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Per capire meglio verso quale direzione muoverci come associazione, è sempre buona cosa ascoltare la voce delle persone interessate, in questo caso le persone che vivono con HIV e che attualmente sono in terapia con i farmaci Long Acting iniettivi.

Abbiamo realizzato un questionario breve e anonimo, ci date una mano con il vostro parere?

Ecco il link: https://bit.ly/longacting

Se riusciamo a raccogliere un po’ di pareri, sarà più facile indirizzare le politiche dell’associazione e ottenere risultati migliori.

Grazie.

Sandro Mattioli
Plus aps

Il fiocco rosso come simbolo della lotta contro HIV, è stato introdotto nel 1991… nel 2023 sembra che serva ad altro.

A molti attivisti, persone vicine a Plus, o più semplicemente persone che vivono con HIV, è sembrato strano o, meglio, indelicato il fatto che oggi per domani sia stato riassegnato alla lotta contro la violenza alle donne. Tema assolutamente degno di tutto l’interesse sociale che, giustamente, sta suscitando ma questo “scippo” – come ormai viene definito da molte persone con HIV – era davvero necessario? E, soprattutto, a molti appare chiaro che l’utilizzo del fiocco rosso per altro presuppone che nessuno sappia che quello è il nostro simbolo. In effetti questa azione rischia di sancire l’invisibilizzazione del tema HIV in Italia. Cancellato dalla lotta contro il patriarcato.

Il colore rosso in sé è usato per sensibilizzare l’opinione pubblica su molte campagne o problemi sociali che spesso ci vedono ancora fermi al Medioevo, ombrelli rossi per il sex working, le scarpe rosse sono state esposte più volte nelle piazze appunto contro la violenza contro le donne. Era proprio necessaria questa appropriazione?

Forse qualcuno pensa, impropriamente, che HIV abbia finito la sua corsa, che non si muoia più, che i contagi sono ormai limitati a poche categorie di persone (come si diceva un tempo), in sostanza che sia un problema risolto. Perfino qualche clinico arriva a sostenere che, in fondo, prendete una pillola al giorno che sarà mai!

Mi dispiace tanto svegliarvi dalla pigrizia mentale che, a tratti, sembra colpire la popolazione italiana spesso convita che se non se ne parla pressoché più, allora il problema non esiste. Ma le cose stanno diversamente.

Sicuramente è vero che grazie ai farmaci molto potenti l’aspettativa di vita delle persone che vivono con HIV è aumentata fino ad arrivare, in caso di diagnosi precoce, ad essere sovrapponibile a quella della popolazione generale. Ma in Italia abbiamo una percentuale di diagnosi tardive, ossia persone che ricevono la diagnosi quando sono già in Aids o prossimi a diventarlo, altissima. Tra le più alte d’Europa. Il ché è un brutto presagio che indica come sul piano della prevenzione ci sia ancora tanto da lavorare perché ben oltre la metà delle persone che si contagiano oggi non avrà affatto una diagnosi precoce né, verosimilmente, un’aspettativa di vita uguale a quella della popolazione generale.

Inoltre, l’orientamento corrente della ricerca ci porta a pensare, dati alla mano, che le persone con HIV tendono ad invecchiare precocemente, molto probabilmente a causa dell’altro modo che usa HIV per ammazzarci: l’attivazione del sistema immunitario. Un’attivazione che, a sua volta, attiva un processo infiammatorio cronico nelle persone con HIV. Praticamente un campanello d’allarme che squilla dal cervello ai talloni, stressa organi, cellule, ecc. e che, con ogni probabilità, è la causa dell’elevata incidenza di patologie oncologiche e cardiovascolari nella popolazione che vive con HIV. Si insomma HIV ci ammazza di cancro o di malattie cardiache, ci mette solo molto più tempo rispetto all’AIDS.

Inoltre, non potremmo essere più lontani dalla soluzione vera del problema ossia una cura eradicante per la quale i ricercatori, anche internazionali, ammettono a denti stretti che non abbiamo le conoscenze per togliere HIV dal nostro corpo. E anche la cosiddetta cura funzionale, ossia lasciamo HIV dov’è ma lo teniamo bloccato con qualche farmaco (soluzione che non mi sembra risolva il tema dell’infiammazione cronica), è tuttora nella fase delle “challenge”, le sfide, come si legge ancora in numerosi studi scientifici. In altre parole stiamo ancora cercando di capire come risolvere il rebus. Anche gli studi sui vaccini preventivi stanno fallendo uno dopo l’altro da anni, dunque forse non siamo particolarmente advanced pure li.

Da ultimo aggiungo che anche se abbiamo la fortuna di nascere in Italia, dove abbiamo punte del 98% di persone con HIV non più contagiose perché in terapia efficace, ma anche quasi 2.000 nuove diagnosi l’anno scorso, l’OMS ci informa che ci sono stati oltre 630.000 decessi a causa dell’azione di HIV globalmente. E aggiungo anche che in Italia è ormai tradizione combattere contro gli strumenti di prevenzione per vari motivi, non ultimo quello religioso. Il condom ha subito per anni gli strali della gerarchia cattolica anche ai massimi livelli, il femidom quasi nessuna sa che esiste, la PrEP ultimamente subisce attacchi, a tratti scomposti sia da alcuni fra coloro che hanno giurato di curarci, sia dalla nostra stessa comunità LGBTQ+ sempre pronta al giudizio (verso gli altri ovviamente).

Pertanto chiudo pensando che HIV è ben lontano dall’essere un problema risolto e né nascondersi dietro a ignoranza o pressapochismo, né fare a cambio con altre situazioni sociali pesanti, potrà cambiare questa realtà. Invece di scambiarci i fiocchi, scambiamoci aiuti perché ne abbiamo tuttə ancora tanto bisogno in questo Paese così arretrato.

