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Ho appena letto una mail di Nicoletta Policek (Executive Director EATG) che ci informa dello stato di salute di Ben Collins, storico attivista di EATG, purtroppo ricoverato in ospedale in attesa di un intervento chirurgico, al quale vanno i miei migliori auguri di pronta guarigione.

L’approccio gramsciano di Nicoletta nell’affrontare il tema mi ha fatto riflettere. Nicoletta scrive: “…da una prospettiva gramsciana, questa solidarietà è più di un semplice gesto di benessere; è un potente atto di resistenza organica contro l’individualismo promosso dall’egemonia dominante.” In altre parole quando condividiamo notizie sulla salute di un compagno di lotta, “... non è solo empatia; è una forza culturale che costruisce attivamente una società più umana e interconnessa, una società in cui riconosciamo che il nostro benessere è intrinsecamente legato a quello degli altri.

Penso che sia un bellissimo modo di ragionare, una prospettiva politica che condivido pienamente e che mi porta a chiedermi come si concilia tutto ciò con la comunità LGBTQ+ che non potrebbe essere meno interessata ai propri componenti che vivono con HIV.

Se vogliamo metterla sul piano personale, in 20 anni di lotta contro HIV, di coming out sierologico, non ricordo che qualcuno mi abbia chiesto come sto. È necessario andare in ospedale per smuovere l’etica marxista drogata da anni di il mio stato sierologico è un problema personale?

Sul finire degli anni ’80 buona parte del movimento contribuì a fondare la LILA e, di fatto, lasciò alle associazioni di “settore” la gestione di un tema che pur interessava la nostra comunità già allora, anche se sottotraccia per ovvi problemi di discriminazione multipla. Uno stigma doppio che abbiamo affrontato da soli o, più comunemente, non è mai stato affrontato ma semplicemente sepolto.
Se è vero che in quegli anni i 4 gatti LGBT che facevano politica e lotta contro la discriminazione sull’orientamento sessuale e l’identità di genere, non avrebbero potuto reggere all’apertura di un secondo fronte impegnativo come quello dell’HIV, è anche vero che 10 anni più tardi il movimento avrebbe potuto riprendere in mano una situazione che colpiva sempre di più la nostra comunità e realizzare quella svolta politica che ActUp ha fatto, a suo tempo.

Ma non è successo, ed oggi siamo in una situazione di generale ignoranza, silenzio (=morte), rimozione, disinteresse, in molti casi perfino per il proprio stato di salute (il medico dice che sto bene perché devo ricordarmi il nr dei CD4), figuriamoci per quello degli altri componenti della comunità. In questi ultimi giorni la lotta si concentra spesso sul tema della salute trans, purché si parli di terapia di affermazione di genere o servizi ospedalieri sempre più di difficile accesso, mai di HIV. Del resto in Italia, al contrario di altri Paesi UE, non conosciamo l’incidenza di HIV nella popolazione trans, prevalenza poi è pura fantasia stante che non lo sappiamo per nessuna popolazione chiave.

Ma pare che nemmeno questo punto sia di interesse, ancorché stigmatizzante.

Una comunità che si disinteressa di qualcosa che la colpisce, è ancora una comunità? Forse, ma una comunità dove ogni gruppuscolo pensa solo a sé stesso e costruisce attivamente una società disumana, autoreferenziale, senza alcuna visione politica generale e di comunità dove, a breve, la collettività non avrà più alcun peso.

Tanti auguri a quelle 2.300 persone con nuova diagnosi, buona parte dei quali gay. Sarete soli.

Sandro Mattioli
Plus aps

E’ vero non si parla mai di HIV, soprattutto chi dovrebbe lo fa sempre meno e anche quelle poche occasioni che il movimento LGBTQ+ ha creato per parlare di HIV oggi cambiano indirizzo.

