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Anche nel 2018 Plus onlus prosegue con il calendario di appuntamenti mensili dedicati ai maschi gay che vivono con l’Hiv. I Venerdì Positivi sono incontri informali, non sono gruppi di auto-aiuto: ciascun incontro è incentrato su un tema – sintetizzato nel titolo con una parola – sul quale i partecipanti sono invitati, se lo desiderano, a condividere i loro pensieri o le loro esperienze. 

Venerdì positivi si svolgono una volta al mese, al BLQ Checkpoint di Bologna (via San Carlo 42/C). Pur essendo pensati per uomini omosessuali sieropositivi, gli incontri sono aperti a chiunque, nel più totale rispetto della privacy e in un ambiente accogliente.

Di seguito il programma per i mesi da gennaio a giugno 2018. Cliccando sul titolo si sarà indirizzati al relativo evento Facebook.

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I Venerdì Positivi sono realizzati grazie a un contributo non condizionato di ViiV healthcare.

In occasione del 1 dicembre 2017 (Giornata mondiale per la lotta contro l’Aids), l’associazione Plus riprende la campagna di prevenzione “Pillole di buon sesso”, rivolta sia a persone sieronegative, sia a persone sieropositive.

Le pillole sono i farmaci antiretrovirali nei loro diversi usi, e la campagna si concentra su due strategie di comprovata efficacia, da associare a quelle già esistenti principalmente basate sull’uso del condom:

  • TasP è la sigla che indica la “terapia come prevenzione”. Si basa su un concetto semplice: se la quantità di virus in una persona con Hiv è drasticamente ridotta dai farmaci, non si trasmette l’infezione ad altri. Riprendendo lo slogan lanciato da Plus nel 2015: Positivo non infettivo. La TasP aiuta le persone con Hiv a non considerarsi pericolose per gli altri. E chi non ha l’Hiv può comprendere che fare sesso con una persona in TasP è una delle opzioni più sicure per restare negativi!
  • PrEP sta per “profilassi pre-esposizione”. È un modo perché le persone sieronegative possano ridurre sensibilmente le possibilità di contrarre l’Hiv. Consiste nel prendere quotidianamente una pillola che contiene due farmaci antiretrovirali. In due parole: Negativo non infettabile. In Italia è possibile acquistarla in farmacia con la prescrizione dell’infettivologo. Sono finalmente arrivati anche i farmaci generici, ma hanno ancora un costo troppo elevato (115€ a scatola) per garantire un’aderenza adeguata. Detto questo è importante fare informazione e accedere a ogni risorsa disponibile contro l’infezione!

Lo scorso dicembre, Plus ha lanciato la campagna Fallo come vuoi, che metteva sullo stesso piano di efficacia, contro l’Hiv, preservativo, TasP e PrEP. Il motivo di una campagna specifica sulle «pillole di buon sesso» è semplice: della TasP si parla ancora troppo poco, malgrado sia una realtà da molti anni. Quanto alla PrEP, implementata con successo in svariati Paesi europei, manca ancora la volontà politica di renderla accessibile in Italia, dove la barriera del prezzo costringe gli interessati a rimediarla per vie illegali, senza supervisione medica.
È ora che l’intera gamma delle risorse disponibili per combattere l’Hiv sia nota e resa disponibile a tutti, così che sia possibile effettuare una scelta consapevole, utilizzando in modo integrato le varie modalità di prevenzione. Dobbiamo stringere un patto sociale per invertire i dati epidemiologici e debellare l’epidemia.
È ora di usare il buon senso per affrontare un tema, quello dell’Hiv, troppo spesso appannaggio del giornalismo scandalistico e di teorie irrazionali.
In occasione del 1 dicembre, il BLQ Checkpoint sarà aperto dalle 18 alle 21 per effettuare il test per HIV e per l’epatite C. Per informazioni e prenotazioni è possibile telefonare allo 0514211857 (martedì e giovedì dalle 18 alle 21), oppure scrivere a prenota@blqcheckpoint.it. Come sempre, le persone che effettueranno i test riceveranno condom, lubrificante e potranno avere la possibilità di un counselling con persone qualificate.