Sandro Mattioli
Plus
Rete Persone LGBT+ Sieropositive

Come ogni anno dal 2013 ad oggi, la nostra associazione aderisce alla European Testing Week, ossia la settimana europea del test.
Una iniziativa europea tesa a promuovere il test per HIV, che quest’anno si terrà

dal 20 al 27 novembre e vedrà il BLQ Checkpoint aperto tutti i giorni dalle 18 alle 20,30.

Sarà possibile prenotare per telefono (0514211857) i test per HIV, epatite C e sifilide al mattino dalle 9 alle 12 o al pomeriggio dalle 18 alle 20; oppure via mail su prenota@blqcheckpoint.it oppure passando a prenotare direttamente in sede, in via S. Carlo 42C a Bologna.

Il tutto grazie all’impegno dei nostri attivisti e con il supporto del personale infermieristico di USL Bologna.

HIV è ancora oggi un’infezione troppo sotto stimata. Infatti nella nostra Regione le persone che ricevono una diagnosi di HIV quando sono già in AIDS, o prossimi a diventarlo, sono ancora oltre il 60% dei nuovi casi di HIV.

Come spesso accade, ricevere una diagnosi tardiva implica una serie di problemi a partire da una minore possibilità di avere un’aspettativa di vita paragonabile a quella della popolazione generale. Tutto il contrario in caso di diagnosi precoce.
Inoltre oggi, grazie alla potenza dei farmaci, le persone HIV positive in terapia efficace non trasmettono il virus per via sessuale. Un traguardo di conoscenza molto importante che ci aiuta a combattere la discriminazione e il pregiudizio e che, insieme a tutte le associazioni di pazienti e di lotta contro HIV e con il supporto di Simit, stiamo promuovendo grazie alla campagna impossibile sbagliare, che vi consiglio di guardare.

Se non c’è memoria non c’è futuro.

Giulio Maria Corbelli
15 ottobre 1966
6 novembre 2022

E noi vogliamo entrambi. Un anno fa ci ha lasciato Giulio.

Ha lasciato Plus e Plus Roma, EATG, Mosaico solo per citare gli impegni più recenti e ancora in corso. Ha lasciato un grande vuoto che nessuno potrà mai colmare ma anche un grande esempio, una vera e propria eredità.

Lo ricordiamo sempre tutti per quella bella persona che era, per come è rimasto nei nostri cuori e nelle nostre menti. Ci siamo presi la tua passione, la tua serietà professionale, la voglia di sperimentare, la voglia di divertirci. Sarai sempre nelle cose che facciamo.

Sandro Mattioli
Plus aps

La Conferenza EACS 2023 si avvia al termine. Ormai buona parte dei quasi 3.000 delegati e delle delegate se ne sono andati, il che non è mai un buon segno. Ma incominciamo con gli aspetti positivi a partire dal fatto che la nostra piccola associazione è riuscita a portare alla conferenza Enrico Turchetti, uno dei nostri attivisti più “attivi”. Enrico, alla sua prima esperienza, ha praticamente svernato in conferenza, passando da una sessione all’altra come se non ci fosse un domani, salvo poi chiedersi “come mai sono così stanco?”.

Con questa conferenza, posizionata a Varsavia, è palese che si è voluto dare un segnale politico di attenzione rispetto alla situazione dell’Est Europa, che non è affatto buona in termini di nuove diagnosi. Una situazione favorita anche dalle politiche di alcuni governi, incluso quello polacco (che però ha appena perso le elezioni, per cui speriamo bene) che discriminano invece di tutelare. Vi ricordo che la Polonia è quella della “LGBT free zone” e così via. In generale, i dati di incidenza che ci hanno mostrato nel corso della conferenza, vedono un’alta percentuale di diagnosi da rapporti sessuali etero (in larga maggioranza maschi), pochissimi dicono di essere gay in questi paesi ovviamente, chi vorrebbe essere discriminato per l’orientamento sessuale e poi pure per lo stato sierologico?

Queste politiche sciagurate incidono sulla prevenzione, che ovviamente non viene rivolta laddove HIV si annida. Sorte simile tocca agli Injection Drug User (IDU) per i quali, in alcuni Paesi, le strategie di riduzione del danno (siringhe pulite, sostanze sostitutive, ecc.) semplicemente non sono attivate o addirittura vietate. Quindi non c’è da stupirsi che HIV ringrazi i governanti e corra libero in Europa dell’Est.

C’è stata molta presenza di attivisti in questa conferenza sia locali, che da altri Paesi (fra cui l’Italia) e un grosso sforzo organizzativo da parte di EATG (European Aids Treatment Group) una splendida associazione continentale che ha organizzato la formazione “STEP” sulla cura, dedicata a Giulio. Abbiamo potuto finalmente rivedere attivisti da tutto il Continente, riallacciare i rapporti, scambiarci pareri ed esperienze… insomma abbiamo fatto community e svolto il nostro ruolo principale, cosa che non sembra ancora chiara in Italia.

Di base ad ogni conferenza io cerco di seguire soprattutto le sessioni in plenaria, perché di solito sono le più importanti o con nomi “di grido”. Sicuramente la lettura magistrale del dott. Molina sulla PrEP è stata la meglio eseguita.
Finalmente anche in Europa si è parlato di co-patologie legate a HIV. Ebbene sì HIV non ha affatto esaurito la sua storia e non solo perché non abbiamo le conoscenze per realizzare una cura eradicante (ossia l’unica cura vera), ma perché HIV incrementa il rischio di una serie di patologie.
Situazione che noi viviamo quotidianamente, ma che in Italia è ancora poco trattata.
Belle anche le sessioni sull’incremento delle IST, sull’invecchiamento precoce delle persone con HIV, sull’utilizzo di Cabotegravir come PrEP.

Passiamo agli aspetti negativi.

