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Nelle grandi conferenze le “opening session” comprendono i saluti del/dei presidenti della conferenza che mostrano una serie di dati positivi, seguono le letture magistrali utili, a chi non è proprio invornito, a indicare la direzione verso cui la conferenza si orienta o, quantomeno, a denotare quali sono i punti salienti nella lotta contro HIV e altre infezioni che la direzione scientifica ha ritenuto importante sottolineare.

CROI ha seguito questa “tradizione”. Il Presidente del CROI ci ha mostrato i dati della conferenza:

3.635 partecipanti in presenza, più 438 virtuali, in rappresentanza di 73 Paesi. Il 38% dei partecipanti non è statunitense e costoro hanno presentato 359 abstract. Poi dicono che è la più importante conferenza al mondo. In totali gli abstract sono stati 1.682, accettati 966. Infatti ogni abstract subisce la review di 10 esperti interni e esterni. Sono state erogate 261 scholarship a giovani ricercatori (42 internazionali), 22 community educator (ricordo che è una conferenza medica, ma che comunque trova il modo di collaborare con la comunità dei pazienti). La conferenza si tiene nella cornice del Colorado Convention Center caratterizzata dalla presenza di una gigantesca statua che rappresenta un orso blu che sembra voler entrare.

Sono state presentate 3 letture magistrali. Come avviene anche in Italia, sia pur con qualche insistenza, le 3 letture sono dedicate a personaggi che hanno profondamente segnato la storia della lotta contro HIV, e sono la Bernard Field lecture che ha visto la presentazione di B. S. Graham (Vaccine Research Center NIAID, USA), la N’Galy-Mann lecture con la presentazione di D. M’bori-Ngacha (UN Children’s Fund, Kenya) e la Martin Delaney trattata da F. Mugisha, un bravissimo attivista di Sexual Minorities Uganda (SMUG), Uganda.

Con il titolo “Modern Vaccinology: a legacy of HIV research”, Barney Graham ha ampiamente parlato di vaccini. Dopo l’ennesimo insuccesso degli studi Mosaico e Imbodoko, era atteso che la comunità scientifica USA ponesse l’accento sull’importanza di insistere a cercare un modo per vaccinare la popolazione mondiale contro HIV, con buona pace degli indubbi risultati ottenuti coi farmaci. Tutta la presentazione è stata incentrata sui successi “altri” in questo campo, covid incluso perché, con buona pace degli scettici, in breve tempo la scienza ha trovato il modo di limitare fortemente i contagi… sempre che si nasca nel posto “giusto”, ovviamente. Buona parte della presentazione è stata usata per dimostrare come le nuove tecnologie, pressoché tutte sviluppate per cercare un vaccino contro HIV, hanno potuto accelerare in modo impressionate lo sviluppo e la produzione di vaccini. In poche parole con le tecnologie del 20simo secolo ci sono voluti anni per sviluppare i vaccini, in qualche caso decadi. Il 21esimo secolo ha visto uno sviluppo impressionante delle tecnologie vaccinali, tecnologie che ci consentono di individuare e produrre vaccini in pochi anni se non addirittura mesi. Il virus del covid, che ha contagiato 800 milioni di persone e si stima che ne abbia uccise 30, è stato messo sotto controllo nel giro di un paio di anni grazie alle vaccinazioni … in Africa meno del 5% della popolazione era stata immunizzata a fine 2021, ma si sa che prima viene chi ha soldi.

In conclusione l’anziano ricercatore spara tutte le sue cartucce: stiamo vivendo una nuova era per la scienza dei vaccini grazie alle nuove tecnologie derivate dalla ricerca su HIV. La progettazione precisa dell’antigene con la produzione rapida di piattaforme fornisce una soluzione ingegneristica per ottenere approcci vaccinali generalizzabili e, quindi, stigmatizza il fatto che dopo Mosaico sono crollati gli investimenti su sul vaccino per HIV che, del resto, ancora non sappiamo come fermare.