Stefano Casagrande, Cesarina

The Italian Miss Alternative (lo “storico concorso di bellezza dedicato a giovanotti e signorine coi tacchi alti quanto le mutande”) nasce nel 1994 grazie alla genialità di Stefano Casagrande, la Cesarina, poi ripresa da Bruno Pompa, aka Agònia, dopo la morte della Cesi.
Stefano ha avuto la brillante idea di organizzare un défilé di improbabili modelle (come dimenticare Divine Brown che rinasce da una enorme vagina o Eclipsia Soledad vestita di bicchieri di plastica) per raccogliere fondi a favore delle associazioni per la lotta contro HIV.

Non tanto per i soldi, che non sono mai stati molti, ma l’importanza consisteva nell’unico momento in cui il Cassero, oserei dire il Movimento, attirava l’attenzione sul tema HIV in modo apparente frivolo e irriverente è vero ma, nella realtà, era un momento atteso e partecipato di riflessione su un tema che ancora oggi colpisce pesantemente la nostra comunità LGBTQ+.

Gli ultimi dati disponibili danno gay e bi al 36% delle nuove diagnosi in Emilia-Romagna. Non c’è un dato ufficiale sulle persone trans perché di fatto non vengono rilevate, non nel modulo delle nuove diagnosi che viene inviato a Roma diviso per maschi o femmine.
Solo su questi due punti ci sarebbe moltissimo da lavorare.

Negli anni la genialità di Miss Alternative ha attirato l’attenzione di numerose personalità internazionali e locali a partire da Jean Paul Gaultier, ma hanno sfilato o presenziato anche Marcella di Folco (fondatrice del MIT), Eva Robins, Immanuel Casto, Lala Mac Callan, Alessandro Fullin e tante altre.

Bruno Pompa, Agònia

Da tempo la dirigenza del Cassero ha deciso di snaturare Miss Alternative non coinvolgendo più l’associazionismo contro HIV e decidendo di erogare i fondi raccolti per lo più al Cassero.

Quest’anno ha deciso di usare Miss Alternative per trovare fondi per ristrutturare il centro anti violenza del Cassero.

Senza nulla togliere all’importanza del centro, si tratta di una scelta veramente assurda. Nulla vieta al Cassero di promuovere una raccolta fondi per la ristrutturazione del centro, alla quale avremmo dato tutto il nostro supporto, ovviamente.

Ma distruggere definitivamente la funzione di Miss Alternative e relegarla al ruolo di raccoglitore di soldi per la qualunque, è inaccettabile.

Sia la Cesi che Agònia sono morti a causa dell’azione di HIV, negli anni sono state numerose le modelle HIV positive che hanno sfilato. Snaturare Miss Alternativa è un insulto alla memoria di Stefano e Bruno, al lavoro di tutte le persone che si sono spese, a tutte le persone LGBTQ+ che vivono con HIV abbandonate per l’ennesima volta dalla propria comunità.

Sembra proprio che il tema HIV sia considerato superato, qualcosa di vecchio che ormai non interessa più sicuramente non i gay trendy che devono occuparti dell’universo mondo. Peccato che HIV invece si occupa ancora molto di noi, e continua ad ammazzarci anche grazie al silenzio colpevole di gente che non ha idea del danno che sta facendo. Silence=Death

Sandro Mattioli
Plus – Rete Persone LGBT+ Sieropositive – aps

La Profilassi Pre-Esposizione (PrEP) per l’HIV si conferma uno strumento cruciale nella lotta contro l’epidemia, con l’obiettivo globale di “getting to zero” nuove infezioni entro il 2030, come stabilito dal piano UNAIDS. A livello mondiale, si stima che circa 3,5 milioni di persone assumano regolarmente la PrEP, con un target di 21 milioni di utilizzatori globali entro il 2025. In Europa, l’obiettivo è di circa 500.000 persone in PrEP.