Nel 2008 partecipai alla Conferenza Mondiale Aids di Città del Messico, dove ho avuto il privilegio di ascoltare la relazione del prof. Pietro Vernazza sullo studio che portò alla Swiss Declaration.
Lo studio, ancorché piccolo, aveva creato molto scalpore nell’ambiente scientifico e quando giunse alla conferenza, l’attesa e la tensione si potevano percepire chiaramente sia da parte scientifica, sia da parte delle persone HIV+.
L’enorme aula che ospitava la plenaria era stipata, almeno 10.000 persone assiepate per ascoltare la notizia dell’anno:
Le persone con HIV, a carica virale non rilevabile, senza altre IST, non sono contagiose. Studio allora piccolo (in seguito confermato da decine di altri), dati e rigore scientifico svizzero.

Ricordo l’emozione mia e di Alessandra Cerioli di Lila: finalmente non siamo più untori.

Ricordo anche l’intervento furibondo di una funzionaria dell’OMS.
Non si possono dare queste notizie in una conferenza mondiale – disse la funzionaria – perché è alto il rischio che i maschi sieropositivi smettano di usare il condom.
La dichiarazione svizzera è alla base delle decine di studi confirmatori della Tasp, trattamento come prevenzione, oggi praticata comunemente in pressoché ogni centro clinico. Oggi l’OMS supporta la Tasp e sostiene che le persone in trattamento efficace non sono contagiose.
Perché questo incipit?
Oggi abbiamo la possibilità di utilizzare Tasp e PrEP per far circolare meno virus nella comunità.
Tuttavia vedo la stessa paura immotivata della funzionaria dell’OMS in molti “scienziati di Facebook”, convinti che la profilassi pre-esposizione, PrEP, porterà ad un crollo nell’uso dei preservativi e il conseguente incremento dei casi di HIV.
Il razionale ideologico che è alla base del ragionamento, spesso ha a che vedere con una semplice equazione: “io uso il condom=tutti devono usare il condom”.
Un modo di ragionare che implica un giudizio e una discriminazione che sono, in parte, alla base delle numerose, troppe, nuove diagnosi annue di HIV in Italia (3-4 mila ormai stabili da tempo).
Provoco, lo so, ma spiego. È evidente che non tutti sono o riescono ad essere talebani del preservativo e la conseguenza è che si espongono al rischio di infezione. In Italia c’è uno zoccolo duro di nuove diagnosi che le attuali strategie di prevenzione non riescono a ridurre. Ormai è evidente da tempo e dobbiamo prenderne atto.

Quindi che vogliamo fare?

