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di Mark S. King

Ma non vi basta mai?

Prosegue la collaborazione tra Plus e il blogger statunitense Mark S. King, autore del sito My Fabulous Disease, all’avanguardia nella lotta allo stigma verso le persone sieropositive. Gli articoli di Mark sono molto diretti, a volte sconcertanti nella scelta – volutamente provocatoria – degli argomenti e dei paragoni, tant’è che il suo pensiero non collima sempre con le posizioni di Plus. Detto questo, abbiamo deciso di pubblicarne alcuni in traduzione (con piccoli aggiustamenti di natura esplicativa) per dare una «scossa», anche in Italia, al dibattito su temi troppo spesso ignorati dalla nostra comunità.

Mark S. King

Una vecchia puntata dello show di Oprah Winfrey, anno 1987, riesce ancora a farmi vedere rosso. La minuscola cittadina di Williamson, in West Virginia, innescò un dibattito nazionale sull’aids dal momento che Mike Sisco, che era tornato al paese natale per morirvi, aveva osato tuffarsi nella piscina pubblica.

Il paesello uscì subito di testa. Sisco venne subito etichettato come uno psicopatico (secondo alcuni, sputava persino sui banchi del verduraio), e il giorno dopo la piscina venne chiusa per procedere a una decontaminazione in stile Silkwood. Ben presto, Oprah piombò sul posto con troupe e telecamere per discutere pubblicamente dell’accaduto. Il timor panico era all’ordine del giorno. «Se c’è anche solo una possibilità su un milione che qualcuno possa essersi beccato il virus in piscina» annunciò il sindaco al pubblico mondiale dello show «ritengo di aver fatto la cosa giusta». Certo. Perché non reagire nella maniera più isterica possibile, se c’è anche solo una possibilità su un milione?

Gli abitanti di Williamson non si lasciarono tranquillizzare dagli agenti della naccho che spiegarono loro con grande calma come si trasmette l’hiv, e l’impossibilità che ciò avvenga in piscina. «I medici potranno anche dire che non si prende così» concionò una signora «ma come la mettiamo se un bel giorno fanno marcia indietro e sbottano «be’, ci siamo sbagliati?». Massì. Come la mettiamo? Se c’è anche solo una chance su un milione…

Quella puntata sarebbe potuta restare una triste nota a piè di pagina nella storia dell’hiv/aids, un esempio istruttivo di come la gente ignori le evidenze scientifiche al solo scopo di salvaguardare una paura corroborante… peccato che la storia tenda a ripetersi.

Oggi, purtroppo, l’ignoranza più caparbia non riguarda solo i villici di un borgo dimenticato nel sud degli Stati Uniti, difficile persino da trovare sulla mappa. Riguarda i maschi omosessuali, che verso la scienza tendono a sfoggiare il medesimo atteggiamento impaurito, aggressivo e isterico dei bifolchi di Williamson di trent’anni fa.

In occasione della conferenza internazionale CROI sono stati presentati i risultati di uno studio di nome Partner, che hanno dimostrato ciò che gli attivisti nel campo dell’hiv sospettavano da tempo: le persone sieropositive con viremia non rilevabile non sono in grado di trasmettere il virus ai loro compagni. Lo studio ha riguardato circa 800 coppie discordanti, in maggioranza eterosessuali, col partner positivo in terapia e carica vitale stabilmente sotto le 50 copie per millilitro di sangue. Nel corso di due anni sono stati documentati più di 30.000 rapporti sessuali (le coppie erano state scelte in base alla loro tendenza a non usare il preservativo), e non è stato registrato neanche un caso di trasmissione del virus da parte di una persona sieropositiva «undetectable». Se lo studio Partner fosse stato indetto per mettere alla prova un nuovo farmaco, la fase sperimentale sarebbe stata interrotta per immetterlo subito sul mercato.

Gli esiti dello studio Partner legittimano la strategia preventiva detta TasP («therapy as prevention»: terapia come prevenzione), che si fonda sul fatto che una persona sieropositiva sottoposta con successo alla terapia non è più contagiosa. Non esiste un solo caso documentato di persona con viremia non rilevabile che abbia infettato il partner, tanto in ambito sperimentale quanto nella vita vera.

