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  1. I risultati dello studio
  • Cos’è lo studio PARTNER?

Lo studio PARTNER è uno studio internazionale in due fasi; l’obiettivo dello studio è indagare se si verifica la trasmissione di HIV quando una persona sieropositiva è in efficace trattamento antiretrovirale (ART). Questa condizione era definita come avere una carica virale di meno di 200 copie/mL.

Lo studio PARTNER1 si è svolto dal 2010 al 2014, il PARTNER2 dal 2014 al 2018. Lo studio ha arruolato e seguito coppie sierodiscordanti, dove cioè un partner era positivo all’HIV e in ART e l’altro era negativo all’HIV. Le coppie che potevano partecipare allo studio avevano già scelto di non usare sempre il preservativo. Erano molte le coppie che non usavano il preservativo regolarmente e alcune non lo usavano mai da diversi anni.

Lo studio è stato disegnato per fornire stime del rischio di trasmissione di HIV nel sesso senza preservativo sia per le coppie eterosessuali che per le coppie gay quando il partner positivo è in terapia efficace. Per poter partecipare allo studio, la persona positiva all’HIV della coppia doveva essere in terapia per l’HIV al momento dell’arruolamento.

  • I risultati dello studio PARTNER1 (2010-2014)

Dal 2010 al 2014, la prima fase dello studio PARTNER ha arruolato 1100 coppie da 14 diversi paesi europei. Due terzi delle coppie erano eterosessuali e un terzo gay.

I risultati dello studio PARTNER1 includevano dati da 888 coppie (548 eterosessuali e 340 gay). Durante il periodo in cui sono state seguite (chiamato follow-up), le coppie hanno fatto sesso senza preservativo in media 37 volte all’anno (valore mediano). In tutto, le coppie gay hanno riferito di aver fatto sesso senza preservativo 22.000 volte e le eterosessuali circa 36.000 volte.

Durante il PARTNER1, nessuno dei partner negativi all’HIV si è infettato facendo sesso con il partner positivo all’HIV con cui era in coppia. Questo fornisce un tasso di trasmissione dell’HIV all’interno della coppia pari a zero. Tuttavia, siccome la maggioranza delle coppie era eterosessuale, le conclusioni erano meno affidabili se riferite al sesso gay di quanto lo fossero per il sesso eterosessuale.

Alla fine del PARTNER1, il limite superiore dell’intervallo di confidenza del 95% per il rischio di trasmissione nelle coppie eterosessuali era 0,46 per 100 coppie-anni di follow-up, mentre per le coppie gay maschili era di 0,84 per 100 coppie-anni di follow-up.

  • Perché il PARTNER2?

Lo studio PARTNER allora è proseguito in una seconda fase, per fornire gli stessi livelli di affidabilità ottenuti per le coppie etero anche per le coppie gay.

Molte coppie gay del PARTNER1 hanno continuato a partecipare al PARTNER2 e in aggiunta sono state arruolate altre coppie gay.

La fase 2 dello studio PARTNER (2014-2018) ha continuato ad arruolare e seguire solo coppie gay.

  • I risultati dello studio PARTNER2

In tutto, il PARTNER2 ha arruolato 972 coppie gay (480 delle quali erano già seguite nel PARTNER1 mentre 492 sono state arruolate successivamente). Di queste, 783 coppie hanno fornito 1.596 coppie-anni di follow-up utili allo studio, in cui il partner positivo era in terapia efficace.

Le coppie hanno fatto sesso senza preservativo in media 43 volte all’anno (valore mediano). Durante il periodo di follow-up utile allo studio, le coppie hanno fatto sesso senza condom 76.991 volte.

Come nel PARTNER1, alcuni partner negativi all’HIV sono diventati positivi ma nessuno di questi casi era collegato ai partner positivi con cui erano in coppia, per questo non ci sono stati casi di trasmissione di HIV all’interno delle coppie. Il tasso di trasmissione di HIV all’interno delle coppie era zero.