Insistiamo che tutti devono usare il preservativo fino a quando nessuno ascolterà più?
Oppure seguiamo la strada aperta dai 2 studi europei, Proud e Ipergay, e realizziamo interventi mirati di prevenzione PrEP based?
Intendiamoci: in nessuno studio è stato dato il farmaco e arrivederci. Sempre è stato proposto un counselling sulle pratiche a rischio e relative tecniche di riduzione, si è parlato dell’uso di condom e lubrificante, di attività e pratiche sessuali e poi di PrEP.
Il farmaco autorizzato per la PrEP oggi è il solo Truvada® (azienda produttrice: Gilead Sciences). Truvada ha la capacità di concentrarsi rapidamente nei tessuti rettali oltre ad una emivita del principio attivo molto lunga. Sia lo studio Proud che Ipergay hanno arruolato MSM (maschi che fanno sesso con maschi) e i risultati sono stati molto buoni: un calo molto consistente dei casi di HIV attesi, prossimo al 90%.
Attenzione: non è un vaccino! È un farmaco, anche se generalmente ben tollerato, non è esente da effetti collaterali per esempio a reni e ossa. Ma anche qui: si tratta di soggetti sieronegativi, che possono interrompere il trattamento in qualunque momento.
Certo la PrEP non può essere assunta a caso. Ci sono degli schemi da seguire, dei controlli clinici da fare a partire dai test per le IST.
Capiamoci: non stiamo parlando di milioni di persone che non vedono l’ora di togliere il condom e scopare come ricci. In Francia, dove la PrEP è disponibile da quasi due anni rimborsata dal servizio sanitario (al contrario dell’Italia), sono circa 3.000 le persone in PrEP. Per lo più nell’area di Parigi.
Dunque in cosa consiste la vostra paura? In niente! C’è una larghissima maggioranza di persone che preferiscono continuare a usare il condom per mille ragioni: non è un farmaco, non vogliono mangiare roba chimica per fare sesso, perché con il preservativo non hanno problemi di erezione, piacere o altro, e così via. Ottimo, fantastico, super, top.
Ma c’è una parte minoritaria di popolazione, anche gay, che non usa il condom. Non mi interessa entrare nel merito in questo momento: non lo usa o lo usa in modo incostante.
Quindi che vogliamo fare?
Continuiamo a discriminare chi fa scelte difformi dalla maggioranza? Proprio noi persone omosessuali che ne subiamo di ogni dalla maggioranza eterosessuale?

Smettiamola, subito!
Non abbiamo nessuna base scientifica a sostegno e, quel che è peggio, la PrEP è già presente anche nel nostro Paese. È possibile comprare Truvada in farmacia con una prescrizione dello specialista a prezzo pieno: oltre 700€ per 30 pillole, quindi non alla portata di tutte le tasche.
Sappiamo di persone che vanno in Francia a prendere il farmaco e lo assumono dio sa come senza controllo clinico alcuno. Sappiamo di persone che la acquistano online da aziende di generici. Sappiamo che c’è un mercato nero di Truvada che esce dalle farmacie ospedaliere come PEP (profilassi post esposizione) o diretto a persone con HIV che ne fanno un altro uso.
Poco importa. La PrEP è già presente in Italia perché funziona e c’è richiesta.
Il nostro berciare scomposto ha portato stigma e mercato parallelo, quando non nero.

Veramente vogliamo continuare in questo modo? Plus non ci sta!
Dal prossimo autunno partirà Sex Check: un programma di controlli gratuiti rivolto anche a chi sostiene (magari su Grindr o GayRomeo) di essere in PrEP.
Su base trimestrale testeremo diverse IST: HIV, HCV, sifilide, gonorrea, ecc. unitamente a couselling sulle pratiche sessuali e sulla riduzione del rischio.
La tutela della propria salute è un diritto che Plus ha intenzione di sostenere, senza giudizio alcuno. Restate connessi.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente.

