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Il 30 gennaio 2008 gli esperti della Commissione federale svizzera per l’Aids affermarono per la prima volta che una persona sieropositiva in terapia efficace non può trasmettere il virus. Questo il nocciolo della cosiddetta “dichiarazione svizzera” a firma EKAF (Eidgenössische Kommission für Aids-Fragen der Schweiz), rinominata nel 2012 EKSG, Commissione confederale svizzera per la salute sessuale.

Il gruppo di studiosi capeggiato da Pietro Vernazza (nella foto) pubblicò una serie di dati, non corposissima, a sostegno di questa tesi poi confermata da ampi studi successivi. Che il raggiungimento dello status di “undetectable”, con la viremia stabilmente non rilevabile sotto le 50 copie per millilitro cubo di sangue, fosse sinonimo di non contagiosità era ormai una speculazione frequente in ambito infettivologico. A partire dal 1996 l’introduzione della classe degli inibitori della proteasi aveva condotto a un nuovo standard terapeutico, con tre principi attivi: la cosiddetta HAART, highly active antiretroviral therapy, oggi semplicemente ART. Stiamo parlando della terapia efficace che ha salvato e continua a salvare decine di milioni di vite, garantendo livelli di salute e di qualità di vita del tutto paragonabili a quelli delle persone sieronegative. Come funziona questa terapia? Semplice: abbatte la quantità di virus nel corpo e lo tiene in scacco, impedendo la replicazione.

La dichiarazione svizzera rappresentò un primo, portentoso lancio del cuore oltre l’ostacolo. Presentandosi come un “parere di esperto” che passava in rassegna più di 25 piccoli studi (su coppie sierodiscordanti in gran parte eterosessuali, o donne sieropositive incinte), lo statement fu un’affermazione clamorosa per l’epoca, autentico spartiacque non solo scientifico ma anche sociale. Contiene infatti il nocciolo della principale strategia antistigma tesa a cambiare il volto della sieropositività.

Gli esperti svizzeri individuarono tre punti in presenza dei quali era ragionevole dire che una persona sieropositiva non fosse in grado di trasmettere il virus: l’aderenza a una terapia antiretrovirale efficace, una viremia non rilevabile da almeno sei mesi e l’assenza di ulteriori infezioni sessualmente trasmissibili capaci di “dare una mano” ad Hiv. Col passare del tempo il terzo punto, inserito a mo’ di clausola precauzionale, è stato di fatto depennato dai risultati dello studio PARTNER. Tradotto: una persona sieropositiva trattata che contrae la gonorrea può trasmettere la gonorrea, ma non l’Hiv.

campagna del Terrence Higgins Trust

Sono passati esattamente dieci anni dalla dichiarazione svizzera. Venti dalla prima coorte di donne incinte sottoposte a terapia triplice (coorte di San Francisco, Beckerman K. et al.). Sette dalla pubblicazione dei dati dello studio HPTN 052, il primo a indagare la correttezza delle affermazioni di Vernazza e colleghi. Due da quelli, straordinari pur nella loro parzialità, dello studio PARTNER che ha seguito 548 coppie sierodiscordanti eterosessuali, 340 omosessuali, ha registrato 58.000 rapporti penetrativi senza profilattico e rilevato zero trasmissioni. Sono questi gli “hard facts” della TasP, il trattamento come prevenzione, una colonna del nuovo approccio combinato contro l’Hiv insieme al condom e alla PrEP.

Undetectable (con viremia non rilevabile) = Untransmittable = Uninfectious

Gli studi proseguono, e sappiamo bene che zero trasmissioni non significano, in termini rigorosamente scientifici, zero possibilità di trasmissione. In campo scientifico non esiste un bianco e nero manicheo. Ma a fronte di dati così ampi e omogenei è necessario condensare un messaggio pragmatico da lanciare alla popolazione, e questo messaggio è che nella vita reale una persona sieropositiva stabilmente in terapia non trasmette il virus. Plus è stata una delle prime associazioni a ideare una campagna centrata su questo tema: Positivo ma non infettivo risale al giugno 2015. Sul finire del 2017 anche la Lila, con Noi possiamo, ha trasformato in uno slogan il messaggio liberatorio della TasP. A livello globale, il 2016 ha segnato l’avvio della campagna U=U (undetectable = untransmittable) sottoscritta da centinaia di associazioni e da 34 Paesi.

Plus al Pride bolognese del 2015. Foto di Maurizio Cecconi.

Purtroppo, come sottolinea un sondaggio ministeriale condotto in Germania nel 2017, il 90% della popolazione resta all’oscuro di questa informazione fondamentale. Chissà quale sia la percentuale nel nostro Paese… La difficoltà di comunicare senza intoppi un messaggio in apparenza contraddittorio (che una persona con un’infezione sessualmente trasmissibile non possa trasmetterla in alcun modo, a cominciare dal sesso) non deve scoraggiarci. Dalla nostra abbiamo i dati, la scienza, una certezza che nessuna opinione può mettere in dubbio. E abbiamo soprattutto l’energia di chi vuole mettere la parola fine a cliché vecchi di decenni. A cominciare da quelli che circolano tuttora nella nostra comunità.

Come ha detto Bruce Richman, fondatore della campagna U=U, la sopravvalutazione del “pericolo” rappresentato da chi vive con Hiv equivale a un atto di violenza nei nostri confronti. Un atto di violenza oggi inaccettabile nella sua gratuità. La nostra risposta è serena, e basata sui fatti.

Dieci anni or sono, il 30 gennaio 2008, la Commissione svizzera diramò un messaggio coraggioso, rivelatosi giusto: una persona sieropositiva in terapia efficace non può, ripeto non può, trasmettere il virus dell’Hiv.

Simone Buttazzi
Plus Onlus

In occasione del 1 dicembre 2017 (Giornata mondiale per la lotta contro l’Aids), l’associazione Plus riprende la campagna di prevenzione “Pillole di buon sesso”, rivolta sia a persone sieronegative, sia a persone sieropositive.