In tutto, 15 uomini originariamente negativi all’HIV sono diventati positivi tra il 2010 e il 2018 (alcuni di questi durante il PARTNER1). In tutti i casi, il partner positivo all’HIV con cui erano in coppia aveva un virus molto diverso da quello con cui si erano infettati (cioè filologicamente non correlato).

Aver seguito un numero maggiore di coppie ha comportato che il limite superiore dell’intervallo di confidenza al 95% per il rischio di trasmissione tra maschi gay sia ora 0,23/100 coppie-anni di follow-up.

  • Cosa significano questi risultati?

Il PARTNER2 ora ha fornito un livello di affidabilità per le coppie gay simile a quello fornito per le coppie eterosessuali nel PARTNER1 del fatto che il rischio di trasmissione sessuale dell’HIV da una persona con carica virale non rilevabile sia effettivamente zero.

 

  1. Glossario
  • Cosa significa ‘coppie-anni di follow-up utili allo studio’?

Sono coppie-anni di follow-up utili allo studio la somma dei periodi di tempo in cui le coppie hanno fatto sesso senza preservativo, il partner positivo all’HIV aveva una carica virale non rilevabile (misurata massimo un anno prima) e il partner negativo all’HIV non usava la PEP o la PrEP.

  • Perché lo studio si riferisce agli intervalli di confidenza? Cosa significano nel PARTNER2?

Quando stimano un rischio, gli scienziati devono mettere in conto il fatto che i risultati potrebbero essersi verificati per caso, in conseguenza del fatto che uno studio può osservare solo un numero limitato di casi. Per fare questo, vengono calcolati i limiti inferiore e superiore all’interno dei quali si trovano i valori possibili. Questo si chiama intervallo di confidenza. Nello studio, è stato calcolato un valore stimato del tasso di trasmissione e l’intervallo di confidenza al 95%. L’intervallo di confidenza al 95% intorno al valore stimato è la gamma all’interno della quale si può essere certi al 95% ricada il vero tasso di trasmissione, prendendo in considerazioni gli effetti del caso.

In generale, più grande è lo studio, più si può essere certi che i risultati siano affidabili e non dovuti al caso. In questo tipo di studi, la dimensione dello studio si misura dal numero totale di anni durante i quali le persone vengono seguite, più che solo dal numero di partecipanti.

I risultati suggeriscono che ci sono pochissime probabilità che il tasso di trasmissione di HIV possa essere superiore a 0,23 per 100 coppie-anni di follow-up (vale a dire una infezione ogni 433 anni di sesso senza preservativo). Questo significa che possiamo concludere che il rischio di trasmissione sia essenzialmente zero.

Anche il tasso di trasmissione stimato per il sesso anale senza preservativo e con eiaculazione interna è zero. Il limite superiore per questo tipo di sesso è 0,57/100 coppie-anni di follow-up. In altre parole, anche nel caso avessimo sottostimato il rischio (zero) di trasmissione per motivi legati al caso, nel peggiore dei casi ci vorrebbero comunque almeno 177 anni di sesso con eiaculazione interna perché si verifichi un caso di trasmissione all’interno della coppia.

  • Cos’è una trasmissione collegata?

Una trasmissione collegata o linked transmissionsi ha quando la nuova infezione da HIV del partner inizialmente negativo avviene con un ceppo di virus che è altamente simile a quello trovato nel partner positivo all’HIV.

Nello studio PARTNER, per indagare se ci sono state trasmissione collegate, i ricercatori dell’Università di Liverpool hanno usato un metodo specialistico chiamato analisi filogenetica. Questo metodo esamina se i virus HIV trovati nel sangue dei due partner sono strettamente collegati tra loro. Se il partner inizialmente negativo si infetta ma il virus è geneticamente diverso da quello trovato nel partner positivo, questo viene considerato come una indicazione che la nuova infezione è avvenuta da una fonte diversa dal partner positivo.

Questo è essenziale se si indaga il rischio di trasmissione di HIV perché molti studi precedenti che analizzavano i casi di trasmissione nelle coppie sierodiscordanti hanno trovato che il 25-50% dei casi di nuova infezione avveniva da persone esterne alla relazione di coppia principale. L’analisi genetica è quindi una parte essenziale dello studio PARTNER.

