponibili a fare attività di volontariato presso i servizi dell’associazione: dal BLQ Checkpoint al PrEP Point, dai Venerdì Positivi alle domeniche di approfondimento “E tu che ne vuoi sapere?” e a tutti i progetti nuovi che stanno nascendo. Abbiamo davvero voglia di conoscere nuove persone pronte a trascorrere un pò del loro tempo insieme a noi con questo nuovo corso di formazione.
Le ore d’aula si terranno presso la Casa della Salute Porto-Saragozza in via Sant’Isaia 94a a Bologna tranne quelle del 28 ottobre che saranno svolte presso la sede di Plus (via S. Carlo 42C) dalle 14 alle 18. Invece il laboratorio residenziale si terrà presso il centro Ca’ Vecchia, in via Maranina 9 a Sasso Marconi (BO).
Le ore d’aula nella Casa della Salute Porto-Saragozza, sono aperte a chiunque voglia approfondire gli argomenti trattati, quindi anche se non vuoi fare il volontario ma ti interessano i temi, sei libero di entrare ed ascoltare. Invece la parte residenziale del corso è riservata a chi vuole fare il volontario.
Il limite massimo di iscrizioni per ogni sessione è di 20 persone. Il corso è gratis. L’organizzazione tecnica del corso è a cura dell’Azienda Sanitaria di Bologna che ne effettua anche la certificazione. Per cui se qualcuno fanno comodo alcuni crediti formativi, si faccia avanti e li richieda.
Il corso avrà inizio il 30 settembre 2023 alle ore 9 e terminerà con le giornate di laboratorio residenziale nel week end del 3-5 novembre 2023 per un totale di 40 ore fra aula e laboratorio.
Per partecipare è necessario inviare una mail a: info@plus-aps.it indicando: nome e cognome numero cellulare
Si terrà a Bari, dal 14 al 16 giugno, la quindicesima edizione di ICAR – Italian Conference on AIDS and Antiviral Research. Come Plus aps anche quest’anno prenderemo parte alla conferenza, ma ci troviamo nuovamente costretti a ritirare parecchie candidature di attivisti sieropositivi per fare fronte alla mancanza di fondi e alla conseguente limitazione dei posti.
La partecipazione della comunità di riferimento e di giovani ricercatori dovrebbe essere la priorità di una conferenza come ICAR, ma sono proprio questi i soggetti che stanno soffrendo maggiormente a causa della diminuzione dei fondi disponibili. Sono già due anni, infatti, che le richieste di scholarship superano le disponibilità, costringendo molte persone a rinunciare alla partecipazione. L’incremento delle richieste di partecipazione da parte di persone con HIV e giovani ricercatori è un dato estremamente positivo, ed è importante trovare delle risposte per permettere a quante più persone possibile di partecipare.
Se da una parte riconosciamo le difficoltà dettate dalla carenza di fondi, fino a questo momento non vi sono state le capacità di adeguamento necessarie da parte di una conferenza nazionale tanto importante, che dovrebbe vedere la partecipazione delle persone sieropositive come una priorità. Detto questo chiariamo un punto: nessuna conferenza internazionale su HIV è in grado di accogliere tutte le richieste di scholarship, ma per l’accettazione o meno della domanda esistono criteri condivisi e trasparenti che in Icar non sono mai stati attivati. Inoltre, in Icar non è prevista la possibilità di accedere a pagamento per i pazienti ai quali è stata rifiutata la scholarship. Tutto è gestito sul piano personale o camera caritatis che dir si voglia.
Non vi è alcun criterio per l’assegnazione delle borse di studio che non sia quello dei fondi, della cui gestione ci si ricorda solo a cose fatte, così come è avvenuto anche nella precedente edizione della conferenza. Chiediamo quindi che la possibilità di partecipare non sia vincolata alle scholarship, e che le borse di studio disponibili vengano assegnate sulla base di criteri chiari, trasparenti e, soprattutto, condivisi.
Per quanto riguarda l’impiego dei fondi disponibili, riteniamo che a fronte di una diminuzione delle risorse, un punto non verificabile perché alle richieste di visionare i bilanci non vengono fornite risposte, debbano essere riviste alcune decisioni logistico organizzative. La scelta di tenere la conferenza in un luogo diverso ogni anno, per quanto possa dare lustro al centro clinico locale, comporta spese molto elevate e una scarsa capacità di contrattazione sui costi. Riteniamo che se venissero individuati uno o due luoghi sulla Penisola dove tenere la conferenza, come già avviene per altri congressi come il CROI negli Stati Uniti, sarebbe possibile diminuire considerevolmente le spese di gestione.
Anche la periodicità della conferenza potrebbe essere rivista, favorendo per esempio una cadenza biennale, che potrebbe contribuire al contenimento dei costi. Infine, sono ormai anni che per l’organizzazione della conferenza ci si affida allo stesso provider, dando luogo ad una sorta di monopolio. Anche in questo caso pensiamo che sarebbe opportuno procedere all’assegnazione tramite un bando con criteri di selezione chiari, che tengano in conto le difficoltà economiche dell’organizzazione stessa.