La Situazione Italiana: Un Aumento ma con Disparità
In Italia, l’utilizzo della PrEP ha visto un incremento significativo, soprattutto dopo l’introduzione della rimborsabilità nel maggio 2023. I dati della coorte PrIDE (Prevention ICONA Dedicated Ensemble) mostrano un aumento degli utilizzatori PrEP da circa 11.325 nel 2023 a oltre 16.220 nel 2024, con un incremento percentuale del 43.22% a livello nazionale. Le regioni con il maggior numero di utilizzatori si confermano Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna, che insieme rappresentano circa il 76% del totale.

Nonostante l’aumento, l’accesso alla PrEP in Italia presenta ancora delle disparità.

La coorte PrIDE evidenziano come la maggior parte degli utilizzatori sia costituita da uomini gay italiani (98.5%), con un’età mediana di circa 36 anni, un buon livello di istruzione e un lavoro stabile. Le donne cisgender e transgender rappresentano meno del 2%, e meno del 5% ha meno di 25 anni, indicando un accesso limitato per diverse popolazioni ad alto rischio.

Sfide nell’Informazione e nell’Accesso
Un recente studio condotto da Anlaids Torino e Brescia Checkpoint ha esplorato le barriere nell’accesso all’informazione sulla PrEP per donne cisgender, donne transgender, uomini transgender e persone non binarie con cervice.

I risultati mostrano che il 72.2% delle persone testate per l’HIV non ha ricevuto informazioni sulla PrEP dai fornitori di servizi di test, in particolare nei contesti sanitari istituzionali. La mancanza di informazioni adeguate (32.9%), la percezione di un rischio non elevato (34.8%) e le barriere socioeconomiche (33.5%) sono tra i fattori chiave che impediscono a queste popolazioni di iniziare la PrEP. Solamente 12 persone tra i 765 intervistati hanno dichiarato di utilizzare la PrEP.

L’Avvento della PrEP Iniettabile
Un’importante novità è l’introduzione della PrEP iniettabile a lunga durata d’azione (cabotegravir), autorizzata da EMA nel 2023 e classificata da AIFA nel marzo 2024. A gennaio 2025, circa 200 persone hanno ricevuto questa nuova formulazione in centri pilota come l’Istituto Spallanzani di Roma e gli Ospedali Sacco e San Raffaele di Milano. Anche tra questi utilizzatori, la maggior parte sono uomini cisgender. Le ragioni principali per la scelta della PrEP iniettabile includono la scarsa aderenza alla PrEP orale (36%) e l’utilizzo di chemsex (14%).

Questa nuova opzione apre nuove prospettive per la prevenzione dell’HIV, offrendo maggiore comfort e riducendo le sfide legate all’aderenza. Tuttavia, pone anche nuove sfide organizzative e la necessità di ampliare l’accesso attraverso centri comunitari e non clinici, per garantire una copertura più capillare e inclusiva.

Approfondimenti:

Si terrà sabato 14 giugno, presso il Royal Hotel Carlton con inizio alle ore 9, la conferenza “10 Anni che (Pre)veniamo”, un momento di riflessione e confronto dedicato al ruolo dei Checkpoint nella salute pubblica, intesi anche come spazi di autodeterminazione per le persone LGBTQIA+.

Tradotto, vuol dire che ci confronteremo su un tema assolutamente insolito, di cui non si parla quasi mai in Italia:

HIV

I Checkpoint a questo servono principalmente: diffondere informazioni corrette su come evitare l’HIV e, ormai che ci siamo, le altre principali infezioni a trasmissione sessuale (IST). Si, i checkpoint sono uno strumento di prevenzione e pure efficace, come avremo modo di mostrare durante la nostra piccola conferenza.

Saranno presenti Sandro Mattioli, che dirige il BLQ Checkpoint, ma anche esponenti dei principali Checkpoint italiani (Milano e Roma) e internazionali: Barcellona e Atene. Centri di area mediterranea coi in quali collaboriamo frequentemente.