Di regola non partecipo spesso alla conferenza EACS perché da diverso tempo è stata di fatto “declassata” a congresso utile a riportare a livello continentale quello che viene detto nelle conferenze più importanti (CROI, IAS). Allora tanto vale andare in quelle importanti. Anche dal confronto con ricercatori e medici, è emerso che la ricerca è quasi completamente mancata in questa conferenza. Aggiungo che alcune sessioni sono stati organizzate male, con panelist che esponevano dati vecchi, con un inglese stentato e pochissimo engagement con il pubblico, per esempio la sessione sul Mpox che è stata tra le più noiose, tranne che per le relazioni di Nicolò Girometti (ex

specializzando del S. Orsola, serenamente emigrato verso lidi dove i professionisti brillanti vengono apprezzati), più vicine a una lecture per la qualità dei dati e l’eleganza espositiva. Ne approfitto per scusarmi con Nicolò che nel salone mi è passato sotto al naso, mi ha salutato passando un po’ di fretta e io non l’ho riconosciuto subito… gioie dell’età.

Solo una piccola nota fastidiosa dovuta al fatto che in ben due occasioni non mi è stato possibile entrare nelle sessioni perché riservate ai prescrittori. In sintesi, erano sessioni governate da due case farmaceutiche che hanno deciso chi poteva entrare e chi no. Non mi è mai capitato prima ed è davvero strano, neanche dovessero contrattualizzare una operazione di corruzione.
Care aziende se lasciate fuori gli attivisti, soprattutto se persone con HIV che quelle pillole le ingoiano, non fate una bella figura né in termini di trasparenza, né in termini politici.

Mi dispiace sottolineare come le associazioni locali tendessero a giustificare la situazione adducendo motivi tecnico-normativi (neanche la Polonia fosse questo faro del diritto globale), mi è parso evidente che sfuggisse il punto politico della decisione delle multinazionali del farmaco.

Sandro Mattioli
Plus aps

La plenaria della terza giornata della conferenza, si apre con una relazione sulle comorbidità correlate a HIV… ma allora non esiste solo l’aids e le aids correlate!

La dott.ssa Susanne Dam Nielsen dell’ospedale universitario di Copenaghen Rigshospitalet, parte in quarta dichiarando le determinanti sociali che correlano direttamente con l’aspettativa di vita delle persone HIV+
:…. Vi lascio il tempo di andare a prendere talismani vari e fare gesti apotropaici… fatto?

  • il genere
  • l’etnia
  • la situazione sociale ed economica
  • il fumo, l’alcool, l’uso di sostanze illecite
  • la salute mentale

Posto che all’età di 40 anni la popolazione generale vanta un’aspettativa di vita di 40,7 anni ulteriori e che noi MSM e gli etero siamo subito sotto ma di poco (ma comunque sotto), vediamo quali sono gli eventi che abbassano l’aspettativa di vita.

Al primo posto le patologie cardiovascolari (CVD). Rispetto alla popolazione generale, le persone con HIV hanno il doppio del rischio di ischemia CVD (Infarto del miocardio e stroke inclusi), che sale a tre volte in caso di ostruzione di arterie. Le CVD causate da HIV sono triplicate negli ultimi 20 anni. Bene l’infarto del miocardio colpisce di più le donne con HIV.
Ma non è tutto: l’arresto cardiaco, più comune nei giovani con HIV; la SCD (sudden cardiac death) è una delle maggiori cause di morte nella popolazione con HIV: 1/3 dovuta a uso di sostanze.

E poi c’è il fumo che è decisamente prevalente nelle persone con HIV che nella popolazione generale.

Il fumo sembra far gruppo insieme ad altre determinanti sociali della salute come l’alcool, assumere sostanze per via iniettiva (IDU), salute mentale, fattori socio-economici ossia avere i soldi per occuparsi di tutte quelle cose.

La ricercatrice chiude scrivendo in grassetto che il fumo è la barriera che impedisce alle persone con HIV di raggiungere la stessa aspettativa di vita della popolazione generale e che se tutti i sieropositivi smettessero di fumare, ci potrebbe essere il 42% di infarti in meno.

Ma il peggio arriva per chi usa sostanze per via iniettiva (IDU) perché è alto il rischio di una aderenza e, quindi, di una soppressione virale subottimale. Gli IDU con HIV hanno un’aspettativa di vita molto più bassa della popolazione generale e delle altre persone con HIV.

Quindi, in conclusione:

  • le persone con HIV hanno un’aspettativa di vita minore che compensiamo con un maggiore rischio cardiovascolare (CVD). Aggiungere il CVD nei controlli periodici che fanno persone con HIV potrebbe essere vitale;
  • la presenza di replicazione virale e un basso nr di CD4, sono un elemento di rischio cardiovascolare;

Bene ora passiamo ai polmoni delle persone con HIV. La broncopneumopatia cronica ostruttiva (COPD) è un’affezione respiratoria con colpisce il 30% delle persone con HIV, un rischio più alto di quello della popolazione generale e, anche su questa co-patologia, fumare peggiora la situazione unitamente all’avanzare dell’età. Di nuovo la replicazione virale, un basso nr di CD4 ma anche una pregressa TB o pneumocisti incrementano il rischio. La funzionalità polmonare in genere peggiora con l’avanzare dell’età, ma con l’HIV peggiora più rapidamente di circa 8-10 mL/anno… peggio per chi fuma… peggio se sei afro-americano… peggio se vivi in Africa. Come sempre devi avere il culo di nascere nel “Paese giusto” e non solo. Quindi in conclusione: HIV è in sé un fattore di rischio per la COPD.