Le pillole sono i farmaci antiretrovirali nei loro diversi usi, e la campagna si concentra su due strategie di comprovata efficacia, da associare a quelle già esistenti principalmente basate sull’uso del condom:

  • TasP è la sigla che indica la “terapia come prevenzione”. Si basa su un concetto semplice: se la quantità di virus in una persona con Hiv è drasticamente ridotta dai farmaci, non si trasmette l’infezione ad altri. Riprendendo lo slogan lanciato da Plus nel 2015: Positivo non infettivo. La TasP aiuta le persone con Hiv a non considerarsi pericolose per gli altri. E chi non ha l’Hiv può comprendere che fare sesso con una persona in TasP è una delle opzioni più sicure per restare negativi!
  • PrEP sta per “profilassi pre-esposizione”. È un modo perché le persone sieronegative possano ridurre sensibilmente le possibilità di contrarre l’Hiv. Consiste nel prendere quotidianamente una pillola che contiene due farmaci antiretrovirali. In due parole: Negativo non infettabile. In Italia è possibile acquistarla in farmacia con la prescrizione dell’infettivologo. Sono finalmente arrivati anche i farmaci generici, ma hanno ancora un costo troppo elevato (115€ a scatola) per garantire un’aderenza adeguata. Detto questo è importante fare informazione e accedere a ogni risorsa disponibile contro l’infezione!

Lo scorso dicembre, Plus ha lanciato la campagna Fallo come vuoi, che metteva sullo stesso piano di efficacia, contro l’Hiv, preservativo, TasP e PrEP. Il motivo di una campagna specifica sulle «pillole di buon sesso» è semplice: della TasP si parla ancora troppo poco, malgrado sia una realtà da molti anni. Quanto alla PrEP, implementata con successo in svariati Paesi europei, manca ancora la volontà politica di renderla accessibile in Italia, dove la barriera del prezzo costringe gli interessati a rimediarla per vie illegali, senza supervisione medica.
È ora che l’intera gamma delle risorse disponibili per combattere l’Hiv sia nota e resa disponibile a tutti, così che sia possibile effettuare una scelta consapevole, utilizzando in modo integrato le varie modalità di prevenzione. Dobbiamo stringere un patto sociale per invertire i dati epidemiologici e debellare l’epidemia.
È ora di usare il buon senso per affrontare un tema, quello dell’Hiv, troppo spesso appannaggio del giornalismo scandalistico e di teorie irrazionali.
In occasione del 1 dicembre, il BLQ Checkpoint sarà aperto dalle 18 alle 21 per effettuare il test per HIV e per l’epatite C. Per informazioni e prenotazioni è possibile telefonare allo 0514211857 (martedì e giovedì dalle 18 alle 21), oppure scrivere a prenota@blqcheckpoint.it. Come sempre, le persone che effettueranno i test riceveranno condom, lubrificante e potranno avere la possibilità di un counselling con persone qualificate.

Se una persona senza una particolare preparazione dovesse leggere certe dichiarazioni che appaiono con allarmante frequenza su Facebook, sarebbe naturalmente indotta a credere che la PrEP è una pazzia frutto del delirio se non, come è stato scritto, degli interessi miei personali o dell’associazione Plus.
Il che ovviamente è completamente destituito di ogni verità, nonché di qualunque base scientifica… si perché Plus è abituata a ragionare sulla base dei risultati degli studi scientifici, non delle farneticazioni di un qualunque tizio che si vuole impropriamente accreditare come interlocutore.
Chiariamo anche la faccenda degli interessi, che è stata lasciata intendere su alcuni post su Facebook: sono un lavoratore dipendente di una impresa di ristorazione leader in Italia ma certamente non una multinazionale, mi si applica il contratto nazionale del turismo i cui minimi salariali sono pubblicati per cui potete tranquillamente andare a vedere che cosa guadagno come secondo livello; non sono a libro paga di nessuna multinazionale… magari, sicuramente avrei un salario diverso. Plus, l’associazione di cui sono Presidente e che non è una costola di Arcigay, ha partecipato ai bandi di alcune multinazionali del farmaco, così come di fondazioni, e abbiamo ricevuto finanziamenti per alcuni progetti. Come hanno fatto pressoché tutte le associazioni sia di lotta contro l’HIV/Aids, sia sociali. Per informazione dei piccoli geni dello scandalismo, Gilead ha bloccato tutti gli studi sulla PrEP con Truvada in Europa, quindi Plus non ha fondi da Gilead per la PrEP. Del resto il brevetto su Truvada sta per scadere e Gilead fa decisamente i suoi interessi, purtroppo. Il massimo che abbiamo ottenuto da Gilead, è un finanziamento teso a proporre test per le infezioni a trasmissione sessuale alle persone esposte per via di comportamenti a rischio, o alle persone che asseriscono, per esempio sui social gay, di essere in PrEP.
I test per le IST vanno bene spero, no?

Ma andiamo avanti.
PrEP è ormai una realtà a livello globale e anche in Europa… è mai possibile che siano tutti folli? Alcuni esempi:

Rachel Baggaley, è una funzionaria dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, in inglese WHO), coordina progetti relativi alle attività di testing e di prevenzione di HIV. Alla conferenza mondiale Aids (IAS 2017) di Parigi ha portato una relazione non tesa a dimostrare che la PrEP funziona, ma indirizzata a migliorare la promozione della PrEP. In effetti, nel caso fosse sfuggito, l’OMS promuove la PrEP.
PrEP Facts è uno dei tanti gruppi Facebook basati negli USA, ma dove sono presenti utenti da diversi Paesi inclusa l’Italia. E’ gestito principalmente da utenti evoluti, con esperienza di PreP, che danno suggerimenti e consigli su base scientifica e in base alle varie esperienze che, negli anni, gli stessi utenti hanno fatto. Ovviamente senza mai rubare spazio al medico. I membri di questo gruppo sono oltre 18.000, e non ho mai letto una sola polemica o giudizio sulle scelte degli altri (per definizione degli altri. Cit.). Tutte le domande ricevono risposte adeguate, con rimandi alle fonti. Noi abbiamo aperto il gruppo Prep in italia, ma ovviamente siamo solo all’inizio.
EMA, European Medicine Agency, ha approvato l’uso di Truvada per la PrEP. L’agenzia del farmaco italiana, Aifa, ha agito di conseguenza. Non è vero che la PrEP in Italia non è consentita.
EATG, European Aids Treatment Group, storico gruppo europeo di attivisti nella lotta contro l’Aids, insiste affinché la PrEP sia disponibile in Europa e accessibile a tutti coloro che sono a rischio di contagio da HIV.
Dopo tutto quelli di EATG sono sieropositivi, che gliene frega a loro? Del resto lo stesso possiamo dire per Plus in Italia.
A loro, e a noi, frega, perché sappiamo che cosa vuol dire ricevere una diagnosi di HIV e sappiamo cosa vuol dire evitarla con la prevenzione, tutta la prevenzione. Non solo “quella che ho scelto io”. Lo facciamo perché siamo un gruppo di advocacy, perché siamo attivisti e non dei pirla che si perdono in chiacchiere. Infatti anche lo scorso aprile EATG ha inviato una lettera al sig. John F Milligan, amministratore delegato di Gilead Science, perché Truvada o un equivalente generico sia disponibile in Europa.
Dopo i due grandi studi europei sulla PrEP, Ipergay e Proud, uno dopo l’altro tutti gli stati dell’Unione stanno ragionando sul tema a livello istituzionale, Italia inclusa. In alcuni Stati la PrEP è già una realtà, da ultima la Svezia ha rilasciato un documento che propone di adottarla. Da quasi due anni la Francia ha un programma di PrEP pubblico, gratuito e alla conferenza italiana Aids (ICAR 2017), i ricercatori francesi che hanno portato i primi dati come contributo (visto che in Italia non è stato possibile fare uno studio con Truvada grazie alla nostra lentezza strutturale da un lato, al blocco di Gilead dall’altro).
I francesi hanno raccontato che molti italiani si recano a Marsiglia per prendere la PrEP (e anche gel lubrificante monouso: “ma non lo avete in Italia?”, giusto per rimarcare l’ennesima figura di merda).
Quindi la PrEP in Italia è già un fatto. Ed è un fatto che la situazione ci sta sfuggendo di mano perché, al solito, preferiamo fingere di non sapere. Davvero gli ostinati contrari che scrivono sciocchezze su testate online, credono che la gente si faccia influenzare da chi insiste sull’uso del solo preservativo come unico strumento definito “sicuro” anche di recente in un articolo che non cito per non dare spazio all’ignoranza?
Davvero crediamo che, nell’era di internet e del commercio online, a nessun italiano sia venuto in mente di comprare un generico equivalente laddove viene prodotto, a prezzi notevolmente inferiori rispetto al farmaco brand? Vogliamo davvero lasciare soli gli italiani a gestire questo passaggio, soli nella posologia e modalità di assunzione, senza controlli e test sulle eventuali altre infezioni a trasmissione sessuale che, se non diagnosticate per non ammettere di essere in PrEP presa di straforo, possono portare conseguenze anche serie?
La nostra lentezza nell’agire ci sta portando verso quella direzione. Parliamo di un processo già in essere che va gestito sia dai centri clinici, sia, soprattutto, dalle associazioni che hanno la possibilità di svolgere un ruolo centrale nell’orientare la popolazione di riferimento.
Purtroppo oggi alcune associazioni tacciono per prudenza, non si comprende in base a quali dati, o insistono che tutti devono usare il condom. Come sia possibile non lo so… a chi non lo usa che facciamo? Lavaggio del cervello, ipnosi, fusione direttamente sul pene?
Inoltre il pregiudizio fa si che partano dall’assunto che la PrEP sia alternativa al condom, il che non è. O non è sempre così.
Nel gruppo PrEP Facts di cui ho scritto sopra, ho letto moltissime testimonianze di ragazzi gay in PrEP che continuano ad utilizzare il condom senza problemi, ma grazie alla pillola hanno una serenità mai avuta prima e vivono molto più intensamente la propria vita sessuale, perché sanno che qualunque problema possa capitare con il preservativo (che si può rompere, sfilare, oggi poi c’è la “moda” orrenda di toglierlo senza chiedere il permesso al partner), c’è l’ulteriore scudo della PrEP. Al punto che il ragazzo in questione aveva chiamato il suo post: nuovo effetto collaterale della PreP: serenità.
Il tema della serenità è molto presente anche nei counselling che facciamo al BLQ Checkpoint. Non si contano le persone che vengono a fare il test in preda ad un terribile stato d’ansia per mille motivi.
Nessuno sano di mente sosterrà, qui e ora, che la PrEP è l’unica arma vincente contro HIV, che la PrEP è l’unica forma di prevenzione vincente e così via. PrEP è una delle possibili forme di prevenzione ad HIV. E’ una scelta possibile e lo è grazie alla ricerca scientifica, non certo a motivo della mia opinione.
La PrEP funziona per chi la sceglie consapevolmente, dietro consiglio del medico e tenendo sotto controllo le IST. È una scelta, e come tutte le scelte riguarda solo la persona che la prende. I giudizi e soprattutto i pregiudizi, sono decisamente fuori luogo.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente
https://www.plus-aps.it/prepinfo/

Dalla nona IAS Conference on HIV Science dove, guarda un po’, si parla anche di PrEP che per gli scienziati e i ricercatori qui riuniti, va implementata… quali stranezze si celeranno mai dietro queste scelte?
Andiamo a vedere.
Dopo le contestazioni della Presidente della IAS prima e della Ministra della Salute di Francia operate da attivisti africani e di Act Up Paris, di cui ho dato conto direttamente sulla pagina di Plus Onlus su Facebook, la successiva plenaria inizia con una sessione sul rafforzamento del sistema immunitario perché abbatta Hiv. Vaccini siamo ancora a modelli animali, scimmie e topi, dati interessanti che lasciano sperare ma è presto per ragionarci soprattutto conoscendo il “mercato” italiano dei social. Il ricercatore analizza vari modelli e strumenti biologici, per giungere alla conclusione che, in assenza di un vaccino terapeutico ad alta efficacia, è ancora necessaria una combinazione di trattamenti per tenere stabilmente sotto controllo la replicazione virale.
Wafaa El-Sadr, una ricercatrice della Columbia University, ci parla della centralità delle persone con Hiv nei programmi di salute pubblica e di controllo dell’epidemia.
Descrive una situazione ancora pesante per quanto attiene ai morti per AIDS (oltre un milione all’anno), agli anni di aspettativa di vita persi dalle persone sieropositive che iniziano la terapia quando possibile.
Mette l’accento sulla necessità di trovare le persone con Hiv che ignorano si esserlo, metterle in trattamento anti-retrovirale, ma oggi 33 milioni di persone ancora attendono di poter accedere ai farmaci.
L’obiettivo 90-90-90 di UNaids (90% delle persone con HIV diagnosticate, 90% delle persone diagnosticate in terapia, 90% delle persone in trattamento con viremia soppressa), è ancora molto lontano sul piano globale. La slide che ci presenta mostra una serie di gap ancora da colmare: 7,5 milioni di persone ancora da raggiungere per il primo 90, oltre 10 milioni per il secondo 90, quasi 11 milioni per il terzo 90. L’obiettivo di UNaids prevede la data limite del 2020 per cui il lavoro da fare è ancora molto.
L’obiettivo è ancora più lontano, drammaticamente lontano se guardiamo ai dati delle popolazioni chiave come i gay a Mosca dove, grazie alle pesanti discriminazioni subite dal governo di Putin, la situazione è gravissima: solo il 13% degli MSM sa di essere sieropositivo, a scendere la “cascade” è da paura… tanto per sottolineare quanto peso hanno le politica da nazisti che i russi mettono in pratica nei confronti della popolazione MSM, in barba a tutte i richiami e le evidenze scientifiche.