Questo anniversario è in sé un traguardo inatteso. Ricordo con affetto la conferenza stampa di inaugurazione del BLQ Checkpoint alla presenza del Sindaco Merola e dell’Assessore Rizzo Nervo. Ed è incredibile che il centro sia ancora aperto grazie al lavoro dei volontari e nonostante gli innumerevoli ostacoli che la burocrazia sanitaria ci ha creato negli anni e anche ultimamente, a tratti anteponendo norme e leggi nate per tutt’altro agli interessi delle persone che non vogliono fare la conoscenza con HIV.

Senza leggi ad hoc, senza fondi pubblici adeguati, con un orario di apertura al minimo sindacale che ci relega al ruolo di una startup, eppure siamo ancora qui. Teniamo duro grazie al supporto di decine di volontari che ogni anno si sobbarcano un corso di formazione formalizzato da USL di quasi 40 ore (perché HIV non è un tema che si improvvisa), fanno affiancamento e portano avanti un’idea di salute dal basso, di salute sessuale perché parlare di HIV vuol dire parlare di sesso, di pratiche sessuali ed erotiche, comprendere ciò che agli utenti piace fare e capire insieme come continuare a farle abbattendo il rischio di contagio.

Il modello di intervento checkpoint è ormai utilizzato in quasi 50 centri in Europa e anche il modello bolognese è stato reso scalabile, modulabile sulla base delle esigenze di altre popolazioni chiave, esposte al rischio di contagio da HIV o da altre patologie, come ha dimostrato il progetto Senza la C dedicato alla popolazione dei drug user senza fissa dimora, o il progetto PrEP Point Plus che ha consentito di attivare un servizio PrEP orale per MSM e persone Trans utilizzando il modello checkpoint sul tema della Profilassi Pre-Esposizione.

Una progettualità che parte da lontano, fatta di survey sociali tese a capire quali fossero i bisogni delle popolazioni chiave nella regione per poi strutturare interventi mirati. Oggi possiamo dire che nell’area vasta di Bologna i casi di diagnosi tardive di HIV, ossia persone che ricevono la diagnosi quando sono già in aids o prossimi a diventarlo, sono visibilmente al di sotto nella media regionale.

Purtroppo non sappiamo quanto dureranno questi bei risultati, perché il BLQ Checkpoint – il primo ad aprire in Italia – cerca disperatamente di sopravvivere ma potrà andare avanti ancora a lungo a combattere da solo, senza leggi, senza fondi certi, senza poter dare agli attivisti la possibilità di un percorso di professionalizzazione come fanno altre associazioni in Italia (ANT, Uniamo) o all’estero (AIDES), agevolazioni dedicate stante che operiamo in sussidiarietà orizzontale per migliorare la salute pubblica.

La conferenza è gratuita, ma è necessaria la registrazione inviando una mail a info@plus-aps.it

clicca qui per il programma
clicca qui per il comunicato stampa
clicca qui per l’invito
clicca qui per il video messaggio dell’Assessore Regionale alla Salute Massimo Fabi

Presentazioni:

BLQ Checkpoint 10 years of success and hardship, Sandro Mattioli
BCN Checkpoint: Impact on Public Health and Future Challenges of a Community Center for MSM and TGP, Michael Meulbroek
13 years of Checkpoint in Greece, Stergios Matis
Checkpoint Plus Roma: a Pleasure-based approach, Filippo Leserri
Driving Innovation in Prevention: The Milano Check Point Experience, Enrico Caruso

Sandro Mattioli
Plus aps
BLQ Checkpoint

Il 16 aprile di due anni fa ci ha lasciato Stefano Pieralli e ancora non mi sembra vero.
Per quei pochi che non lo conoscevano, Stefano è stato un attivista di lunga data, presente nel movimento fin dall’età di 17 anni, poco propenso ai compromessi di partito o, meglio, a reggere il moccolo a chi ha fatto compromessi di partito, Stefano ha incarnato l’anima critica dell’attivismo LGBTQ+. Mai banale o scontato, la sua visione politica e sociale, il suo metodo di azione e di analisi hanno fatto scuola.

Per Plus, Stefano Tallulah Pieralli è stato uno dei fondatori dell’associazione e punto di riferimento politico.
È grazie a lui se abbiamo dato il via alla prima Rete di Persone LGBT+ Sieropositive in Italia. In un movimento che si occupava (e si occupa) principalmente di diritti per le persone LGBTQ+ e dove quelle stesse persone se HIV positive, dovevano rivolgersi altrove, era chiaro che qualcuno doveva farsi carico di ricostruire una comunità di riferimento che fosse d’aiuto e sostegno, che implementasse le buone pratiche viste in altri contesti e Paesi, che puntasse all’empowerment previsto dai principi di Denver, che cercasse di porre sotto controllo le nuove diagnosi di HIV nella nostra comunità, ancora molto colpita dal virus dell’immunodeficienza.

Con Stefano abbiamo avviato riflessioni politiche che ci hanno portato a prendere la decisione di coinvolgere la politica locale e regionale, gli enti pubblici, nel percorso di lotta contro HIV. Abbiamo scelto di combattere HIV sia pensando alle persone che vivono con HIV, sia in termini di prevenzione aprendo il primo centro di comunità in Italia che offre counselling e test per HIV, HCV e sifilide: il BLQ Checkpoint.
Riflessioni e scelte di ordine politico, ma sempre guidate dalla ricerca scientifica. Cosa che potrebbe sembrare ovvia ma in Italia non lo è affatto, stante la evidente fatica per ottenere che le innovazioni scientifiche entrino a far parte della pratica clinica.

Ne è un esempio lampante il percorso della PrEP che in Italia è stata resa disponibile a pagamento a ottobre 2017 e per tutti a maggio 2023, con buona pace delle nuove diagnosi (FDA in USA ha approvato la PrEP nel luglio 2012!). Un percorso fatto di ritardi e stigma, che ha portato Plus ad aprire un servizio dedicato, il PrEP Point, a marzo 2018, pochi mesi dopo l’autorizzazione di AIFA.
Un percorso di colpevoli ritardi e stigma che vediamo replicare oggi con i nuovi farmaci a lunga durata che, con buona pace dell’efficacia e dell’incremento della aderenza terapeutica, in Italia AIFA sta ancora pensando se autorizzarli.
A Bologna il BLQ Checkpoint è già pronto per avviare uno studio di fattibilità sull’utilizzo dei farmaci a lunga durata erogati nel nostro centro community-based. Purtroppo i ritardi di AIFA e i timori dell’Azienda ospedaliera, hanno bloccato tutto per ora. Tanto per rimarcare quanto la situazione italiana sia complicata da vari potentati con i pazienti in mezzo e per dirvi quanto il lavoro delle associazioni sia vitale in questo quadro.

La lotta per farla finita con HIV, come avete letto, è dura e trova ostacoli a volte anche dove ci si aspetterebbe collaborazione.
Siamo consapevoli di questo e non arretreremo di un passo anche grazie all’efficace lavoro svolto da Stefano Pieralli, un lavoro che continuiamo a portare avanti. Il lento lavoro di HIV ci ha privato di Stefano ma non del suo esempio.

Sandro Mattioli
Plus aps

Ormai è cosa nota che i farmaci più recenti (ma anche quelli meno recenti) fanno ingrassare. La plenaria di oggi verteva su questo tema. Purtroppo è stata una lettura in parte deludente, vediamo come mai.

La dott.ssa Jordan Lake, University of Texas Health, Science Center at Houston ha portato la relazione Weight Gain in People With HIV. Non bastava HIV, pure l’aumento di peso (!) ed è partita in quarta con la slide “Global obesity epidemic”. Quindi, un problema consistente e mondiale.

In effetti presenta uno studio dove, in alcuni casi, la prevalenza di obesi nelle PWHIV arriva a superare il 50% e un altro dove l’indice di massa corporea vedere un consistente incremento 12 mesi dopo l’inizio della terapia, rispetto ai 12 mesi prima.

Come sappiamo l’obesità correla con problemi cardiometabolici, ma anche diabete, cancro e varie altre comorbidità, il tutto più frequente in chi ha HIV.

Queste sono conoscenze consolidate da svariati studi. Ma da qui in poi sarà un susseguirsi di punti interrogativi, di verbi al condizionale, di ipotesi se non addirittura di dichiarazione di ignoranza.

Il 13% delle PWHIV prende peso in modo consistente (superiore al 10%) entro il primo anno di inizio della terapia, né sembra che iniziare il trattamento molto a ridosso della sieroconversione sia un fattore. Ma lo switch terapeutico sugli inibitori dell’integrasi [INSTI], (Risk of Obesity, Cardiometabolic Disease, and MACE After Switch to Integrase Inhibitor in REPRIEVE, Emma M. Kileel, CROI, 2025).

In uno studio pubblicato su The Lancet (Lancet HIV, 2024 Oct; 11(10):e660-e669) è stato calcolato tale aumento di peso su pazienti che hanno iniziato la ART a un anno dalla sieroconversione. Ecco i risultati (ovviamente è stata fatta una media):

  • Bictegravi +TAF: 4,93 Kg
  • Eviltegravir + TAF: 4,18 Kg
  • Dolutegravir + TDF: 3,74
  • Dolutegravir senza TAF né TDF: 3,69 Kg
  • Raltegravir + TDF: 3,39 Kg

(si veda anche Changes in Cardiometabolic Parameters After ART Initiated Within 1 Year of HIV Acquisition, Nikos Pantazis et al., 826, CROI 2025)

In molti studi l’aumento di appare più importante nelle donne, negli afroamericani/africani, nelle persone con HIV anziane e con una malattia da HIV seria… però non c’è uniformità di dati a livello mondiale.

Diversi studi attribuiscono al TAF un aumento di peso mediamente di 1\2 Kg, ma se assunto insieme agli INSTI sembra essere additivo o sinergico. Questo accade a causa di un meccanismo che ignoriamo completamente. Ma sappiamo che l’aumento di peso è costituito da grasso.

Ancora, uno studio open-lable, randomizzato, multicentrico, dal simpatico nome “PASO DOBLE” ci informa che anche con viremia soppressa, in caso di switch su INSTI ci dobbiamo aspettare un aumento di peso clinicamente significativo superiore al 5%. Nello studio gli arruolati erano randomizzati a passare a DTG/3TC (dolutegravir/lamivudina ossia il Dovato) o BIC/FTC/TAF (bictegravir, emtricitabina e tenofovir alafenamide ossia il Biktarvy). Nello studio il Dovato si è comportato un pochino meglio del suo concorrente ma di qualche etto.

Inoltre, HIV, ART, obesità e anzianità nelle persone con HIV portano più rapidamente alla obesità sarcopenica ossia un calo della massa muscolare il cui posto viene preso dal grasso, il che porta a problemi cardiovascolari, cancro, diabete, fratture, una generale fragilità. Capite perché insisto nel dire che HIV è in grado di aggirare il blocco dell’AIDS e ci ammazza per altre vie? In tutto questo le conclusioni della relatrice sono una meraviglia:

  • i meccanismi non li conosciamo
  • non ci sono dati sufficienti per imbastire una strategia preventiva o tesa a invertire il processo di aumento di peso
  • servono ulteriori ricerche

Un rapido accenno agli studi pubblicati in forma di poster, trovate le immagini in fondo all’articolo. Al CROI ovviamente ci sono i poster elettronici, ma viene anche data la possibilità di esporli. Francamente è bello poter passeggiare fra i corridoi pieni di studi, una specie di viale della scienza.

Lo studio Online and Less Frequent Monitoring of Oral HIV PrEP Use Are Noninferior to Standard of Care, Marije L. Groot Bruinderink et al., ci informa che le persone in PrEP possono essere viste online e ogni 6 mesi senza che questo causi problemi. Parlando con la ricercatrice è emerso che questo studio olandese ha si arruolato 469 persone analizzate per un anno, ma erano mediamente persone con una alta conoscenza di HIV, sicuramente persone da mettere in PrEP ma con un rischio di contagio tutt’altro che alto. Quando le ho parlato del nostro campione, anche lei ha concordato che è meglio vederli ogni 3 mesi. Tuttavia un ragionamento sulla minoranza del nostro gruppo che non corre rischi alti si potrebbe fare.

A seguire lo studio Self-Reported Frequent vs Infrequent HIV Risk and Actual Diagnoses in MSM: Implications for PrEP, N. Salvadori et al., ci informa che il sesso senza condom con partner casuali è associato a un alto rischio di contagio a prescindere dalla frequenza. In questi casi la PrEP daily o on demand dovrebbe essere raccomandata.

Uno studio niente meno che dell’Università Cattolica di Milano, Asymptomatic Sexually Transmitted Infections in a Population of High-Risk Men Who Have Sex With Men, P. F. Salvo et al., ci informa che le IST asintomatiche sono estremamente comuni fra gli MSM e che gli screening regolari sono fondamentali per il rilevamento e il trattamento. Con buona pace di chi ha coniato il termine “pcerrite” e vuole testare gli MSM ad alto rischio ogni 6 mesi, o se sintomatici.

Lo studio Support for Over-the-Counter PrEP Among Transgender Women and Transfeminine Nonbinary People, L. R. Violette, Harvard Medical School, Boston mi ha molto divertito soprattutto al pensiero di mostrarlo agli infettivologi o ai farmacisti ospedalieri. Per il momento si tratta solo di uno studio teso a registrare il gradimento (ma pensano di andare avanti). L’ipotesi è quella di trasformare la PrEP in farmaco da banco, ottenibile senza ricetta in farmacia oppure online. L’idea nasce dalla difficoltà che diverse persone trans e non binarie hanno a sobbarcarsi tutta la procedura per ottenere il farmaco per la PrEP. Con questo metodo non avrebbero problemi.

Da ultimo lo studio catalano, Impact of a New Opt-In Targeted Strategy for HIV Testing in Emergency Departments, J. Guardiola, Hospital de la Santa Creu i Sant Pau, Barcelona, Spain, è interessante ed esportabile. Nei pronti soccorsi hanno proposto il test per HIV ai pazienti che ricevevano almeno una di queste 6 “diagnosi”:

  1. Infezione sessualmente trasmissibile (IST)
  2. polmonite community-acquired
  3. sindrome da mononucleosi
  4. herpes zoster solo persone fra i 18 e i 65 anni
  5. chemsex
  6. PEP

Questa strategia non sembra aver dato i risultati sperati, nel senso che a fronte di una crescita percentuale del numero dei test ordinati e eseguiti (769.134 in 7 anni), ma il numero di nuove diagnosi (309) è rimasto invariato sul percentuale durante il periodo studiato (2017 al 2023).

Un po’ di memoria. Qua e la nelle aule della conferenza, gli organizzatori hanno esposto alcuni Memorial Quilt, le coperte dei nomi. La Names Project AIDS Memorial Quilt, la inventò nel 1987 Cleve Jones per ricordare i morti di AIDS.
Negli anni ‘80 spesso i morti per AIDS non ricevevano neppure un funerale a causa dello stigma. Jones diede vita al progetto per consentire di commemorare i propri cari realizzando pannelli di stoffa, le coperte appunto, con impressi disegni, pensieri a ricordo della persona amata.
Ogni pezzo è stato cucito all’altro a formare grandi coperte.
Nel 1996 le coperte sono state stese davanti al Campidoglio: 38.000 pannelli a ricordo di 70.000 persone morte occupando lo spazio di 20 campi da calcio. Porterà a una grande presa di coscienza del problema AIDS. Ho pensato che fosse carino ricordarlo e pensare per un momento a Giulio, Stefano, Massimofinché ricordiamo, coloro che amiamo non se ne sono mai veramente andati.

Sandro Mattioli
Plus aps