In una successiva sessione è stato affrontato il tema dei long acting, ossia dei farmaci a lunga durata contro HIV. Parliamo soprattutto di cabotegravir+ rilpivirina long acting (CAB+RPV LA) la cui efficacia è stata dimostrata ormai da diversi studi. In alcuni studi è emerso un rischio parziale di fallimento terapeutico e di insorgenza di resistenze. Parliamo di pochissimi casi che, tuttavia, vanno monitorati. Sono stati mostrati studi che hanno dimostrato la soddisfazione dei pazienti che hanno preso in considerazione il minor uso di pillole, l’ansia per l’aderenza alla terapia, la paura di essere visti durante l’assunzione quotidiana delle pillole o anche la scatola delle pillole in casa, nonché il fatto che l’assunzione giornaliera delle pillole comporta un continuo ricordarsi di avere HIV; sono uscite le linee guida sia di EACS che di IAS per questi farmaci che, sul piano clinico, possono essere proposti ad adulti in soppressione virologica, senza pregressi fallimenti virologici con gli inibitori della trascrittasi inversa e dell’integrasi, ecc. in molti centri clinici italiani devi essere puntualissimo agli appuntamenti e non ti devi azzardare a chiedere di spostarli perché sudano ad affrontare questo genere di problemi logistici ed è più comodo tornare alle pillole al primo accenno di problema… In tutte le conferenze, e anche EACS non fa differenza, i ricercatori insistono nel dire che i farmaci LA sono perfetti per chi ha problemi di aderenza ma, evidentemente, costoro non hanno tenuto conto di altri fattori.

Oltre alla terapia anti retrovirale long acting, ci sarebbe anche la raccomandazione di OMS per l’uso di CAB come prevenzione da HIV e come parte di un programma completo di prevenzione. Infatti, anche se l’attuale PrEP con Tenofovir/Emtricitabina è utilizzabile da tutti, non ha dimostrato la stessa efficacia per tutti per esempio nelle donne.

La PrEP con CAB LA potrebbe andare a coprire altri gruppi sociali vulnerabili. Potrebbe essere una sfida interessante alla quale i Checkpoint italiani potrebbero dare un contributo ora che ci siamo un po’ sviluppati e che sono presenti anche in altre aree del Paese non solo a Bologna e a Milano. EMA ne ha approvato la commercializzazione un mese fa, ma la Francia è già partita con uno studio locale. Non capirò mai perché l’Italia arriva sempre tardi agli appuntamenti con la prevenzione.

Suggerisco di riprendere in mano il cornino rosso perché stanno per riprendere le sfighe.

Una sessione interessante ci ha aggiornato sul tema delle infezioni sessualmente trasmissibili (IST). Parte con la prospettiva globale che vede 128 milioni di casi di clamidia, 82 di gonorrea, 7 di sifilide, sono dati del 2020. Si aggiungano stigma, impotenza, problemi di gravidanza, cancro, la diffusione delle resistenze ai farmaci, il rischio di HIV. L’Europa del resto, con i suoi 12 milioni di casi di clamidia non si fa ridere dietro. La ricercatrice ha insistito molto sulla mancanza di un modello statistico comune europeo, ma anche sul fatto che per HPV, le epatiti A e B la copertura vaccinale in Europa è del tutto insufficiente.

Chiudo rapidamente con alcuni dati relativi alla sessione sull’invecchiamento delle persone con HIV e dei problemi anticipati che questo comporta.
La prevalenza di fragilità cognitiva nelle persone con HIV di più di 50 anni è più alta di quella della popolazione generale di età maggiore di 65 anni.
Il numero di anni vissuti con HIV è associato a una maggiore fragilità cognitiva, il che porta a pensare che HIV in sé sia un fattore di rischio per lo sviluppo di queste condizioni, con ogni probabilità a causa dell’infiammazione provocata dalla presenza di HIV nel corpo.

Anche nella conferenza EACS, come in tutte le principali conferenze, questi temi vengo affrontati con sempre maggior frequenza. Mi chiedo quando accadrà anche nei reparti di malattie infettive.

Sandro Mattioli
Plus aps

La seconda giornata della conferenza EACS in corso a Varsavia, inizia con una splendida lettura del dott. Molina, il “papà” della PrEP on demand usata da almeno il 50% degli utenti in PrEP.

Chi meglio di lui poteva impostare una lecture dal titolo “Going beyond HIV and STIs with PrEP and PEP” (Superare l’HIV e le malattie sessualmente trasmissibili con la PrEP e la PEP).

Solo questo incipit è già tutto in programma per il nostro Paese dove ancora c’è chi pensa che chi ha preso HIV è perché se l’è andato a cercare, che chi usa PrEP o PEP è uno che si espone volontariamente a rischi molteplici o si è già esposto ad essi, a seconda della strategia di prevenzione scelta.

Molina, sempre preciso nelle sue relazioni, ci mostra i dati dell’infezione globale del 2022 che danno 39 milioni di persone con HIV, 1,3 milioni di nuove diagnosi. Rispetto al decennio precedente si nota un calo del 32% nelle nuove diagnosi e del 52% nelle morti per AIDS. Ma nell’Europa Orientale e in Asia centrale le nuove diagnosi sono cresciute del 52%. È l’area dove HIV cresce più velocemente nel pianeta, con un’incidenza che supera il 30%. Qualcuno dal salotto di casa propria in Italia starà già pensando chi se ne frega, ma non è così che funziona questa epidemia. Le capitali dell’Est Europa sono a un’ora di volo e se non si affronta questa situazione assurda, in buona parte causata da frequenti atteggiamenti discriminatori, anche noi rischiamo una ripresa dell’infezione.

Molina chiarisce subito che, pur in assenza del vaccino, la prevenzione è possibile e cita gli elementi principali purtroppo iniziando con

  • l’ABC (astinenza, fedeltà, condom); studi osservazionali descrivono un calo dei casi di HIV del 70-90% ma sulla reale possibilità di porre in essere questa strategia ci sono più dubbi che certezze;
  • la circoncisione maschile è accreditata di circa il 60% di riduzione della trasmissione da donna a uomo, ma è molto legata alla tradizione/religione e comunque protegge i maschi ma non le femmine come molte attiviste hanno fatto notare in diverse conferenze internazionali;
  • la strategia della riduzione del danno, in particolare fra gli IDU (Injection Drug Users), per esempio su aghi/siringhe. Efficace ma limitata a un solo gruppo esposto;
  • i farmaci antiretrovirali che si sono dimostrati efficaci nella prevenzione materno-fetale; con la PEP (Profilassi Post Esposizione), con la TASP (trattamento come prevenzione, con la PrEP (Profilassi pre-esposizione).