Sheena McCormack, la ricercatrice responsabile, fra l’altro, dello studio britannico “Proud” sulla PrEP, ci spiega l’importanza di introdurre la D di droghe nell’ABC della prevenzione.
Inizia con una pessima citazione dell’ABC di Bush, passa per i risultati incredibili ottenuti nel 2000 con la sola circoncisione maschile, alla haart i cui risultati li conosciamo tutti… o no?, alla PrEP con il primo studio Iprex, lo studio hptn 52 sulla non trasmissibilità di Hiv in soppressione virale. Un viaggio lungo e faticoso, costellato purtroppo di tanti compagni di strada che non ce l’hanno fatta, ma anche un viaggio che sta lentamente portando ai risultati cercati. Un viaggio che per la McCormack, e forse anche per la parte più evoluta della comunità MSM, è ormai storia. E’ ormai ora di andare avanti e cercare ancora di migliorare l’attuale situazione. Cosa che in Italia, stante il perdurare di una situazione bloccata sia sul piano culturale, sia sul piano economico, è ancora largamente sul piano dell’immaginario.
Ovviamente parla anche della storica sessione del CROI 2015 dove vennero mostrati i dati degli studi su PrEP: braccio senza PrEP registra un alto tasso di casi di HIV, 9%. Il braccio con PrEP registra una efficacia dell’86%. Sarebbe stata più alta, se le tre persone che hanno sieroconvertito nonostante la PrEP avessero assunto il farmaco, cosa che non avevano fatto.
Passa quindi a illustrare i nuovi studi che stanno venendo avanti. Uno studio interessante, anche se non pienamente riuscito, ha tentato di mettere in PrEP con tenofovir gli IDU (Injection Drug User) e ha raggiunto una efficacia del 49%, pertanto la strategia di riduzione del rischio resta lo scambio di siringhe anche se viene suggerita una integrazione delle due strategie laddove l’incidenza sia molto alta.
Sono anche stati valutati in alcuni studi i sistemi migliori per smettere di assumere la PrEP. I suggerimenti derivati dagli studi pubblicati, vanno della direzione di diversificare i tempi in base al tipo di pratiche sessuali. Per cui in caso di sesso penetrativo anale, la PrEP va assunta giornalmente per i 2 giorni dopo l’ultimo rapporto a rischio, in caso di sesso vaginale per 7 giorni. Cita anche gli studi in corso sul Cabotegravir a lunga durata (4500 arruolati nel mondo – ma nessuno in Italia ovviamente), che potrebbero portare ad assumere il farmaco una volta al mese se non ogni due, ma è ancora presto per giungere a conclusioni su questo tema, lo cito solo perché sia chiaro come tutti gli attori che operano nel tema della prevenzione si stanno interessando alla PrEP come arma in più che va a coprire quella parte di popolazione che per varie ragioni è più a rischio di altre.
Un’altra opportunità potrebbe arrivare dagli studi sugli impianti sottopelle a lento rilascio, che potrebbero dare importanti contributi anche in termini di prevenzione; viene anche citato lo studio Discover che vede anche l’Italia coinvolta sia pur con un contributi irrisorio in termini di arruolati. E’ uno studio di non inferiorità sulla nuova formulazione del tenofovir che si chiama Taf. Se funzionerà anche in PrEP lo vedremo alla fino dello studio che ha arruolato 5400 persone nel mondo. Quando si dice la potenza economica… in compenso Gilead ha bloccato tutti gli studi su Truvada in Europa, credo di sentire gli applausi di HIV… mah!
La McCormack mostra anche slide relative all’andamento epidemiologico di clamidia, gonorrea e di HIV.
Nella prima slide, i numeri di test (linea punteggiata) e numero di diagnosi per la clamidia (barre verticali). Come si vede, il numero di diagnosi va di pari passo con il numero di test, segno che probabilmente prima dell’ingresso della PrEP avevamo meno diagnosi perché testavamo di meno. Nella seconda slide stessi valori ma per la gonorrea, malattia che ha un decorso “più facile” da fermare e per la quale informare i partner e facilitare il fatto che si curino, aiuta a ridurre il numero di trasmissioni; sono quindi stati promossi test a tappeto e si può vedere una diminuzione di nuovi casi. Stessa cosa può accadere con HIV, come testimoniano i dati inglesi della terza slide. In altre parole, l’incremento di casi di IST che si vedono implementando la PrEP, dipendono in larga misura da un maggior ricorso ai test e che alla lunga questo può portare addirittura a ridurre il numero di casi per alcune infezioni.