Dorothy M’bori-Ngacha ha ci ha offerto uno spaccato dei problemi sulla ricerca relativa all’allattamento al seno, in particolare in Africa ma non solo. Come è facile immaginare non è il nostro campo di azione, ma comunque va citata perché per molti paesi del cosiddetto terzo mondo questo è l’unico modo per non far morire di fame i neonati il che ci porta agli oltre 3 milioni di bambini contagiati per questa via. Un dato in calo negli ultimi anni, ma pur sempre con numeri inimmaginabili per le possibilità che abbiamo oggi. Del resto le possibilità di accesso alla terapia per le madri cambiano profondamente da regione a regione in Africa e sul piano globale l’incidenza dell’infezione da HIV fra le donne incinte e che allattano al seno resta una importante fonte di infezioni pediatriche da HIV.

Come già scritto, la presentazione di Frank Mugisha dal titolo “Unveiling the power of Uganda’s LGBTIQ advocacy in shaping HIV response and health care”, è stata la più emozionante della apertura. Mugisha con la prima slide ci mostra re Mwanga II che in epoca pre-coloniale, riconosceva il valore delle coppie dello stesso sesso tanto che era cosa nota che avesse un consorte maschio. Tuttavia con l’avvento del colonialismo, l’influenza britannica portò a criminalizzare e stigmatizzare gli omosessuali. Oggi dei 55 stati africani, in ben 33 l’omosessualità è un crimine punito con il carcere. Visioni alternative su sessualità e genere sono sempre esistente nei vari paesi africani, tuttavia oggi è in atto una criminalizzazione estesa: Kenya, Ghana Namibia, Niger, Tanzania a Uganda hanno fatto passi per finalizzare leggi anti omosessualità. Anche nei Paesi dove ci sono stati alcuni progressi nei diritti LGBTQ+, stanno venendo avanti situazioni stigmatizzanti. Per esempio nel Sud Africa che pure offre una importante protezione legale, continuano a verificarsi scontri contro le persone LGBT tanto che nel 2021 almeno 24 persone sono state uccise a causa di attacchi motivati da pregiudizi. Nelle Seycelles, che nel 2016 hanno decriminalizzato il sesso gay, persistono ambiguità normative sui diritti delle persone LGBTQ+ che li lasciano vulnerabili e senza protezione legale in vari aspetti della vita. Peraltro, l’Uganda non è nuovo a questo approccio: già nel 1950 un nuovo articolo del codice penale – penale! – mette fuorilegge le relazioni fra persone dello stesso sesso. Similmente all’Italia, anche in Uganda parlare di sesso è un tabu così come le è essere identificati come gay. In generale grazie a queste manovre normative, si è dato la stura a una disapprovazione sociale verso gli omosessuali che vengono rifiutati, ostracizzati.

Ovviamente le cose non succedono per caso. Come accade anche in Italia, da tempo in Uganda gruppi religiosi anti gay e anti gender lavorano per radicalizzare nel paese sentimenti di odio inventando miti e cospirazioni che portano a equiparare gli omosessuali ai pedofili o che reclutano giovani per trasformarli in gay, ecc. Queste idiozie compaiono da anni su tutte le piattaforme social anche attraverso interviste sensazionalistiche con ex attivisti gay. Situazione che non solo creano timori negli ugandesi, ma anche odio che, a sua volta, porta a molestie e violenze.

L’associazione di Frank, SMUG, è stata chiusa d’autorità nel 2022 dal Governo che, allo stesso tempo, ha prodotto una lista di 22 NGO da chiudere perché promuovono l’omosessualità. A maggio 2023 il presidente ha firmato una legge anti omosessualità. Del resto è la seconda volta che accade: nel 2009 venne firmata una legge denominata “Kill the Gay”. Attualmente Frank e altri attivisti si sono rivolti ai tribunali perché blocchino la legge del 2023 e a breve dovrebbe esserci la sentenza.

La nuova legge introduce il reato di omosessualità aggravata che prevede la pena di morte. Per esempio l’aggravante è fare sesso consensuale con una persona HIV+ dello stesso sesso. Inoltre introduce il reato di promozione dell’omosessualità, mettendo di fatto fuori legge tutti gli attivisti che rischiano fino a 20 anni di prigione. I medici, i datori di lavoro e perfino i familiari sono tenuti a denunciare chiunque sia sospettato di essere omosessuale.