Non sono sicuro di condividere l’impostazione del post di Accolla che critica aspramente l’articolo di Rossi Marcelli “L’epidemia della solitudine gay” recentemente apparso su Internazionale.
La risposta a chi analizza un problema cercandone le radici profonde, non può sempre essere gli etero non sono messi meglio o, se preferite, è un errore legare l’orientamento sessuale ad un problema anche se, guarda un po’, riguarda più spesso i gay che altri gruppi sociali.
Accusare tutti di omofobia, più o meno esplicitamente, è indubbiamente la soluzione più comoda e semplice non solo per evitare un confronto serio, che sarebbe il problema minore, ma, quel che è peggio, è la via più breve per insabbiare il tema e la testa.
Se si crede che l’omofobia interiorizzata, come ipotizza Internazionale, non sia alla base della solitudine che spinge alcune persone omosessuali a prendere strade pericolose, ad assumere comportamenti a rischio di contagio, ecc. allora si provi ad esporre una teoria alternativa, non a negare, non ad accusare di omofobia chi, per una volta, tenta un’analisi non scandalistica sulla falsa riga del ciarpame delle iene. Personalmente trovo l’articolo di Rossi Marcelli ben scritto e del tutto plausibile, parte da una valutazione di dati che sembrano essere ignoti solo alla comunità italiana, stante che l’alto tasso di suicidi o l’alta frequenza di diagnosi di HIV nella popolazione gay, è un dato scontato per pressoché tutte le associazioni per i diritti LGBT o di lotta contro HIV europee.
ILGA Europe ci passa intere sessioni delle sue conferenze annuali sul tema dei suicidi, fatico a credere che sia un consesso omofobo.
Quella della discriminazione e, quindi dell’omofobia interiorizzata, in effetti, è una teoria tutt’altro che nuova anche per quanto attiene alla diffusione di HIV: la conferenza mondale aids di Vienna 2010, si concentrò proprio sul tema della discriminazione e di come essa contribuisca a diffondere il virus dell’immunodeficienza umana. A nessun attivista sieropositivo gay venne in mente di polemizzare e far credere che la IAS fosse omofoba, né che fosse errato associare l’orientamento sessuale all’epidemia di HIV. Semplicemente prendemmo atto dei dati epidemiologici, banalmente perché ci ponevano, e pongono ancora oggi, in cima alla classifica delle nuove diagnosi in mezza Europa. Poiché nessuno crede che HIV gradisca di più i linfociti se di provenienza gay, è evidente che il problema risiede altrove. Guarda caso, laddove le leggi o le religioni discriminano le persone omosessuali, voila il virus si diffonde primariamente proprio in quel gruppo. E’ facile ipotizzare che la non accettazione porti le persone a non darsi valore.
L’epidemiologia italiana, cfr dati del Centro Operativo Aids (COA), segnala da anni (almeno dal 2010 guarda caso), che i maschi che fanno sesso con maschi sono in cima alla classifica delle nuove diagnosi, nel silenzio colpevole della comunità LGBT che, tranne rari casi, si ricorda di HIV solo in occasione del 1 dicembre e spesso solo in una logica generalista e moraleggiante.
Almeno l’articolo di Rossi Marcelli ha il pregio di tentare di avviare una riflessione, chissà forse addirittura nella speranza di indurre un confronto dialettico. Una modalità che non faremmo male a praticare al nostro interno se vogliamo avere idea di come mutare abitudini o ridurre rischi che si stanno diffondendo, se vogliamo per una volta tentare di andare oltre la retta via dell’offerta del condom in occasione del 1 dicembre o poco altro, se vogliamo davvero ascoltare quella parte di comunità che solitamente fingiamo di non vedere… ops anche la comunità LGBT discrimina?
Ancora oggi in Italia, una parte importante della comunità manda segnali preoccupanti. La risposta della parte pensante del movimento non può essere sempre e solo incentrata sul lessico. Un malessere, come la citata solitudine, può essere omosessuale quando i dati ci danno alti indici di suicidi o problemi psicologici nella nostra community. Internazionale ha tentato un’analisi e ha puntato il dito sulla discriminazione che respiriamo fin da piccoli. Si, è ancora così, anche se prima si stava forse peggio. Allora, di nuovo forse, concentrare l’analisi lucida e responsabile su cosa possiamo aver sbagliato nel percorso verso l’accettazione sociale a partire dall’omologazione, o dalla la scelta di delegare ad associazioni generaliste la lotta contro HIV, potrebbe essere utile anche ad attivare strategie tese ad invertire la tendenza esplicitata da Rossi Marcelli, al quale va il mio personale plauso per l’approccio davvero internazionale e per il coraggio di mettere il dito nella piaga.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

Sulla copertina del settimanale «Giallo – Storie Delitti Misteri» attualmente in edicola si legge questa sequela di titoli a caratteri cubitali: L’omicidio di Luca Varani – L’orrore non ha fine: Prato è sieropositivo! Chi partecipava ai suoi festini di sesso sfrenato è a rischio.

Trattasi senza dubbio di giornalismo scandalistico, che in quanto tale, come si dice in questi casi, si commenta da solo. Il problema è che questo presunto scoop è stato ripreso in data 28 febbraio da un’altra testata, «Leggo», che ha deciso di dare spazio alla notizia perlomeno on line, riportando gli estremi dell’articolo di «Giallo» e la copertina di cui sopra.

Pur astenendosi da qualsiasi commento circa la vicenda in sé, cronaca giudiziaria pura e semplice, Plus denuncia con fermezza il linguaggio utilizzato, che sottende una criminalizzazione pregiudizievole e senz’appello delle persone sieropositive. È ora che i giornali, cartacei e non, autorevoli e frivoli, affrontino il tema dell’hiv con strumenti diversi da quelli degli anni Ottanta.

Basta leggere le poche righe dell’articolo apparso su «Leggo»: un autentico catalogo dei cliché discriminatori ai danni delle persone sieropositive, trans* e dei lavoratori del sesso. Dimenticando che si parla di rapporti sessuali consenzienti tra adulti capaci di intendere e di volere. Come se la parola «hiv» legittimasse qualsiasi forma di fantasia.

In realtà, quando si parla di un’infezione, di fantasioso c’è ben poco. Hiv è un tema medico-scientifico e come tale dovrebbe essere trattato, senza mai sottovalutare l’aspetto sociale. Sfruttare l’infezione per fare notizia significa ferire le decine di migliaia di cittadini italiani diagnosticati. Decine di migliaia di persone per le quali l’unico «orrore» è costituito dalla paura di essere discriminate. Persone, nella maggior parte dei casi, in terapia efficace e quindi non contagiose.

Ci piacerebbe che d’ora in avanti chi esercita il mestiere di giornalista abbia maggiormente a cuore non solo le evidenze scientifiche, ma anche le conseguenze delle parole utilizzate. Le parole, urlava Nanni Moretti in Palombella rossa, sono importanti. E noi di Plus crediamo che le parole che si usano per parlare di hiv e delle persone sieropositive siano molto, molto importanti.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

Nel 2017 Plus Onlus propone 2 nuove edizioni di HIVoices, che ha già visto la partecipazione di 101 uomini omo-bisessuali HIV+ nelle cinque precedenti edizioni.

Che cos’è HIVoices?
HIVoices è un laboratorio intensivo, rivolto ESCLUSIVAMENTE a persone che vivono con HIV omosessuali, bisessuali e MsM (maschi che fanno sesso con maschi), pensato come un’esperienza per poter vivere meglio e in maniera più consapevole la propria identità di persona omo/bisessuale che vive con HIV.

Non si tratta di terapia di gruppo. Non è un gruppo di auto-aiuto. Non è un gruppo gay di amanti della natura.

HIVoices è un percorso di sperimentazione nella relazione con Sé e con l’Altro; un’occasione di crescita individuale nel gruppo-di-pari, per accrescere la propria autostima, accettazione e consapevolezza emotiva. Un luogo in cui ritrovarsi con persone differenti, ma simili; un tempo nel quale non-nascondere la propria identità di uomo sieropositivo dotato di un orientamento sessuale altro.

Hivoices è un percorso formativo costruito attorno al concetto di auto-apprendimento, attraverso metodologie di educazione non-formale. Un’occasione per acquisire strumenti per ‘inventare il proprio benessere‘ e valorizzare le proprie capacità individuali, in particolare rispetto ad una piena affermazione di sé.

Perché partecipare ad HIVoices?
Essere omo/bisessuali con HIV è difficile. Anche all’interno della realtà lgbtq: nei locali, nei luoghi di incontro sessuale, nelle associazioni, sui social network. “Perché se lo dico, poi non scopo più!”. “Perché se lo dico, poi mi trattano in modo diverso”.