Detto questo è del tutto evidente che la PrEP non è in nessun caso un obbligo.
La PrEP è una delle possibili scelte perché di questo si tratta: effettuare una scelta adatta alla propria condizione, che può variare di momento in momento della propria vita. Una scelta tesa a prendere il controllo della situazione e evitare l’infezione da HIV.
In tutto questo la D di drug, farmaci in inglese, può essere aggiunta all’”ABC”, alle basi della prevenzione per tenere sotto controllo HIV… e possibilmente il più lontano possibile.
Il tutto questo è chiaro anche agli scienziati della IAS che il peso della comunità è fondamentale. Senza le persone direttamente interessate non si va da nessuna parte. La sessione dal titolo “Prepping MSM” dove forte è stata la presenza e l’esperienza della comunità MSM e, sorpresa, non solo dagli USA.
L’esperienza della Thailandia infatti è stata di grande ispirazione. Con vari tipi di interventi ispirati più che altro alle necessità insite nelle popolazioni chiavi a cui appunto gli interventi facevano riferimento, la Thailandia implementa la PrEP dal 2015! Hanno effettuato un’analisi della percezione del rischio e dell’attitudine verso la PrEP fra gli MSM e le donne transgender.
Molto evidence based l’appoggio del loro intervento (hanno per esempio lavorato molto sull’analisi della percezione del rischio), ma gli outcome sono decisamente community oriented: il “Princess PrEP programme” mirato alle donne transgender e MSM, già il nome è tutto un programma, è stato fatto dalla comunità e con il suo supporto… già immagino la lotta per il titolo di regina.
Ma anche il Thailandia non tutto è filato liscio, non ci sono stati casi di HIV in effetti ma circa un quinto delle donne trans del campione non voleva assumere altre pillole, quindi potrebbero essere utili altre modalità di assunzione del farmaco; il tasso di mantenimento delle persone nel controllo medico necessario è stato basso, da qui la necessità di un reminder personalizzato per ogni aderente al progetto, ecc. Come vedete sempre nella logica di analisi del reale e di possibili soluzioni sempre orientate al benessere della comunità.
È intervenuto direttamente anche un utente, evoluto ma pur sempre utente, in PrEP da 3 mesi.
Un ragazzo MSM di 25 anni residente a Bangkok, che resto dichiara di usare sempre il preservativo durante i rapporti penetrativi anali… l’italiano gay medio già chiederebbe perché mai allora è in PrEP? Perché nella sua personale percezione del rischio vede comunque un pericolo, rottura del condom, sfilamento, stealthing, per cui non si sente tranquillo e finisce per avere la vita sessuale che vorrebbe. Quindi l’ansia del contagio, una cosa che vediamo ad ogni incontro al BLQ Checkpoint.
Quindi il ragazzo ha fatto una lista dei pro e dei contro.
Pro:
non fiducia completa nel preservativo,
ansia dovuta al timore del contagio,
fa sesso occasionale,
si percepisce come a rischio.
Contro:
effetti collaterali a breve termine
effetti collaterali a lungo termine
il peso dell’assunzione quotidiana (evidentemente a lui non si attaglia quella on demand)
il peso delle visite di controllo
il costo della PrEP e degli esami di laboratorio.
Oggi è in grado di dirci che non ha avuto nessun effetto collaterale al breve termine (di cui tanto si parla, in effetti sono comuni ma non vengono a tutti);
ancora usa il condom nei rapporti penetrativi anali;
invariata la frequenza dei rapporti sessuali prima della PrEP;
sparita la paura del “dopo scopata”.
Afferma di avere ancora qualche perplessità sugli effetti di lunga durata, ma ha chiaro che può smettere quando vuole perché non è sieropositivo (e gli eventuali effetti collaterali rientrano).
Negli USA la PrEP è implementata da ancora più tempo. Qualcuno ricorderà i miei interventi perplessi dopo l’autorizzazione concessa da FDA a Truvada come PrEP dopo solo 1 singolo studio tutt’altro che definitivo. Però che dire, come spesso accade hanno osato facendo anche di necessità virtù, e hanno avuto ragione i tecnici di FDA perché tutti gli studi successivi hanno confermato i dati dello studio Iprex… appunto il primo. Jim Pickett Aids Foundation Chicago ha portato un fantastico esempio di approccio community based. Basta con l’approccio scientifico, ha detto Jim all’inizio dell’intervento, ormai è chiaro che c’è evidenza scientifica. Ora dobbiamo orientare la comunità che non usa certo la PrEP per far contenta la scienza o le multinazionali.
Quindi nuove parole chiave:
piacere,
intimità,
serenità,
lussuria,
amore,
connessione,
onestà,
desiderio.
Quindi una logica tutta incentrata sul bisogno delle persone che scelgono di non accettare i messaggi condom-centrici, il giudizio della gente, la vergogna di fare pratiche che possono portare a discriminazione, ecc. per esaltare gli aspetti positivi così come descritti nella notissima campagna #PrEP4Love dove vengono diffuse parole come amore, carezze, abbracci, calore e non paura, contagio, ecc.
Un approccio evoluto, che implicitamente va nella direzione di una vita sessuale adeguata alle esigenze delle persone che sono evidentemente stanche della paura del contagio. Fra l’altro con una campagna che finalmente non mostra i soliti modelli palestrati ma gente vera, con la ciccia e la panzotta, un altro elemento che fa pensare alla quotidianità più che all’evento isolato e che comunque coniuga splendidamente il concetto di piacere sessuale con quello della riduzione del rischio.


Bello vedere che anche la dott.ssa Rachel Baggaley del dipartimento HIV dell’OMS dove segue il settore prevenzione innovativa, va nella stessa direzione e apre il suo intervento con l’immagine di tre ragazzi con PrEP, condom e carica virale non rilevabile, sulla testa. Si chiede Rachel come promuovere, implementare la prevenzione combinata fra gli MSM. Giustamente ci fa notare come l’implementazione della PrEP porta con sé un aumento del numero dei test eseguiti, per HIV e per le altre IST, affrontare il tema dello stigma, educare al tema Tasp, ecc. Anche la sola promozione della PrEP è tutt’altro che semplice: a fronte del caso San Francisco dove l’80% delle persone in PrEP la sono andata a chiedere spontaneamente e una diffusione delle informazioni che arriva al 100% della popolazione interessata, in Australia e in Sud Africa pochissime persone idonee per la PrEP scelgono di assumerla, restando ovviamente nel rischio di contagio.
L’OMS ha quindi preparato un opuscolo con una serie di suggerimenti per promuovere e integrare le nuove forme di prevenzione, chiarendo nel contempo che PrEP non è solo uno strumento bio-medicale ma anche bio-comportamentale ed è in questa direzione che devono andare i servizi offerti alla popolazione MSM. Nell’offerta della PrEP alle persone ad elevato rischio di contagio, l’approccio deve mettere al centro la persona in una logica di salute pubblica e di diritti umani, non certo di giudizio, isolamento, discriminazione e stigma… con questi quattro regaliamo anni di vita ad HIV.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

La partecipazione di Plus Onlus alla IAS Conference 2017 è stata resa possibile grazie a un contributo non condizionato di ViiV Healthcare.