In altre parole, i servizi sanitari, soprattutto in ambito sessuale, per le persone LGBT sono diventati irregolari e inadeguati.

La legge è arrivata al culmine di una lunga serie di violenze e abusi. Oltre 300 casi sono i casi di violazione dei diritti umani, abusi e violenze motivati dall’omofobia che SMUG ha documentato quali sfratti, trasferimenti forzati così come casi di tortura, trattamento degradante, aggressioni commessi da privato o dallo stato. Le conseguenze, come era facile immaginare, vedono un palese incremento di problemi di salute mentale così come traumi. Gay esiliati dentro e fuori il Paese, aumento dei senza tetto, violenze sessuali, esami anale forzati. Abusi amplificati dai media con arresti sensazionalistici (mi ricorda qualcosa accaduto anche da noi). Lo scorso gennaio un attivista amico di Frank è stato attaccato e accoltellato per la strada, al punto che ha dovuto subire un delicato intervento chirurgico.

Una norma, quindi, che finirà per incidere anche sull’epidemia da HIV che pur l’Uganda era riuscito a gestire meglio di altri. La discriminazione genera un sentimento di paura che scoraggia le persone LGBT+ dal rivolgersi ai centri per il test HIV, ai servizi di prevenzione e trattamento perché temono di essere giudicati, discriminati, di subire violenze e ripercussioni legali. Nonostante che il Ministero della salute ugandese abbia emanato 2 circolari con l’invito al personale sanitario a non discriminare (maledetti ipocriti), il numero di persone LGBT+ che si rivolte ai servizi sanitari continua a calare appunto a motivo della legge discriminatoria che erode la fiducia verso i servizi sanitari pubblici e rende più complicato l’accesso e ricevere servizi adeguati.

Frank è molto educato ma è evidente che assegna buona parte della responsabilità della situazione ai leader anti gay e anti gender, per lo più occidentali, che li ritrova a fianco dei politici e dei leader religiosi africani a minare i diritti LGBTQ+, a promuovere le terapie di conversione come cura per l’omosessualità ecc. e cita Open Democracy per l’Uganda come uno di questi influenti gruppi foraggiati da gruppi cristiani oltranzisti occidentali.

Qualcosa di simile viene tentato anche in Europa e in USA ma con importanti battute d’arresto, forse grazie a una società civile forte che, in molti casi, reagisce. Per cui l’Africa è percepita come il campo di battaglia finale da alcuni gruppi cristiani estremisti che diffondono sentimenti di odio contro i gay attraverso la “promozione dei valori della famiglia”. A ben vedere, conclude Frank, è l’omofobia, non l’omosessualità, che è estranea all’Africa.

Non è solo un suo parere, ci sono evidenze: nel 2023 il Parlamento ugandese ha organizzato la conferenza “family values”, i contenuti della conferenza erano totalmente anti gay e anti gender (pure questo mi ricorda qualcosa), gli invitati erano tutti attivisti anti gay/gender di altri stati africani, nel comunicato finale la conferenza (organizzato da un organo dello Stato, lo ricordo) invitata tutti gli stati africani a dotarsi di leggi simili, un parlamentare kenyano, che era presente, ha poi portato in Parlamento un progetto di legge anti gay. Questo è un po’ il trend che si sta verificando in Africa.

Il dato positivo è che davanti a questa legge molti stakeholder si stanno muovendo, è stato perfino organizzato un Pride in Uganda. Gli USA usano la Pepfar come sanzione, hanno posto il visto d’ingresso, avvisi per chi viaggia in Uganda, le banche internazionali hanno bloccato i prestiti. Le grandi aziende multinazionali (Google, Amex, AT&T, Microsoft, ecc.) si sono espresse contro questa legge dando la stura ad un effetto negativo su alcuni interessi economici, la comunità LGBTQ+ locale e internazionale sta agendo. Frank chiude chiedendo anche la solidarietà dei clinici presenti, perché la situazione sanitaria sta peggiorando in particolare su HIV.

Una relazione forte e commovente allo stesso tempo che la platea ha salutato con un lungo applauso, al quale, spero, seguano azioni della IAS con contrastare questa assurda situazione.

Sandro Mattioli
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