Ma non andate a raccontarlo a una bella fetta di maschi omosessuali scettici, molti dei quali si sono armati di tastiera per gettare fango sugli esiti dello studio Partner. Frasi come «falso senso di sicurezza», «i positivi mentono», «fantascienza pura» e «se c’è anche solo un minimo rischio» hanno invaso i social network e la sezione dei commenti del mio blog. Già m’immagino gli abitanti di Williamson annuire soddisfatti…

Le resistenze allo studio Partner vanno di pari passo con i dubbi nei confronti della PrEP (profilassi pre-esposizione, cioè l’assunzione di Truvada da parte di individui sieronegativi – strumento ancora inaccessibile in Italia). Malgrado qualsiasi obiezione pelosa verso la PrEP sia stata spazzata via dai fatti, i suoi strenui oppositori continuano o a negare la realtà o a emettere giudizi morali sulla vita sessuale dei sieronegativi che hanno deciso di entrare in PrEP. Sì, ci sono delle zone d’ombra, a cominciare dal problema dell’aderenza. Ce ne sono sempre quando il mondo degli studi scientifici incontra quello reale. E non tutte le strategie funzionano con chiunque. Ma il rifiuto veemente di scoperte così importanti indica che c’è qualcos’altro sotto, annidato nella mentalità dei maschi omosessuali. Che cos’è?

Difficile scrollarsi di dosso i ricordi collettivi degli anni tragici dell’aids, anzi: cominciamo proprio da qui. La classica reazione viscerale a qualsiasi studio che parli di neutralizzazione dell’hiv è di profondo scetticismo. Le buone notizie sembrano non reggere il confronto con un lutto durato trent’anni.

Inoltre, lo studio Partner mette a rischio l’opinione diffusa secondo la quale i maschi omosessuali altro non sono che mine vaganti. Lo studio toglie di torno «l’uomo nero con l’hiv». Cosa vuol dire questo? Che chi è al corrente del proprio status e voglia entrare in terapia ha la possibilità di diventare «undetectable». E una volta che il partner positivo non rappresenta più un problema, ecco che entrambe le persone sono egualmente responsabili delle proprie azioni. Una rivoluzione copernicana nella mentalità diffusa della comunità gay.

Una rivoluzione tuttavia difficile da compiere finché continua a serpeggiare la paura, e i dubbi più fantasiosi hanno la meglio. Come la mettiamo se il mio partner salta una dose e, anche se i principi attivi degli antiretrovirali restano nel sangue per un pezzo, la sua carica virale s’impenna? Come la mettiamo se non m’ha detto la verità circa la viremia? Come la mettiamo se non conosce il proprio status?

Amici miei cari, il pericolo vero non è rappresentato dai sieropositivi che credono di avere la viremia non rilevabile e si sbagliano. È rappresentato da chi crede di essere sieronegativo e non lo è. Ma a noi piace concentrarci sulle mancanze della persona positiva conclamata perché, sapete, i sieropositivi mentono. E a noi sieropositivi piace saltare le dosi, perché vogliamo morire prima e nel frattempo cercare la prossima vittima.

Allora anch’io ho qualche domanda del tipo «come la mettiamo se?». Come la mettiamo se queste paure irrazionali servono solo a stigmatizzare le persone positive? Come la mettiamo se ho la viremia non rilevabile e non sento alcun bisogno di tirare in ballo il mio status con un partner occasionale, visto che non sono in vena di lezioncine scientifiche? Come la mettiamo se ciascuno di noi sceglie la strategia di prevenzione che gli va maggiormente a genio? Come la mettiamo se il mio stato sierologico non è affar vostro?

I rischi diminuirebbero, naturalmente, se ciascuno di noi proteggesse il proprio corpo quando fa sesso con uno sconosciuto o una persona di cui non si fida. Ma questa ipotesi caricherebbe di responsabilità anche i sieronegativi, ed è una gran scocciatura. Meglio lasciare tutto il fardello sulle spalle dei positivi, untori che non siamo altro. Considerateci dei criminali, dei bugiardi, gente che sputa sugli alimenti e non vede l’ora di attaccarvela.

Finché continueremo a lasciarci distrarre da ipotesi fantasiose, non riusciremo mai a comprendere le minacce reali. Le infezioni sessualmente trasmissibili sono in pieno rigoglio. La nostra comunità è piagata dall’alcolismo, dalle droghe, da malattie mentali. Vogliamo parlare di questioni scientifiche serie o preferiamo dissipare le energie in dibattiti scandalistici?

Se siete ancora così arroganti da credere di poter vincere la lotteria dell’hiv infettandovi in maniere che la scienza ha scartato da un pezzo, nessuno vi può privare di questo punto di vista. Ma consentitemi di darvi un paio di semplici consigli. Statevene alla larga dal computer e non toccate i cavi, perché in America 50 persone l’anno muoiono fulminate per via di dispositivi difettosi. Recatevi piano, molto piano in camera da letto, guardando dove mettete i piedi, perché gli incidenti domestici ammazzano 55 persone al giorno. E ora infilatevi tra le coltri della vostra testarda ignoranza e vedete di mettervi a vostro agio. Perché gli abitanti di Williamson vi guardano.

Mark

P.S. Il numero di persone infettate da una persona sieropositiva con carica virale non rilevabile durante la lettura di questo articolo è stato pari a: zero.

L’originale, pubblicato sul blog di My Fabulous Disease, si trova a questo indirizzo.

Traduzione di Simone Buttazzi.