Nel 2008 partecipai alla Conferenza Mondiale Aids di Città del Messico, dove ho avuto il privilegio di ascoltare la relazione del prof. Pietro Vernazza sullo studio che portò alla Swiss Declaration.
Lo studio, ancorché piccolo, aveva creato molto scalpore nell’ambiente scientifico e quando giunse alla conferenza, l’attesa e la tensione si potevano percepire chiaramente sia da parte scientifica, sia da parte delle persone HIV+.
L’enorme aula che ospitava la plenaria era stipata, almeno 10.000 persone assiepate per ascoltare la notizia dell’anno:
Le persone con HIV, a carica virale non rilevabile, senza altre IST, non sono contagiose. Studio allora piccolo (in seguito confermato da decine di altri), dati e rigore scientifico svizzero.

Ricordo l’emozione mia e di Alessandra Cerioli di Lila: finalmente non siamo più untori.

Ricordo anche l’intervento furibondo di una funzionaria dell’OMS.
Non si possono dare queste notizie in una conferenza mondiale – disse la funzionaria – perché è alto il rischio che i maschi sieropositivi smettano di usare il condom.
La dichiarazione svizzera è alla base delle decine di studi confirmatori della Tasp, trattamento come prevenzione, oggi praticata comunemente in pressoché ogni centro clinico. Oggi l’OMS supporta la Tasp e sostiene che le persone in trattamento efficace non sono contagiose.
Perché questo incipit?
Oggi abbiamo la possibilità di utilizzare Tasp e PrEP per far circolare meno virus nella comunità.
Tuttavia vedo la stessa paura immotivata della funzionaria dell’OMS in molti “scienziati di Facebook”, convinti che la profilassi pre-esposizione, PrEP, porterà ad un crollo nell’uso dei preservativi e il conseguente incremento dei casi di HIV.
Il razionale ideologico che è alla base del ragionamento, spesso ha a che vedere con una semplice equazione: “io uso il condom=tutti devono usare il condom”.
Un modo di ragionare che implica un giudizio e una discriminazione che sono, in parte, alla base delle numerose, troppe, nuove diagnosi annue di HIV in Italia (3-4 mila ormai stabili da tempo).
Provoco, lo so, ma spiego. È evidente che non tutti sono o riescono ad essere talebani del preservativo e la conseguenza è che si espongono al rischio di infezione. In Italia c’è uno zoccolo duro di nuove diagnosi che le attuali strategie di prevenzione non riescono a ridurre. Ormai è evidente da tempo e dobbiamo prenderne atto.

Quindi che vogliamo fare?

Insistiamo che tutti devono usare il preservativo fino a quando nessuno ascolterà più?
Oppure seguiamo la strada aperta dai 2 studi europei, Proud e Ipergay, e realizziamo interventi mirati di prevenzione PrEP based?
Intendiamoci: in nessuno studio è stato dato il farmaco e arrivederci. Sempre è stato proposto un counselling sulle pratiche a rischio e relative tecniche di riduzione, si è parlato dell’uso di condom e lubrificante, di attività e pratiche sessuali e poi di PrEP.
Il farmaco autorizzato per la PrEP oggi è il solo Truvada® (azienda produttrice: Gilead Sciences). Truvada ha la capacità di concentrarsi rapidamente nei tessuti rettali oltre ad una emivita del principio attivo molto lunga. Sia lo studio Proud che Ipergay hanno arruolato MSM (maschi che fanno sesso con maschi) e i risultati sono stati molto buoni: un calo molto consistente dei casi di HIV attesi, prossimo al 90%.
Attenzione: non è un vaccino! È un farmaco, anche se generalmente ben tollerato, non è esente da effetti collaterali per esempio a reni e ossa. Ma anche qui: si tratta di soggetti sieronegativi, che possono interrompere il trattamento in qualunque momento.
Certo la PrEP non può essere assunta a caso. Ci sono degli schemi da seguire, dei controlli clinici da fare a partire dai test per le IST.
Capiamoci: non stiamo parlando di milioni di persone che non vedono l’ora di togliere il condom e scopare come ricci. In Francia, dove la PrEP è disponibile da quasi due anni rimborsata dal servizio sanitario (al contrario dell’Italia), sono circa 3.000 le persone in PrEP. Per lo più nell’area di Parigi.
Dunque in cosa consiste la vostra paura? In niente! C’è una larghissima maggioranza di persone che preferiscono continuare a usare il condom per mille ragioni: non è un farmaco, non vogliono mangiare roba chimica per fare sesso, perché con il preservativo non hanno problemi di erezione, piacere o altro, e così via. Ottimo, fantastico, super, top.
Ma c’è una parte minoritaria di popolazione, anche gay, che non usa il condom. Non mi interessa entrare nel merito in questo momento: non lo usa o lo usa in modo incostante.
Quindi che vogliamo fare?
Continuiamo a discriminare chi fa scelte difformi dalla maggioranza? Proprio noi persone omosessuali che ne subiamo di ogni dalla maggioranza eterosessuale?

Smettiamola, subito!
Non abbiamo nessuna base scientifica a sostegno e, quel che è peggio, la PrEP è già presente anche nel nostro Paese. È possibile comprare Truvada in farmacia con una prescrizione dello specialista a prezzo pieno: oltre 700€ per 30 pillole, quindi non alla portata di tutte le tasche.
Sappiamo di persone che vanno in Francia a prendere il farmaco e lo assumono dio sa come senza controllo clinico alcuno. Sappiamo di persone che la acquistano online da aziende di generici. Sappiamo che c’è un mercato nero di Truvada che esce dalle farmacie ospedaliere come PEP (profilassi post esposizione) o diretto a persone con HIV che ne fanno un altro uso.
Poco importa. La PrEP è già presente in Italia perché funziona e c’è richiesta.
Il nostro berciare scomposto ha portato stigma e mercato parallelo, quando non nero.