Negli anni la PrEP si è dimostrata altamente efficace nel prevenire l’infezione negli uomini e nelle donne ed è uno strumento essenziale nella lotta contro HIV, questo scrive Molina… dovrebbe fare un giro di conferenze in Italia.
PrEP è presente ormai in tutte le linee guida, in quelle OMS dal 2015!! Le persone in PrEP in Europa e Asia Centrale sono oltre 200.000 e l’obiettivo di OMS è di arrivare a 500.000 entro il 2025.
Poi passa a descrivere gli studi scientifici a sostegno che vi risparmio anche perché ormai dovrebbero essere noti ai lettori di Plus.

Tuttavia la PrEP come la conosciamo oggi non è priva di problemi, i due principali sono l’aderenza terapeutica e la cosiddetta “retention in care” ossia il restare in PrEP. Sono ormai diversi gli studi che evidenziano problemi degli utenti ad assumere correttamente, in orario, la PrEP. Anche in Italia lo studio ITAPreP ha riscontrato questo problema così come gli studi della coorte Kaiser in USA, o gli stessi studi di Molina in Francia. I motivi sono diversi ma sicuramente lo stigma legato alla sua assunzione gioca ancora un ruolo importante.

Il farmaco Cabotegravir di ViiV usato come PrEP una volta ogni due mesi, potrebbe risolvere questo problema dell’aderenza. È un farmaco iniettivo studiato per il lento rilascio. EMA ne ha approvato da pochissimo la commercializzazione in UE. Per cui ora la palla è nel campo della ViiV e dei rapporti che vorrà tenere con AIFA (rimborsabilità, tempi – che non saranno brevi – ecc.). Stupisce sempre il fatto che in Francia è stato avviato lo studio “Prevenir – CABOPrEP che si propone di arruolare 322 MSM e di mettere a confronto l’attuale PrEP in pillole con quella iniettiva.

Non capirò mai perché in Italia questi studi non vengono né fatti né avallati se richiesti. Da un lato siamo spesso così provinciali da guardare con supponenza gli studi degli altri, dall’altro poco propensi a farne in Italia a meno che non ci sia un primario che decida in tal senso. Secondo me questo è uno dei motivi che ci fanno spesso arrivare ultimi nel porre in essere strategie di prevenzione vincenti. Sembra quasi che si pensi che se qualcuno si contagia, pazienza… alla peggio sono froci (?).

Fra l’altro sul Cab come PrEP non sappiamo proprio tutto e abbiamo risolto tutto, studi sono ancora necessari:

quanto è onerosa l’iniezione – che oltretutto deve essere fatta da personale sanitario – prevista ogni 2 mesi, non c’è ancora chiarezza sui tempi di protezione e della cosiddetta “forgiveness”, le eventuali reazioni nel sito delle iniezioni, il costo del farmaco e l’implementazione.

Sul tema della prevenzione la Francia è un Paese da ammirare perché la PrEP è gratis dal 2016 (in Italia dal 2023 e non ancora disponibile ovunque), i condom sono sovvenzionati dal 2018, la PrEP può essere prescritta anche dal medico generico dal 2021.
Tuttavia la PrEP è ancora poco usata in Francia e buona parte delle nuove infezioni si registrano fra persone non in PrEP per lo più per paura degli effetti collaterali, per un basso livello di percezione del rischio, perché non gli è mai stata offerta, ma c’è anche chi aveva timore di essere giudicato.

Detto questo è anche chiaro che l’elefante nella stanza è il condom: il 71% degli MSM HIV negativi sotto i 24 anni non lo usa nei rapporti anali in Francia e, ovviamente, se il condom non viene usato non funziona. Va da sé che questa strategia non è efficace almeno non come è stata portata avanti fin qui in Francia… figuriamoci da noi dove i condom si pagano, e pure cari. Ma da noi non si fanno questo tipo di studi per cui il problema è già risolto.

Molina segnala anche l’incremento in Francia, ma possiamo dire lo stesso anche da noi, delle infezioni a trasmissione sessuale (IST) fra le persone in PrEP, in particolare fra coloro che hanno molti partner e non usano/usano in parte il condom. Caratteristiche confermate dagli studi portati avanti da Molina dove è emerso che il 39% dei partecipanti producevano l’89% dei casi in IST.

Da qui gli studi sull’uso dell’antibiotico doxiciclina come PEP (200 mg max dopo 72 ore dal rapporto), ovviamente con visite e controlli.
In effetti stiamo parlando di persone che, verosimilmente, avrebbero preso il farmaco perché hanno frequenti diagnosi di IST. Tanto vale che lo assumano come PEP sia pur in casi particolari. Gli studi hanno dato ragione a Molina infatti la riduzione dei contati è evidente soprattutto per clamidia.
Le linee guida internazionali (IAS 2022, EACS 2023) sono possibiliste per gli MSM da valutare caso per caso perché il rischio di resistenze non è ancora stato sufficientemente studiato e non sarebbe corretto essere troppo di manica larga.

Ho partecipato a una sessione relativa al Monkeypox per capire se possiamo mettere la parola fine almeno su questa epidemia. Pare che sia meglio stare ancora attenti.

Mi ha tuttavia fatto piacere ascoltare le belle relazioni di Nicolò Girometti, un ex specializzando del S. Orsola di Bologna che ora lavora al Chelsey and Westmister Hospital e a 56 Dean Street a Londra. Non serve che dica altro!

Pressoché tutti i dati presentati, ormai un po’ datati, evidenziano che la fase acuta dell’epidemia è sicuramente superata, che le persone con HIV con meno di 350 CD4 hanno subito le situazioni peggiori mentre quelli con una situazione immunitaria migliore non hanno avuto particolari problemi, in caso di contagio hanno risolto come tutte le persone senza HIV; sicuramente l’epidemia ha riguardato in maggioranze MSM per vari motivi (di cui abbiamo già scritto in precedenti report), sicuramente è importante tenere alta la guardia perché qua e la ancora qualche caso viene rilevato. Per cui tutti i ricercatori insistono perché il vaccino venga effettuato da tutti gli MSM, in particolare chi vive con HIV, appunto per evitare eventuali “ritorni di fiamma”. Del resto il vaccino è la prevenzione per eccellenza, non ha senso attendere che l’infezione si ripresenti in massa.