Fino ad oggi, lo studio è stato in grado di dimostrare che anche se alcune persone negative all’HIV sono diventate positive durante lo studio, nessuna delle nuove infezioni è avvenuta con un virus HIV simile a quello trovato nei rispettivi partner positivi.

Nello studio PARTNER sono stati usati sia test standard che test ultrasensibili per fornire prove legate all’analisi filogenetica. Per questo è stato possibile concludere che queste nuove infezioni non sono avvenute da parte dei rispettivi partner nello studio PARTNER.

  • Come viene definita nello studio PARTNER la ‘carica virale non rilevabile’?

Nello studio PARTNER, la carica virale non rilevabile viene definita come inferiore alle 200 copie per millilitro di sangue.

Alcuni ospedali usano test per la carica virale che hanno diversi valori di riferimento per il limite inferiore. Per esempio, è possibile verificare che ci siano meno di 20 oppure 50 oppure ancora 200 copie di HIV in un millilitro di sangue, a seconda del centro clinico in cui ci si trova.

  • Quanto a lungo resta non rilevabile la carica virale dopo un test che la misura?

I risultati della carica virale possono dare informazioni solo sulla quantità di virus presente al momento in cui è stato prelevato il campione di sangue. Fintanto che una persona continua a prendere la terapia come prescritto, però, è molto probabile che la carica virale continui a essere non rilevabile.

Nella maggior parte dei centri europei, solo una piccola percentuale di pazienti che sono stabilmente in trattamento ha una risalita della carica virale sopra il livello di rilevabilità ogni anno. Si pensa che questo sia dovuto a difficoltà con l’aderenza. È molto difficile vedere una risalita della carica virale nel contesto di una buona aderenza alla terapia. Lo studio PARTNER ha usato la soglia delle 200 copie per la soppressione virologica, che tiene conto della maggior parte dei piccoli picchi di risalita della carica virale che si osservano nelle persone in trattamento antiretrovirale.

 

3. Il disegno dello studio

  • Uno studio osservazionale

I partecipanti allo studio PARTNER non si sono sottoposti a nessun trattamento medico speciale o intervento mentre erano nello studio; per questo motivo, viene definito uno studio ‘osservazionale’.

Sono state raccolte informazioni sul comportamento sessuale attraverso dei questionari completati dai partecipanti allo studio ogni 6-12 mesi; inoltre, con la stessa cadenza, il partner positivo all’HIV ha effettuato un test per la carica virale mentre il partner negativo un test per l’infezione da HIV.

  • Dove si è svolto lo studio PARTNER?

Lo studio ha arruolato partecipanti in 14 paesi europei: Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Spagna e Svizzera.

In totale 55 cliniche e ospedali hanno partecipato allo studio PARTNER2.

  • Come è stato finanziato lo studio PARTNER?

La seconda fase dello studio PARTNER è stata finanziata da: National Institute of Health Research del Regno Unito, ViiV Healthcare, Gilead Sciences, Augustinus Fonden, A.P. Møller Fonden e la Danish National Research Foundation [grant numero DNRF126], ed è sponsorizzato da CHIP, Rigshospitalet.

Inoltre, l’Ufficio Svizzero per la Salute Pubblica ha finanziato la partecipazione dei centri elvetici. Lo studio è coordinato in maniera cooperativa da CHIP, Rigshospitalet, Università di Copenhagen, e University College di Londra. 

  • Chi ha condotto lo studio?

Lo studio PARTNER è stata una collaborazione che ha coinvolto ricercatori indipendenti e scienziati di tutta Europa. Il comitato di conduzione dello studio comprendeva medici, ricercatori e rappresentanti della community.