Dire (o non dire) di essere sieropositivo non è come dire di essere omo-bisessuale. Anzi, spesso, tutta la ‘fatica’ fatta nel coming out del proprio orientamento sessuale non serve nel processo di accettazione e comunicazione della propria sieropositività. La paura di essere accettati e visibili in quanto persona dotata di un orientamento sessuale altro si somma alla paura di essere discriminato in quanto persona sieropositiva.

Ma attenzione: se, come, quando e a chi comunicare la propria sieropositività è una scelta individuale. C’è chi (al momento opportuno) lo dice a tutt* e ne fa una bandiera di visibilità; c’è chi invece non lo dice neppure alle persone più care; c’è chi è attivista lgbtq senza dichiarare la propria sieropositività; e c’è chi, essendo sieropositivo e facendo sesso con altri uomini, non accetta la propria omo-bisessualità.

Un ventaglio di possibilità molto ampie; una pluralità di voci differenti.

È così che nasce HIVoices: un laboratorio originale ed atipico nel panorama lgbtq, nel quale i partecipanti possano sentirsi accolti, sia in quanto uomini-che-fanno-sesso-con-altri-uomini, sia in quanto persone che vivono con HIV.

Il gruppo come potente cassa di risonanza, per meglio comprendere ciò che si sa, si fa e si sente – ovvero di ciò che si è; in un luogo accogliente e ‘protetto’, che offra ai partecipanti la certezza che la propria privacy e riservatezza saranno tutelate.

HIVoices 7
QUANDO: venerdì 26 maggio, sabato 27 e domenica 28 maggio 2017.
DOVE: in una struttura attrezzata per gruppi residenziali sull’Appennino romagnolo.
COSTO: 30 € a testa.
SCADENZA ISCRIZIONI: è possibile iscriversi fino a domenica 14 maggio 2017.
INFO ED ISCRIZIONI: info@plus-onlus.it

In vista di San Valentino, il  gestito BLQ Check Point gestito da Plus Onlus programma un’apertura straordinaria, resa possibile dalla stretta collaborazione con l’azienda sanitaria.

La settimana dal 13 al 17 febbraio, sempre dalle 18 alle 21, sarà quindi una Testing Week molto speciale… dedicata a tutti gli innamorati (in coppia o di se stessi), perché un virus non guarda in faccia a nessuno.

Ricordiamo inoltre le nuove modalità di prenotazione dei test hiv e hcv in vigore da questo mese. Oltre al numero di telefono 051 42 118 57 (attivo negli orari di apertura, quindi di regola martedì e giovedì 18-21) si può anche inviare una mail a prenota@blqcheckpoint.it, in risposta alla quale verrà fissato un appuntamento.

Il BLQ Checkpoint offre test rapidi, anonimi, gratuiti e sicuri. Il test hiv è a prelievo capillare (punturina sulla falangetta), il test hcv è salivare e per essere effettuato con successo non bisogna aver mangiato, bevuto bibite, fumato, masticato chewing-gum o usato il dentifricio nei venti minuti precedenti. Nel caso in cui non si possa andare all’appuntamento prefissato, è opportuno segnalarcelo.

Alcuni farmaci anti-Hiv (in particolare gli inibitori della proteasi) aumentano i livelli di alcune droghe da sballo nel corpo quali MDMA, ketamina, speed, GHB e crystal meth, col rischio di overdose. Sotto l’effetto di droghe si corre inoltre il rischio di prendere le pillole all’orario sbagliato, o di saltare la dose.
Il sildenafil (Viagra), il tadanafil (Cialis) e gli altri principi attivi che agevolano l’erezione possono interagire con alcuni antiretrovirali, per cui conviene limitarne il dosaggio o prenderli in orari distanti da quelli delle terapie. Poppers e droghe simil-viagra possono anche causare pericolosi abbassamenti della pressione sanguigna, soprattutto se assunti insieme.
I due farmaci usati per l’Hiv che possono avere le interazioni più pericolose con le droghe da chemsex, con i farmaci per l’erezione o con le benzodiazepine sono il ritonavir (Norvir) e il cobicistat (Tybost). Il cobicistat è un componente delle pillole Stribild, Genvoya (che contengono anche elvitegravir, tenofovir ed emtricitabina), Prezcobix (con il darunavir), Symtuza (con darunavir, emtricitabina e tenofovir alafenamide) ed Evotaz (con atazanavir). Il ritonavir è presente nel Kaletra (con il lopinavir) ma di solito si assume in una pillola a parte chiamata Norvir da prendere con altri inibitori della proteasi; è presente anche nel Viekira Pak che contiene due pillole per il trattamento dell’epatite C.
Anche se è possibile che ci siano potenziali interazioni tra le droghe da chemsex e altri farmaci usati contro l’Hiv, secondo alcuni studi sarebbero meno pericolose. Nel caso si assuma ritonavir o cobicistat (anche in una delle combinazioni elencate sopra) e non si riesca a rinunciare al chemsex, è meglio parlarne apertamente con il proprio medico per valutare la possibilità di cambiare terapia.
Per quanto riguarda gli inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa, in particolare efavirenz (Sustiva), nevirapine (Viramune) ed etravirine (Intelence), l’interazione può provocare un abbassamento della concentrazione delle droghe. Questo potrebbe portare ad assumere più droghe magari in maggiore quantità per ottenere l’effetto atteso, con rischi imprevedibili.

 

Specchietto basato sugli studi dell’università di Liverpool


Questa pubblicazione è stata realizzata grazie a un contributo non condizionato di ViiV Healthcare. Testi a cura di Giulio Maria Corbelli, Simone Buttazzi, Sandro Mattioli e Stefano Pieralli. Per la parte legale ringraziamo Niccolò Angelini e Andrea Frigieri. Fotografie di: Antonio Falzetti.

Le informazioni sono aggiornate al mese di gennaio 2021.

Se ti esponi al rischio di contrarre l’Hiv (ad esempio, se si rompe il preservativo), c’è la possibilità di iniziare una terapia in grado di prevenire l’infezione. Si chiama profilassi post-esposizione (PEP, o PPE) e comporta l’assunzione di tre farmaci antiretrovirali per 28 giorni consecutivi. La PEP ha maggiori possibilità di successo se iniziata nel giro di poche ore dal rapporto a rischio. Prima si comincia, meglio è. Ma può ancora essere efficace se iniziata entro 48 ore dall’incidente.

Se vuoi iniziare la PEP, contatta rapidamente un centro di malattie infettive, o se gli orari di apertura non lo consentono, il Pronto Soccorso dell’ospedale più vicino e chiedi di vedere l’infettivologo di turno. Spiegherai a lui cosa è successo (puoi contare sulla sua riservatezza) e insieme valuterete se è il caso di fare la PEP.

La profilassi pre-esposizione o PrEP è invece l’assunzione di una pillola che contiene due farmaci antiretrovirali (tenofovir ed emtricitabina combinati con il nome commerciale di Truvada). La persona sieronegativa che assume con regolarità questa pillola riduce sensibilmente le possibilità di contrarre l’Hiv. Ciò che più conta per aumentare questa protezione è assumere il farmaco secondo le indicazioni. Lo schema consigliato per l’uso della PrEP è quello di una pillola al giorno, ogni giorno.

In alternativa, funziona anche prendere quattro pillole per rapporto sessuale a rischio: due qualche ora prima, una il giorno dopo e una il giorno dopo ancora (più o meno alla stessa ora). Questo uso intermittente della PrEP può essere adatto se prevedi di fare sesso solo in certi giorni.

Se vuoi maggiori informazioni sulla PrEP, puoi consultare il sito prepinfo..

Ricordati infine che una persona sieropositiva in terapia efficace da almeno sei mesi (con viremia “undetectable” o non rilevabile) non è contagiosa. È la TasP, terapia come prevenzione, o U=U, undetectable = untrasmittable.


Questa pubblicazione è stata realizzata grazie a un contributo non condizionato di ViiV Healthcare. Testi a cura di Giulio Maria Corbelli, Simone Buttazzi, Sandro Mattioli e Stefano Pieralli. Per la parte legale ringraziamo Niccolò Angelini e Andrea Frigieri. Fotografie di: Antonio Falzetti.

Le informazioni sono aggiornate al mese di gennaio 2021.

Il concetto è semplice: se la quantità di virus presente nel tuo organismo è drasticamente ridotta dai farmaci, è difficile che tu possa trasmettere ad altri l’infezione.

Ci sono delle condizioni perché questo possa avvenire:

  • devi essere in terapia antiretrovirale e avere una viremia non rilevabile da almeno sei mesi;
  • devi essere aderente alla terapia (cioè prendere tutte le pillole, ogni giorno, agli orari giusti) e devi farti vedere dal medico con regolarità;
  • non devi avere altre infezioni sessualmente trasmissibili.

Questo concetto, secondo cui la terapia che una persona assume per controllare l’infezione da Hiv abbatte la possibilità che trasmetta l’infezione, va sotto il nome di “Terapia come prevenzione” (Treatment as Prevention – TasP).

La TasP ci ha aiutati a diminuire la tensione all’interno del nostro rapporto. Continuiamo a usare il preservativo visto che il mio partner è sieronegativo, ma sappiamo che se qualcosa va storto è molto improbabile che io gli trasmetta il virus, in quanto ho la viremia non rilevabile 

Ci si può fidare?

Secondo il punto di vista di noi persone con Hiv, un pregio della TasP è quello di togliere a chi vive col virus l’angoscia di percepirsi come una bomba biologica. Sapere che il rischio di trasmettere l’infezione è quasi azzerato grazie alla terapia è un sollievo per molti.

Questo significa che non è necessario l’uso del profilattico? Qui la questione si fa più complessa: innanzitutto bisognerebbe prima essere sicuri di rientrare nei parametri necessari ad abbattere il rischio (viremia non rilevabile, aderenza totale, nessuna IST) e sappiamo ad esempio che molte IST vengono diagnosticate in ritardo. In secondo luogo, gli studi riportano dati prevalentemente relativi al rapporto eterosessuale, cioè vaginale: nel rapporto anale l’Hiv si trasmette con maggiore facilità che nel rapporto vaginale, tuttavia molti esperti ritengono che questi risultati possano essere riferiti anche al sesso anale. Servirebbero più dati: c’è uno studio in corso (studio PARTNER) ma per avere i risultati bisognerà aspettare il 2017. Inoltre qualcuno teme – anche qui i dati sono equivoci – che anche se la viremia è non rilevabile nel sangue, potrebbe non esserlo sempre nello sperma o nelle mucose anali. E poi c’è sempre il rischio di saltare qualche dose della terapia o di contrarre una IST proprio rinunciando al profilattico…

Se sei in una relazione con un uomo sieronegativo o semplicemente fai sesso con sieronegativi, sapere che, nelle condizioni esposte sopra, il rischio di trasmettere l’infezione è quasi nullo può essere un sollievo. Ma la decisione se usare o meno il preservativo può essere solo vostra. Noi pensiamo che continuare a usarlo sia comunque utile: saresti più sicuro, continueresti a proteggerti da alcune IST e, cosa secondo noi non secondaria, aiuteresti a diffondere una buona prassi – l’uso del preservativo, appunto – sempre più ignorata.

Undetectable ma col condom

Hai la viremia non rilevabile da tempo e nessuna IST? Se stai pensando di non usare il preservativo, ricorda che:

  • l’uso del profilattico praticamente azzera il rischio di trasmissione dell’Hiv;
  • è molto più difficile prendersi altre IST (come l’epatite C, che è una patologia molto grave) se usi il preservativo;
  • l’uso del profilattico previene anche i guai con la giustizia; eventuali accuse di lesioni o tentate lesioni personali da parte di un ex partner sieronegativo, infatti, crollerebbero immediatamente.