Insomma, sono molte le soluzioni che potrebbero essere vagliate se vi fosse la reale volontà e priorità di dare spazio alle persone sieropositive, a ricercatori e ricercatrici. Non devono necessariamente essere le soluzioni che proponiamo noi, ma è necessario superare l’attuale immobilità di fronte all’aumento delle richieste e alla
contingente diminuzione dei fondi disponibili per le scholarship dei giovani ricercatori e degli attivisti. Lasciare fuori dalla porta sempre più persone con HIV non è una soluzione accettabile.
A Villa Cassarini davanti al monumento che ricorda le vittime omosessuali del razzismo nazi fascista, installato ormai 31 anni fa anche grazie al lavoro di Franco Grillini, anche lui presente alla commemorazione, sono intervenuti Emily Clancy vice Sindaca di Bologna che ha ricordato le recenti scomparse di Lucy e di Pieralli, Mazen Masoud presidente del MIT, Michele Giarratano per Famiglie Arcobaleno e Salvio Cecere per Plus.
In un intervento emozionato, Salvio ha ripercorso le tappe della Liberazione ricordando come il triangolo rosa con cui i nazisti marchiavano gli omosessuali, fosse il simbolo del rifiuto delle diversità. Un simbolo poi ripreso da Act Up nella lotta contro HIV, a sottolineare come quello stesso odio per le diversità si fosse riattivato nei primi anni della pandemia, in una logica di discriminazione delle sessualità non allineate.
Salvio ha poi fatto notare come in anni più recenti le cose siano piano piano cambiate e che recentemente l’agenzia italiana del farmaco ha approvato la rimborsabilità della PrEP (la profilassi pre esposizione che protegge da HIV). L’introduzione della PrEP in Italia è stata una battaglia faticosa portata avanti dagli attivisti di Plus già a partire dal 2013, inizialmente ostracizzata anche da parte del movimento che ancora oggi, in qualche caso, fatica a comprendere che PrEP è un dispositivo che consente a tutti di vivere liberamente la propria sessualità e di riprenderci quel piacere sessuale che HIV ci ha negato per 40 anni. Giustamente Salvio lancia la sfida alla Regione Emilia-Romagna perché sia la prima a mettere in atto la gratuità predisposta da AIFA, riprendendo quell’attenzione politica dimostrata quando, nel 2015, ha consentito l’apertura del BLQ Checkpoint, il primo centro community based in Italia quindi uno spazio non disegnato su un modello eteronormato.
Una serie di risultati dei quali Salvio ringrazia la generazione di attivisti che lo hanno preceduto a partire da Stefano Pieralli che ci ha lasciati pochi giorni fa. Ricordare le tante battaglie intraprese da Stefano forse non sarebbe neppure il modo migliore di ricordarlo, sottolinea Cecere, stante la sua volontà di andare sempre oltre i risultati ottenuti e continuare a combattere per riappropriarci del piacere sessuale, degli spazi politici necessari alle nostre esistenze.
Un appuntamento per conoscersi, confrontarsi, ascoltare e ascoltarsi senza stigma né pregiudizi.
Ci incontreremo questo Venerdì, 28 Aprile alle 19,30 nella sede di Plus in via San Carlo 42/C a Bologna, per riflettere tuttə insieme su un tema che si fa sempre più attuale all’interno della nostra comunità: HIV e Ageing. In altre parole: stiamo invecchiando!! Che è sempre meglio che morire di AIDS ovviamente, ma è davvero tutt’oro quel che luccica? Le persone con HIV che invecchiano hanno gli stessi problemi degli altri, invecchiano nello stesso modo? E gli anni passati con HIV quali problemi ci danno? E’ così vero che la qualità della vita è migliorata grazie alle terapie antiretrovirali? Quesiti importanti che troveranno risposte nel venerdì positivo.
Come ormai da tradizione, al termine della riflessione condivisa seguirà un momento conviviale.
Dopo oltre 40 anni di HIV, con tutti i cambiamenti sociali che l’epidemia ha portato con sé, ha ancora senso parlare di fierezza o di orgoglio positivo – ovviamente mi riferisco a HIV – e ha ancora senso portare ai Pride questo tema? Dopo tutto ormai HIV non fa così paura, prendiamo una pillola e via, che sarà mai? Lo stigma, la discriminazione e il pregiudizio la fanno ancora da padroni in questo Paese? E la comunità LGBTQ+ è così immune dal discriminare le persone che vivono con HIV che queste possono restare nascoste ed evitare di palesare il proprio stato sierologico? Il movimento LGBTQ+ sta svolgendo finalmente un’opera di primo piano su questi temi? O resta timoroso sulla porta delegando ad altri un ruolo che in altri Paesi è stato governato principalmente da persone omosessuali?
Fuori dal corteo del Pride, ha senso parlare del proprio stato sierologico ad altri e “uscire dall’armadio, come facciamo con l’orientamento sessuale?
Di questo e di molto altro parleremo al VENERDi’ POSITIVO del 30 marzo dalle ore 19,30 presso la sede di Plus in via S. Carlo 42/C a Bologna.
Dopo la chiacchierata, per chi lo desidera, è prevista una pizzata tutti insieme.