Veramente vogliamo continuare in questo modo? Plus non ci sta!
Dal prossimo autunno partirà Sex Check: un programma di controlli gratuiti rivolto anche a chi sostiene (magari su Grindr o GayRomeo) di essere in PrEP.
Su base trimestrale testeremo diverse IST: HIV, HCV, sifilide, gonorrea, ecc. unitamente a couselling sulle pratiche sessuali e sulla riduzione del rischio.
La tutela della propria salute è un diritto che Plus ha intenzione di sostenere, senza giudizio alcuno. Restate connessi.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente.

Con riferimento al documento politico del Bologna Pride, l’associazione Plus Onlus precisa quanto segue:

Il BLQ Checkpoint, gestito da Plus Onlus, è una struttura community-based che lavora in rete con la sanità pubblica in termini di sussidiarietà orizzontale, per quanto ancora non compiuta al 100%.
In tema di sanità pubblica, la Regione ha avuto il coraggio di evolvere verso una modalità nuova di intervento e ha saputo riconoscere le competenze che la comunità esprime, consentendo un notevole ampliamento dell’accesso ai test per HIV e altre infezioni a trasmissione sessuale.

Plus Onlus si augura un rapido sviluppo del BLQ Checkpoint nell’ottica della sussidiarietà orizzontale. Plus sottolinea come i servizi offerti non potrebbero avere lo stesso impatto se somministrati da strutture pubbliche e non community-based: l’operato del BLQ Checkpoint è quindi da considerarsi un servizio di pubblica utilità.

Plus Onlus è da sempre attenta a considerare nuovi modelli di intervento nell’ambito degli aspetti sociali della salute, valutandoli in base al rapporto costo-efficacia nell’interesse esclusivo della comunità LGBTQI e della cittadinanza nel suo complesso.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

Lo scorso dicembre l’ECDC, European Center for Disease Control, segnalò un incremento di casi di Epatite A fra i maschi che fanno sesso con maschi (MsM). A seguire, la segnalazione è stata ripresa dall’Istituto Superiore di Sanità e poi dalla Regione Emilia Romagna che, a sua volta, ha allertato anche Plus.
Niente di nuovo, questi picchi sono periodici nella nostra regione e, con ogni probabilità, sono dovuti da una parte a pratiche sessuali quali in rimming, fingering ecc., dall’altra alla non conoscenza dell’esistenza di un vaccino di vecchia data che è perfettamente in grado di evitare il propagarsi del contagio alla radice.

Plus ha risposto alla call della Regione rimettendo in circolazione il  volantino epatite A (clicca per scaricarlo), che è stato realizzato in collaborazione la dott.ssa Gianninoni del settore salute pubblica dell’Azienda Sanitaria di Bologna, il dott. Francia e con l’avvallo del direttore sanitario dott. Fioritti.
Dal 13 aprile è possibile effettuare il vaccino in comunità al BLQ Checkpoint, così come è già possibile effettuare i test per HIV e HCV.
Martedì o Giovedì dalle 18 alle 21 (ultimo accesso 20,30) su prenotazione chiamando il nr.
 0514211857 nei giorni e orari di apertura, oppure via e-mail: prenota@blqcheckpoint.it.

Il BLQ Checkpoint si trova in via San Carlo 42C a Bologna.

Cito molto volentieri l’intervento di questi operatori sanitari perché, per la prima volta, possiamo vedere un messaggio istituzionale rivolto ad una popolazione specifica (maschi gay e bisessuali), con l’utilizzo di un linguaggio grafico vicino a quello della popolazione target.

Plus non può che ringraziare gli attori istituzionali che hanno consentito la realizzazione di questo opuscolo mirato, perché hanno dimostrato una seria volontà politica di incidere nella lotta contro il diffonderti delle infezioni trasmissibili attraverso le pratiche sessuali sopra citate, laddove molti altri  si sono limitati a generici warning.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

In data 16 marzo il quotidiano diretto da Alessandro Sallusti ha fatto da sponda a una recente interrogazione del consigliere regionale emiliano-romagnolo di Forza Italia Galeazzo Bignami, interrogazione tutta centrata sul Blq Checkpoint e sulla liceità dei contributi versati dalla Regione negli anni 2014 e 2015 per realizzare il progetto stesso del centro. Nel mirino, il sito del Checkpoint e in particolare le immagini dell’opuscolo Capire il Chemsex.

Non è la prima volta che Plus, in qualità di associazione ideatrice e gestrice del Checkpoint, si trova a dover rispondere a un attacco del genere. È già successo pochi mesi fa, sotto Natale, da parte della Lega bolognese – con la quale peraltro c’è stato un chiarimento che ha tolto ogni dubbio di «immoralità» dagli occhi dei nostri detrattori.

Ripetiamo in questo frangente quanto già spiegato alla Lega Nord. Il nostro approccio alla prevenzione è la cosiddetta riduzione del rischio, il che significa che non promuoviamo pratiche sessuali o stili di vita di sorta, bensì ci limitiamo a prenderle in considerazione – quali realtà diffuse – cercando di fornire alla nostra utenza tutti gli strumenti indispensabili per compiere decisioni informate. L’obiettivo ultimo è ridurre le nuove infezioni, che spesso si verificano proprio nei contesti che tanto indignano il consigliere Bignami.

Approcci diversi dalla riduzione del rischio, magari basati su una comunicazione ellittica, minacciosa o moralistica, non hanno mai dimostrato alcuna efficacia. Speriamo quindi che anche «Il Giornale» comprenda come si fa prevenzione primaria al giorno d’oggi. E se ce ne desse la possibilità, saremmo ben lieti di replicare sulle sue pagine all’articolo di Francesco Curridori.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