Il comitato di conduzione dello studio PARTNER era composto da:

  • Prof. Andrew Phillips, University College di Londra (UCL)
  • Prof. Jens Lundgren, Università di Copenhagen e Rigshospitalet, 
  • Dr. Alison Rodger, UCL
  • Tina Bruun, Università di Copenhagen e Rigshospitalet, 
  • Simon Collins, HIV i-Base 
  • Prof. Pietro Vernazza, Kantonsspital St. Gallen 
  • Dr. Vicente Estrada
  • Dr. Olaf Degen
  • Giulio Maria Corbelli, EATG
  • Dorthe Raben, Università di Copenhagen e Rigshospitalet,
  • Dr Valentina Cambiano, UCL
  • Prof Anna Maria Geretti, Università di Liverpool
  • Dr Apostolos Beloukas, Università di Liverpool

[tradotto dal documento originale in inglese da Giulio Maria Corbelli]

Tra gli applausi commossi dei delegati, sono stati presentati lo scorso 24 luglio alla conferenza AIDS 2018 di Amsterdam i risultati dello studio PARTNER2. Risultati molto attesi che dovevano fornire una valutazione affidabile del rischio di trasmissione di Hiv da parte di una persona con carica virale non rilevabile nei rapporti sessuali anali tra maschi. E le conclusioni presentate da Alison Rodger per conto del team dello studio PARTNER sono state inequivocabili: “Il rischio è zero, il tempo per le scuse è finito”.

In effetti dopo otto anni lo studio non ha osservato nemmeno una sola trasmissione da Hiv da parte del partner sessuale con carica virale non rilevabile, pur seguendo 783 coppie che hanno fatto sesso senza condom per circa 77.000 volte. 

I risultati confermano che la terapia antiretrovirale è altrettanto efficace nei maschi gay nel prevenire la trasmissione di Hiv che nelle coppie etero. In realtà lo studio ha fornito un livello di evidenza persino superiore rispetto a quello ottenuto per le coppie eterosessuali nel 2014. 

L’estensione per le coppie gay

Lo studio si è infatti svolto in due fasi. La prima, dal 2010 al 2014, ha coinvolto sia coppie etero che gay e ha dimostrato che la terapia è in grado di ridurre a zero il rischio di trasmissione sessuale dell’Hiv nelle coppie etero. La seconda fase ha incluso alcune delle coppie gay maschili della prima fase ma ha proseguito dal 2014 al 2018 arruolando altre coppie gay. Questa seconda fase denominata PARTNER2 ha arruolato 972 coppie formate da una persona con Hiv in terapia e una persona sieronegativa e che avessero già autonomamente deciso di non usare sempre il preservativo nei rapporti sessuali. I partecipanti riempivano a cadenze regolari un questionario sui comportamenti sessuali. 

Nella analisi che hanno fornito i risultati presentati ad Amsterdam sono stati inclusi solo quei periodi in cui le coppie hanno fatto sesso senza usare il condom (e senza PEP o PrEP) e in cui il partner con Hiv avesse carica virale non rilevabile (definita come meno di 200 copie/mL). 

In tutto, sono stati inclusi dati su 783 coppie che hanno contribuito per 1596 coppie-anni di follow up (come se 1596 coppie fossero state seguite per un anno o una coppia per 1596 anni…). I motivi più frequenti per cui sono stati esclusi alcuni periodi di follow up dalla analisi sono stati il fatto di non aver fatto sesso senza condom in quel periodo (33%), uso di PEP o PrEP (24%), mancanza di un test della carica virale per il partner positivo (18%) o altri dati mancanti. Meno del 5% (circa 25 coppie-anni di follow up) è stato escluso dalla analisi a casa di una carica virale superiore alle 200 copie/mL; in altre parole, oltre il 95% dei partecipanti sieropositivi ha mantenuto carica virale non rilevabile durante tutto lo studio, un dato che mostra un alto livello di efficacia della terapia antiretrovirale in questo gruppo. 

I partecipanti avevano un’età mediana di 43 anni (la maggior parte con età compresa tra 31 e 46, come indica il range interquartile o IQR) e in genere avevano fatto sesso senza condom nella coppia già per un anno di media (IQR 0,4-2,9). Il partner positivo era in terapia da 4,0 anni come mediana (IQR 2,0-9,0) con un’ottima aderenza (il 98% dei partecipanti assumeva più del 90% delle dosi) e il 93% di loro riferiva di avere carica virale non rilevabile. 

Risultato: nessuna trasmissione dal partner HIV+

Nel periodo in cui sono state seguite nel corso dello studio, che per ciascuna coppia è stato di 1,6 anni di mediana (IQR 0,9-2,9), le coppie hanno fatto sesso senza usare i preservativi circa una volta alla settimana. Il dato mediano è di 43 rapporti sessuali senza condom all’anno (IQR 19-74). Durante tutto lo studio, sono stati riferiti quasi 77.000 rapporti sessuali senza preservativo. 

Molte di queste coppie erano in relazione aperta e il 37% dei partner sieronegativi ha riferito di aver avuto anche altri partner sessuali. Durante il follow up, il 24% dei partner sieronegativi e il 27% di quelli sieropositivi ha riferito di aver avuto almeno una infezione a trasmissione sessuale. 

In otto anni, 15 partner sieronegativi hanno contratto l’Hiv. È importante sottolineare che tutte queste nuove infezioni sono avvenute con un virus Hiv troppo strutturalmente diverso da quello del partner nello studio. L’analisi filogenetica ha confrontato la regione del patrimonio genetico del virus chiamata pol in tutti e 15 i casi e quella della regione env in 13 casi con 15 casi di controllo appositamente accoppiati ma le differenze erano sufficientemente ampie da poter escludere che la trasmissione sia avvenuta da parte del partner sieropositivo. 

Il rischio teorico e il ruolo del caso

L’obiettivo dello studio PARTNER era di quantificare il rischio. Perciò, anche nel caso in cui non si è verificata alcuna trasmissione, lo studio ha stimato un limite massimo di rischio che potrebbe essere ammissibile, dal momento che i dati disponibili sono sempre limitati. In altre parole, in base a quanto sono numerosi e affidabili i dati dello studio, si può stimare quanto sia affidabile il risultato ottenuto quantificando un limite massimo di rischio. Questo è dato dall’intervallo di confidenza del 95% (95%IC). 

La prima fase dello studio ha fornito un limite superiore dell’intervallo di confidenza del 95% di 0,46/100 coppie-anni di follow up; in altre parole, nel peggiore scenario una coppia dovrebbe fare sesso per circa 200 anni perché si verifichi un caso di trasmissione. Questo è il dato massimo, in realtà è probabile che ci vogliano migliaia di anni… Dal momento che due terzi dei partecipanti a quella fase di studio erano eterosessuali, il limite massimo del rischio per le coppie gay era molto più alto, pari a 0,84/100 coppie-anni di follow up. 

I nuovi risultati dello studio PARTNER2 sono stati in grado di ridurre il limite superiore dell’intervallo di confidenza del 95% del rischio complessivo per le coppie gay a 0,23/100 coppie-anni di follow up; questo equivale a dire che nel peggiore scenario una coppia dovrebbe fare sesso per 400 anni perché si verifichi un caso di trasmissione. 

L’intervallo di confidenza del 95% viene calcolato sulla base delle coppie-anni di follow up disponibili per quel particolare dato; quello generale appena descritto fa riferimento ai quasi 77.000 complessivi atti sessuali senza preservativo osservati nello studio. Se ci si limita ai soli rapporti anali insertivi, si hanno 52.000 atti sessuali che danno un limite superiore dell’intervallo di confidenza pari a 0,27, valore che sale a 0,43 se si considerano solo i casi di rapporto anale ricettivo senza eiaculazione interna (più di 23.000 atti) e a 0,57 per i rapporti anali ricettivi con eiaculazione interna (circa 20.000 rapporti). Nel sottogruppo che aveva una recente infezione sessualmente trasmissibile, il limite superiore dell’intervallo di confidenza è di 2,9/100. 

Conclusione: PARTNER2 conferma U=U

Lo studio PARTNER è stato disegnato per fornire dati affidabili che le persone possano usare per fare scelte personali relative alla salute sessuale. In ciò, persino con 8 anni di follow up, lo studio non è stato in grado di osservare nemmeno un solo caso di trasmissione di Hiv quando la carica virale era non rilevabile (definita come meno di 200 copie/mL). 

Questi risultati costituiscono la più grande raccolta di dati che dimostrino quanto efficacemente il trattamento antiretrovirale prevenga la trasmissione sessuale di Hiv. Sono risultati che supportano e confermano la campagna U=U secondo cui la carica virale non rilevabile (Undetectable) rende l’Hiv non trasmissibile (Untrasmissable). 

Il gruppo di ricerca ha anche prodotto un documento di domande e risposte per illustrare i risultati e i metodi dello studio in linguaggio non tecnico.  

Il commento di Simon Collins, attivista, redattore di i-base.info e rappresentante della community nello studio PARTNER.

Dopo otto anni nel tentativo di trovare un caso di trasmissione da carica virale non rilevabile, abbiamo dati che riguardano sia il sesso etero che quello gay, senza nemmeno un singolo caso di trasmissione verificato. 

Ai ricercatori dello studio PARTNER dovrebbe essere riconosciuto il merito di aver voluto estendere lo studio iniziale per ulteriori quattro anni per produrre un livello di affidabilità per i maschi gay paragonabile a quello ottenuto per le coppie etero. 

Arruolare, seguire e tenere nello studio coppie per otto anni è stato un risultato considerevole. La complessità e il rigore dell’analisi filogenetica mostra che nessuna delle infezioni osservate era collegata al partner sieropositivo della coppia. 

Dal momento che il sesso anale ricettivo comporta un rischio maggiore per Hiv rispetto al sesso vaginale, questi dati possono ragionevolmente essere usati anche per valutare il rischi nel sesso anale eterosessuale. 

Questo dimostra che il rischio di trasmissione di Hiv con carica virale non rilevabile è effettivamente zero. 

[Articolo di Simon Collins di i-base.info, traduzione di Giulio Maria Corbelli]

Note:

  1. Press conference. PARTNER study results. Tuesday 24 July 2018. 9.00 am.
  2. Rodger A et al. Risk of HIV transmission through condomless sex in MSM couples with suppressive ART: The PARTNER2 Study extended results in gay men. AIDS 2018, 23-27 July 2018, Amsterdam. Late breaker oral abstract WEAX0104LB (webcast)
  3. Domande e risposte sullo studio PARTNER

Il 30 gennaio 2008 gli esperti della Commissione federale svizzera per l’Aids affermarono per la prima volta che una persona sieropositiva in terapia efficace non può trasmettere il virus. Questo il nocciolo della cosiddetta “dichiarazione svizzera” a firma EKAF (Eidgenössische Kommission für Aids-Fragen der Schweiz), rinominata nel 2012 EKSG, Commissione confederale svizzera per la salute sessuale.

Il gruppo di studiosi capeggiato da Pietro Vernazza (nella foto) pubblicò una serie di dati, non corposissima, a sostegno di questa tesi poi confermata da ampi studi successivi. Che il raggiungimento dello status di “undetectable”, con la viremia stabilmente non rilevabile sotto le 50 copie per millilitro cubo di sangue, fosse sinonimo di non contagiosità era ormai una speculazione frequente in ambito infettivologico. A partire dal 1996 l’introduzione della classe degli inibitori della proteasi aveva condotto a un nuovo standard terapeutico, con tre principi attivi: la cosiddetta HAART, highly active antiretroviral therapy, oggi semplicemente ART. Stiamo parlando della terapia efficace che ha salvato e continua a salvare decine di milioni di vite, garantendo livelli di salute e di qualità di vita del tutto paragonabili a quelli delle persone sieronegative. Come funziona questa terapia? Semplice: abbatte la quantità di virus nel corpo e lo tiene in scacco, impedendo la replicazione.

La dichiarazione svizzera rappresentò un primo, portentoso lancio del cuore oltre l’ostacolo. Presentandosi come un “parere di esperto” che passava in rassegna più di 25 piccoli studi (su coppie sierodiscordanti in gran parte eterosessuali, o donne sieropositive incinte), lo statement fu un’affermazione clamorosa per l’epoca, autentico spartiacque non solo scientifico ma anche sociale. Contiene infatti il nocciolo della principale strategia antistigma tesa a cambiare il volto della sieropositività.

Gli esperti svizzeri individuarono tre punti in presenza dei quali era ragionevole dire che una persona sieropositiva non fosse in grado di trasmettere il virus: l’aderenza a una terapia antiretrovirale efficace, una viremia non rilevabile da almeno sei mesi e l’assenza di ulteriori infezioni sessualmente trasmissibili capaci di “dare una mano” ad Hiv. Col passare del tempo il terzo punto, inserito a mo’ di clausola precauzionale, è stato di fatto depennato dai risultati dello studio PARTNER. Tradotto: una persona sieropositiva trattata che contrae la gonorrea può trasmettere la gonorrea, ma non l’Hiv.

campagna del Terrence Higgins Trust

Sono passati esattamente dieci anni dalla dichiarazione svizzera. Venti dalla prima coorte di donne incinte sottoposte a terapia triplice (coorte di San Francisco, Beckerman K. et al.). Sette dalla pubblicazione dei dati dello studio HPTN 052, il primo a indagare la correttezza delle affermazioni di Vernazza e colleghi. Due da quelli, straordinari pur nella loro parzialità, dello studio PARTNER che ha seguito 548 coppie sierodiscordanti eterosessuali, 340 omosessuali, ha registrato 58.000 rapporti penetrativi senza profilattico e rilevato zero trasmissioni. Sono questi gli “hard facts” della TasP, il trattamento come prevenzione, una colonna del nuovo approccio combinato contro l’Hiv insieme al condom e alla PrEP.

Undetectable (con viremia non rilevabile) = Untransmittable = Uninfectious

Gli studi proseguono, e sappiamo bene che zero trasmissioni non significano, in termini rigorosamente scientifici, zero possibilità di trasmissione. In campo scientifico non esiste un bianco e nero manicheo. Ma a fronte di dati così ampi e omogenei è necessario condensare un messaggio pragmatico da lanciare alla popolazione, e questo messaggio è che nella vita reale una persona sieropositiva stabilmente in terapia non trasmette il virus. Plus è stata una delle prime associazioni a ideare una campagna centrata su questo tema: Positivo ma non infettivo risale al giugno 2015. Sul finire del 2017 anche la Lila, con Noi possiamo, ha trasformato in uno slogan il messaggio liberatorio della TasP. A livello globale, il 2016 ha segnato l’avvio della campagna U=U (undetectable = untransmittable) sottoscritta da centinaia di associazioni e da 34 Paesi.

Plus al Pride bolognese del 2015. Foto di Maurizio Cecconi.

Purtroppo, come sottolinea un sondaggio ministeriale condotto in Germania nel 2017, il 90% della popolazione resta all’oscuro di questa informazione fondamentale. Chissà quale sia la percentuale nel nostro Paese… La difficoltà di comunicare senza intoppi un messaggio in apparenza contraddittorio (che una persona con un’infezione sessualmente trasmissibile non possa trasmetterla in alcun modo, a cominciare dal sesso) non deve scoraggiarci. Dalla nostra abbiamo i dati, la scienza, una certezza che nessuna opinione può mettere in dubbio. E abbiamo soprattutto l’energia di chi vuole mettere la parola fine a cliché vecchi di decenni. A cominciare da quelli che circolano tuttora nella nostra comunità.

Come ha detto Bruce Richman, fondatore della campagna U=U, la sopravvalutazione del “pericolo” rappresentato da chi vive con Hiv equivale a un atto di violenza nei nostri confronti. Un atto di violenza oggi inaccettabile nella sua gratuità. La nostra risposta è serena, e basata sui fatti.

Dieci anni or sono, il 30 gennaio 2008, la Commissione svizzera diramò un messaggio coraggioso, rivelatosi giusto: una persona sieropositiva in terapia efficace non può, ripeto non può, trasmettere il virus dell’Hiv.

Simone Buttazzi
Plus Onlus