Sandro Mattioli
Plus aps

Oggi è iniziata la conferenza europea sull’AIDS.
Non la frequento spesso perché, da diversi anni, è di fatto una dependance del CROi o della IAS quando non di altre conferenze internazionali che, negli anni, hanno acquisito maggior prestigio.
Tuttavia quest’anno ho deciso di andare, anche avevo banalmente voglia di rivedere diversi attivisti, soprattutto di EATG, che non vedevo fisicamente da tempo causa covid.
In effetti ho rivisto diversi fra loro ed è sempre una gioia parlare de visu con persone acute, non per caso il top dell’attivismo europeo.
Sono a Varsavia insieme a Enrico Turchetti, un attivista di Plus tra i più energici, alla sua prima conferenza internazionale.

La prima giornata della conferenza si è aperta con i corsi pre-congressuali e noi abbiamo entrambi scelto di partecipare al workshop proposto da EATG sulla cura, fortemente voluto da Giulio Maria Corbelli al quale è stato dedicato con un toccante commemorazione a cura di uno dei membri storici dell’associazione continentale: Brian West.
Vi dico subito che, come era facile immaginare, siamo molto lontani da trovare la chiave per eliminare HIV dal nostro organismo. Infatti i relatori hanno cercato di spiegarci quale tipo di approccio o di strategia potrebbe essere sensato ricercare, stanti le conoscenze attuali che sembrano ampie, e in generale lo sono, ma sul tema eradicazione non lo sono affatto.
Tanto è vero che prende piede l’ipotesi di cercare il modo di tenere controllata la replicazione virale senza la ART (terapia anti-retrovirale).

Un modus operandi che trovo irritante, sia perché non tiene per nulla conto della volontà di chi vive con HIV (guarire?), sia perché avere HIV nel corpo, anche residuale, ci espone comunque all’attivazione del sistema immunitario e alla successiva infiammazione.Non so quanti ne siano realmente al corrente: HIV è certamente noto perché distrugge il sistema immunitario e ci espone alle patologie AIDS correlate. Tuttavia HIV agisce anche attivando il sistema immunitario. A sua volta questa azione comporta uno stato infiammatorio cronico che danneggia gli organi, aiuta l’insorgenza di patologie anche gravi e neoplasie.Qualcuno dice che l’eradicazione oggi è una chimera, tuttavia, da quello che ho sentito nelle presentazioni, anche la remissione (il controllo di HIV senza ART) sembra tutt’altro che a portata di mano. Mi chiedo quindi se non abbia senso investire in una ricerca di alto profilo.

Dopo pranzo, e dopo altre pubbliche relazioni varie, abbiamo partecipato alla cerimonia di apertura. Una fra le più tristi a cui abbia mai assistito, a partire dalla lettura fatta da una ricercatrice polacca che ha incentrato la relazione principalmente sull’evoluzione epidemiologica di HIV nell’Est Europa e sulle differenze con l’Ovest: l’Est vede una consistente maggioranza di diagnosi fra eterosessuali e IDU (utilizzatori di sostanze per via iniettiva), mentre l’Ovest vede un numero alto di MSM (maschi che fanno sesso con maschi), e ci mostra una serie di dati epidemiologici francamente ridicoli. In buona parte dell’Est Europa, Polonia inclusa, lo stigma e la discriminazione verso gli MSM sono ancora altissimi, se possibile peggio che in Italia. Ovvio che pochissimi MSM dichiarano sesso fra maschi come causa di contagio. Speriamo che le nuove elezioni polacche portino qualche cambiamento, ma fino a ieri era in voga la teoria della zona LGBT free. Almeno avesse avuto l’intelligenza di far presente questo bias, secondo me molto consistente.

Sono seguiti i soliti interventi delle autorità (Ministro della Salute in primis) che, al contrario di ciò che accade in Italia, hanno partecipato e parlato. Ricordo, così per sfizio, che all’ultima conferenza mondiale AIDS tenuta in Italia, a Roma, venne il Sindaco della capitale a porta i suoi saluti. Nessuna istituzione nazionale si affaticò a partecipare. Tanto per dire quanto in Italia il tema HIV/AIDS sia di interesse per la politica e i vari ministri. Non posso fare a meno di pensare che le posizioni letteralmente fuori dal mondo che il Ministro Donat Cattin ebbe il coraggio di esprimere in piena crisi AIDS anni fa, abbiano ancora un certo appeal fra certi tromboni, autocentrati della politica italiana.

Le associazioni locali si sono date molto da fare per l’occasione. Hanno preparato diversi eventi sociali tesi a far capire alla popolazione generale che HIV non ha affatto finito di far danni. Fra gli altri uno spettacolo di una stella drag locale, una maratona (alla quale un attivista ha insistito per mezz’ora perché partecipassi, inutile dire che non ci penso proprio) e così via.

La serata si è chiusa con un breve spettacolo di un artista rock locale (mondialmente noto a Varsavia) e con il cosiddetto welcome reception ossia cibo e beveraggio gratis. Enrico non ha smesso un attimo di lamentarsi perché stava mangiando troppo (continuando a mangiare ovviamente). Adoro.

Sandro Mattioli
Plus aps

A Nairobi c’è una zona chiamata slum, la bidonville. Nello slum c’è il quartiere Ngomongo (nella galleria in basso vi aggiungo alcune vedute caratteristiche), forse il più disastrato dell’intera area. A Ngomongo dentro a una baracca di lamiera c’è la chiesa di St. Peter che, a sua volta, dal lunedì al venerdì ospita la “scuola di Diego”: la Life’s Hope School.
Al sabato e alla domenica si svolgono le funzioni religiose, ma da lunedì a venerdì la chiesa affitta la baracca di lamiera alla scuola… (quando si dice lo spirito cristiano!). Pertanto ogni venerdì tutti i banchi e gli arredi scolastici vengono spostati in un angolo della baracca coperto da una tenda, per poi essere risistemati ogni lunedì.

La scuola supportata da Diego Stellino che, oltre a essere un nostro iscritto, presiede l’associazione Slum Child con base in Italia (ma lavora nelle bidonville di Nairobi ormai da diversi anni) e sta collaborando con Plus per l’apertura del Checkpoint di Nairobi.

A Ngomongo a maggio 2023 hanno asfaltato un pezzo di terreno sassoso: ora c’è la strada asfaltata (ci siamo quasi arrivati con l’Uber… l’autista locale non era molto convinto di entrare in quel posto); qualche tempo fa una charity cinese ha costruito le fogne, ossia dei canali a cielo aperto a lato della strada, ed è già un passo avanti perché prima non c’erano neppure quelle. I più “fortunati” abitano/lavorano ai margini della strada asfaltata in piena eau de mer(de). Gli altri abitano in stradine strette, sterrate, sempre in piena eau de mer(de) ma senza un filo d’aria.

Nella “scuola di Diego” non c’è elettricità, né acqua corrente, c’è una porta da cui entra la luce (e le mosche). Volendo l’elettricità si potrebbe allacciare ma, nel caso l’affitto passerebbe da 2500 a 2800 scellini (circa 18€) al mese e il gestore non sa come trovarli anche perché le famiglie che dovrebbero pagare 600 scellini al mese (3,80€) non li hanno e non pagano.

Come ho accennato prima, la baracca che vedete nelle foto non è della scuola infatti, ma della chiesa anzi, è la chiesa,

Nel fornello che vedete nelle foto c’è il pranzo che si stava cuocendo e, nel contempo, contribuiva a mantenere il tepore interno tipico delle baracche di metallo in pieno sole.

Nella scuola trovano spazio 8 classi (elementari e medie) più una prescolare.

Dimenticavo: il baracco con scritto choo è il gabinetto. Costa 10 scellini a cagata che vanno a una associazione che lo “pulisce”, nel senso che lo svuota perché è un buco e le fogne non ci sono.

Io ho deciso che supporterò almeno l’affitto della scuola personalmente.
Plus ovviamente è disponibile a fare da collettore per supportare altre spese come il materiale scolastico (dai gessetti ai banchi hanno bisogno di tutto). Vediamo se riusciamo a far sedere quei bimbi su sedie integre, a studiare sui banchi invece che uno sopra all’altro, magari perfino ad allacciare la corrente.

Proprio perché viviamo l’isolamento sociale, la discriminazione, l’incertezza per il futuro, ecc. sono certo che sapremo fare del nostro meglio per dare una mano.

In quest’area del Kenya le persone si danno da fare a ben vedere, ma vivono in una situazione di estrema povertà. Un’economia di sussistenza dove lo scopo primario del lavoro è riuscire a mangiare la sera. Senza futuro, senza speranze, questa gente lavora così mangia… ogni tanto. La sola possibilità che hanno per uscire da questo stallo è studiare: elementari, medie, superiori, magari l’università, così da trovare un lavoro che possa dare stabilità, un futuro che per questi bambini significa mangiare, vivere in un appartamento con, ma si esageriamo, l’elettricità e l’acqua corrente.

BONIFICO BANCARIO: Slum Child Onlus IBAN IT84N0501802400000012444279 – BANCA ETICA
PAYPAL: https://www.paypal.me/SlumChild

Sandro Mattioli
Plus aps

Verso la fine del 2005, assistetti a una riunione convocata dal Centro Operativo Aids, durante la quale la dott.ssa Suligoi illustrò la situazione relativa ai casi di HIV, di Aids e le prospettive future. In quegli anni in Italia la maggior parte dei casi di HIV erano appannaggio dei “tossicodipendenti”, come venivano definiti allora, per via dell’uso di scambiarsi la medesima siringa.
Tuttavia la dott.ssa Suligoi intuì che le cose iniziavano a cambiare e ci fece notare un incremento dei casi fra gli “omo-bisessuali”, altro termine coevo.
Ricordo che alzai la mano e chiesi qualche informazione in più. Mi venne risposto di non preoccuparmi perché eravamo nella media europea in quanto ad incremento di casi fra gli omo-bisessuali.

L’informazione non mi lasciò particolarmente sereno, infatti decisi di controllare i dati ufficiali dell’Unione Europea e scoprii che l’Italia era esattamente a metà della media europea: 12 Paesi meno bravi di noi e 12 più bravi.
Incominciai quindi a cercare di capire cosa facessero quelli più bravi di noi, mi interessò soprattutto notare che non c’erano solo i “soliti” Paesi del Nord Europa, ma c’erano anche Paesi dell’area mediterranea fra i più bravi.
Pochi mesi dopo, durante una conferenza di ILGA Europe, assistetti a una presentazione di Ferran Pujol sul Checkpoint di Barcellona aperto appena un anno prima. Il metodo checkpoint anche se nato in Olanda, poteva essere applicato anche in un Paese a noi vicino come la Catalogna.

Inizia così la storia del BLQ Checkpoint, quando chi scrive era ancora responsabile salute del Cassero.

Ci sono voluti sette anni di advocacy per arrivare a convincere la Regione, ma anche l’associazionismo locale, che il checkpoint come modello d’intervento era assolutamente necessario in una città e una regione che da sempre ha un problema importante con le diagnosi tardive di HIV.

Nel 2013 la Regione Emilia-Romagna fa un atto di importante riconoscimento politico: con il DGR 768/2013 con il quale riconosce il lavoro di Plus che viene definito soggetto attuatore del progetto di interesse regionale BLQ Checkpoint. Un atto pubblico coraggioso, che nessun’altra Regione ha avuto il fegato di fare, a dimostrazione che il lavoro di tessitura politica e anche tecnica alla fine paga. I tempi lunghi si spiegano con la difficoltà, in parte insita nella Pubblica Amministrazione, ad accettare i progetti innovativi soprattutto se difficilmente inquadrabili nelle regole e nelle procedure in essere. In effetti un checkpoint non si inquadra in nessuna di esse perché non è un ambulatorio ma esegue test di screening, non è un centro associativo ma svolge attività per la community. In effetti svicoliamo, probabilmente la Regione dovrebbe oggi pensare a un altro gesto coraggioso realizzando delle regole per i Checkpoint, condivise e trasparenti. Ma questo si vedrà.

Il Comune di Bologna si dimostra subito collaborativo e mette a disposizione una dirigente per strutturare una convenzione, che diventerà a tre con l’aggiunta di Azienda Sanitaria di Bologna. Sarà un processo abbastanza faticoso appunto per gli aspetti innovativi di un centro che mal si adatta alle regole esistenti. Ma alla fine ce la facciamo e viene firmata una convenzione trina: Plus, Comune di Bologna e Azienda Sanitaria.

Il Comune ci trova una sede, i locali che occupiamo attualmente, non propriamente una sede meravigliosa perché si trattava di un ex ristorante chiuso da sette anni, pertanto completamente fuori norma e da ristrutturare. Cosa a cui ha dovuto pensare Plus. Posso dire con orgoglio che siamo riusciti a trovare oltre 300.000€ con i quali abbiamo ristrutturato e allestito una sede che, anche grazie al progetto di ben due architetti (Andrea Adriatico e Nino Tammaro), è oggettivamente un bel posto, molto lontano dalla tipica struttura ambulatoriale alienante. Un luogo in sé accogliente, fermo restando che l’accoglienza vera e propria la fa il personale volontario dedicato a questo scopo che non sbaglia un colpo, agisce sempre in modo molto professionale. Visto l’ammontare speso, concordiamo con il Comune una convenzione di 15 anni che non prevede il pagamento di un affitto.

Il terzo ente firmatario è l’Azienda Sanitaria di Bologna. Grazie all’insostituibile lavoro della dott.ssa Venturi, responsabile del Centro C.A.S.A., forse l’unica responsabile genuinamente interessata al progetto, otteniamo una convenzione della durata di quattro anni, credo che sia il massimo per USL. In questa fase iniziale l’Azienda si impegna a fornire gli infermieri per l’esecuzione dei test (anzi, del test perché all’epoca abbiamo iniziato con il solo test di screening per HIV), ad occuparsi dell’acquisto del test, della gestione del materiale di consumo e dello smaltimento dei rifiuti speciali. Inoltre USL si sarebbe occupata, in collaborazione con Plus, della formazione del personale volontario dell’associazione. La disponibilità del personale infermieristico viene fissata in sei ore alla settimana, per cui decidemmo di aprire martedì e giovedì dalle 18 alle 21. Dopo otto anni siamo ancora fermi a questa fase di start-up.

Dopo poche settimane dall’apertura, l’Ospedale S. Raffaele di Milano ci coinvolge in uno studio sull’esecuzione di test di screening a risposta rapida su HCV (epatite C).
Di li a poco verranno aggiunti anche i test per sifilide.

Alla scadenza della convenzione lato USL, dopo vari solleciti per un incontro teso a rinnovo ovviamente, per tutta risposta ci arriva una mail con la convenzione già rinnovata, in peior, e già firmata dalla dott.ssa Gibertoni allora direttrice generale dell’Azienda Sanitaria di Bologna. La convenzione passa da 4 anni a uno, si mette così una pietra tombale sulle reali possibilità di sviluppo del BLQ Checkpoint… come se questo non fosse sufficiente, quest’anno (2023) il rinnovo annuale della convenzione ha subito un ritardo di ben sei mesi. Per cui siamo nelle condizioni di ipotizzare programmi di sviluppo senza la collaborazione di USL, che manco risponde alle mail e si fa negare al telefono, della durata massima di 12 mesi, quest’anno ridotti a sei.

Poi si chiedono perché chiudere.

Per riprendere l’esempio del Checkpoint di Barcellona, i cui abitanti sono più o meno come quelli della nostra regione, quel centro è aperto 12 ore al giorno, il personale interno riceve uno stipendio, hanno comunque decine di giovani volontari che promuovono il servizio nelle discoteche, ai Pride e così via. Il centro distribuisce la PrEP gratuitamente mentre noi dovremo impazzire. Un centro che ha aperto 17 anni fa in puro volontariato, che oggi offre un’opportunità di lavoro e segue oltre 2.000 persone. Questo significa sviluppo.

A Bologna invece da alcuni anni ci dobbiamo pagare i test per sifilide per motivi burocratici ma mai confermati ufficialmente, non abbiamo contezza di chi sia il nostro medico di riferimento perché dal giorno in cui la dott.ssa Venturi è andata in pensione semplicemente questo passaggio è saltato, siamo stati spostati dal Dipartimento cure primarie a quello di salute mentale senza alcuna spiegazione. Chissà, forse qualcuno ha ipotizzato che i gay possano avere problemi in tal senso. A ben vedere siamo riusciti ad andare avanti in questi ultimi 4 anni solo grazie all’appoggio della Responsabile infermieristica che ci segue, anche meglio di un medico, dott.ssa Assueri.

Va da sé che Plus non ha alcun preconcetto ideologico, pertanto a fronte di un impegno serio della Pubblica Amministrazione e dell’Azienda Sanitaria nello specifico, un impegno che vada nella direzione logica che ha portato il Sindaco Lepore a firmare il protocollo Fast Track City e che, quindi, metta il BLQ Checkpoint nelle condizioni di uscire dalla fase di start-up e dare un serio contributo al raggiungimento degli obiettivi di UNAids prima del 2030, non abbiamo nessun problema a fare marcia indietro.

Ma al momento resta in essere la decisione di chiudere il BLQ Checkpoint a partire dal 1 luglio 2023. Di seguito il comunicato stampa.

Sandro Mattioli
Plus aps
Presidente.