Non sono sicuro di condividere l’impostazione del post di Accolla che critica aspramente l’articolo di Rossi Marcelli “L’epidemia della solitudine gay” recentemente apparso su Internazionale.
La risposta a chi analizza un problema cercandone le radici profonde, non può sempre essere gli etero non sono messi meglio o, se preferite, è un errore legare l’orientamento sessuale ad un problema anche se, guarda un po’, riguarda più spesso i gay che altri gruppi sociali.
Accusare tutti di omofobia, più o meno esplicitamente, è indubbiamente la soluzione più comoda e semplice non solo per evitare un confronto serio, che sarebbe il problema minore, ma, quel che è peggio, è la via più breve per insabbiare il tema e la testa.
Se si crede che l’omofobia interiorizzata, come ipotizza Internazionale, non sia alla base della solitudine che spinge alcune persone omosessuali a prendere strade pericolose, ad assumere comportamenti a rischio di contagio, ecc. allora si provi ad esporre una teoria alternativa, non a negare, non ad accusare di omofobia chi, per una volta, tenta un’analisi non scandalistica sulla falsa riga del ciarpame delle iene. Personalmente trovo l’articolo di Rossi Marcelli ben scritto e del tutto plausibile, parte da una valutazione di dati che sembrano essere ignoti solo alla comunità italiana, stante che l’alto tasso di suicidi o l’alta frequenza di diagnosi di HIV nella popolazione gay, è un dato scontato per pressoché tutte le associazioni per i diritti LGBT o di lotta contro HIV europee.
ILGA Europe ci passa intere sessioni delle sue conferenze annuali sul tema dei suicidi, fatico a credere che sia un consesso omofobo.
Quella della discriminazione e, quindi dell’omofobia interiorizzata, in effetti, è una teoria tutt’altro che nuova anche per quanto attiene alla diffusione di HIV: la conferenza mondale aids di Vienna 2010, si concentrò proprio sul tema della discriminazione e di come essa contribuisca a diffondere il virus dell’immunodeficienza umana. A nessun attivista sieropositivo gay venne in mente di polemizzare e far credere che la IAS fosse omofoba, né che fosse errato associare l’orientamento sessuale all’epidemia di HIV. Semplicemente prendemmo atto dei dati epidemiologici, banalmente perché ci ponevano, e pongono ancora oggi, in cima alla classifica delle nuove diagnosi in mezza Europa. Poiché nessuno crede che HIV gradisca di più i linfociti se di provenienza gay, è evidente che il problema risiede altrove. Guarda caso, laddove le leggi o le religioni discriminano le persone omosessuali, voila il virus si diffonde primariamente proprio in quel gruppo. E’ facile ipotizzare che la non accettazione porti le persone a non darsi valore.
L’epidemiologia italiana, cfr dati del Centro Operativo Aids (COA), segnala da anni (almeno dal 2010 guarda caso), che i maschi che fanno sesso con maschi sono in cima alla classifica delle nuove diagnosi, nel silenzio colpevole della comunità LGBT che, tranne rari casi, si ricorda di HIV solo in occasione del 1 dicembre e spesso solo in una logica generalista e moraleggiante.
Almeno l’articolo di Rossi Marcelli ha il pregio di tentare di avviare una riflessione, chissà forse addirittura nella speranza di indurre un confronto dialettico. Una modalità che non faremmo male a praticare al nostro interno se vogliamo avere idea di come mutare abitudini o ridurre rischi che si stanno diffondendo, se vogliamo per una volta tentare di andare oltre la retta via dell’offerta del condom in occasione del 1 dicembre o poco altro, se vogliamo davvero ascoltare quella parte di comunità che solitamente fingiamo di non vedere… ops anche la comunità LGBT discrimina?
Ancora oggi in Italia, una parte importante della comunità manda segnali preoccupanti. La risposta della parte pensante del movimento non può essere sempre e solo incentrata sul lessico. Un malessere, come la citata solitudine, può essere omosessuale quando i dati ci danno alti indici di suicidi o problemi psicologici nella nostra community. Internazionale ha tentato un’analisi e ha puntato il dito sulla discriminazione che respiriamo fin da piccoli. Si, è ancora così, anche se prima si stava forse peggio. Allora, di nuovo forse, concentrare l’analisi lucida e responsabile su cosa possiamo aver sbagliato nel percorso verso l’accettazione sociale a partire dall’omologazione, o dalla la scelta di delegare ad associazioni generaliste la lotta contro HIV, potrebbe essere utile anche ad attivare strategie tese ad invertire la tendenza esplicitata da Rossi Marcelli, al quale va il mio personale plauso per l’approccio davvero internazionale e per il coraggio di mettere il dito nella piaga.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

Sulla copertina del settimanale «Giallo – Storie Delitti Misteri» attualmente in edicola si legge questa sequela di titoli a caratteri cubitali: L’omicidio di Luca Varani – L’orrore non ha fine: Prato è sieropositivo! Chi partecipava ai suoi festini di sesso sfrenato è a rischio.

Trattasi senza dubbio di giornalismo scandalistico, che in quanto tale, come si dice in questi casi, si commenta da solo. Il problema è che questo presunto scoop è stato ripreso in data 28 febbraio da un’altra testata, «Leggo», che ha deciso di dare spazio alla notizia perlomeno on line, riportando gli estremi dell’articolo di «Giallo» e la copertina di cui sopra.

Pur astenendosi da qualsiasi commento circa la vicenda in sé, cronaca giudiziaria pura e semplice, Plus denuncia con fermezza il linguaggio utilizzato, che sottende una criminalizzazione pregiudizievole e senz’appello delle persone sieropositive. È ora che i giornali, cartacei e non, autorevoli e frivoli, affrontino il tema dell’hiv con strumenti diversi da quelli degli anni Ottanta.

Basta leggere le poche righe dell’articolo apparso su «Leggo»: un autentico catalogo dei cliché discriminatori ai danni delle persone sieropositive, trans* e dei lavoratori del sesso. Dimenticando che si parla di rapporti sessuali consenzienti tra adulti capaci di intendere e di volere. Come se la parola «hiv» legittimasse qualsiasi forma di fantasia.

In realtà, quando si parla di un’infezione, di fantasioso c’è ben poco. Hiv è un tema medico-scientifico e come tale dovrebbe essere trattato, senza mai sottovalutare l’aspetto sociale. Sfruttare l’infezione per fare notizia significa ferire le decine di migliaia di cittadini italiani diagnosticati. Decine di migliaia di persone per le quali l’unico «orrore» è costituito dalla paura di essere discriminate. Persone, nella maggior parte dei casi, in terapia efficace e quindi non contagiose.

Ci piacerebbe che d’ora in avanti chi esercita il mestiere di giornalista abbia maggiormente a cuore non solo le evidenze scientifiche, ma anche le conseguenze delle parole utilizzate. Le parole, urlava Nanni Moretti in Palombella rossa, sono importanti. E noi di Plus crediamo che le parole che si usano per parlare di hiv e delle persone sieropositive siano molto, molto importanti.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente