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Glasgow2014La Conferenza di Glasgow, “http://hivglasgow.org/ 2014” anche quest’anno si è tenuta nella splendida cornice dello Scottish Exhibition Centre altrimenti detto “Armadillo” per la sua caratteristica forma. La conferenza ha visto la partecipazione di un folto gruppo di volontari di Plus che hanno potuto partecipare chi grazie alle scholarship, chi ad inviti degli sponsor, chi grazie a un training. Una ricerca di Plus è stata accettata dalla commissione di valutazione, in forma di poster, e quindi pubblicata sul Journal of the International AIDS Society (JIAS). La conferenza quest’anno è stata caratterizzata dalla presenza consistente di scholarship (tra le quali quella di chi scrive) nonostante la crisi, dalla presenza massiccia di EATG in rappresentanza della community, dall’assenza, per fortuna, di incidenti.
Sembra una cosa di poca importanza quella delle scholarship, ma non lo è affatto in quel contesto. Soprattutto per la modalità con cui viene gestita: le persone cui è stata accettata la domanda di scholarship, infatti, devono sottostare ad alcuni obblighi, per altro molto piacevoli, quali un brunchPoster Plus Glasgow 2014 di benvenuto nel quale ci si conosce e nel quale uno dei co-chair della conferenza, Ian Weller padre della conferenza, gira instancabile fra i vari gruppetti che si formano presentandosi, chiedendo informazioni come un qualunque partecipante. Un medico di chiara fama che non se la tira è un evento che vale la pena di evidenziare. La cena delle scholarship a fine conferenza, è un’occasione per chiacchierare fra partecipanti di varie nazioni, scambiare esperienze. Nel mio tavolo in particolare, la lingua ufficiale è immediatamente diventata lo spagnolo: si trattava di un tavolo latino con partecipanti da Cuba, Argentina, Spagna e, ovviamente, Italia.
Una parte importante della conferenza è stata dedicata all’epatite C e, quindi, alle coinfezioni. Devo dire che anche in questo campo il gruppo degli MSM si batte fra i peggiori in termini di dati di incidenza, purtroppo. Il tutto, manco a dirlo, nell’ignoranza generale almeno per quanto riguarda il nostro paese. E’ stato infatti con malcelato stupore e invidia che ho seguito presentazioni dove si definivano le strategie del Regno Unito per contenere l’epidemia. Quindi esiste la possibilità di avere delle strategie?!
Rispetto alle presentazioni ne citerò solo alcune per ovvie ragioni si spazio:
Cingolani Glasgow 2014Antonella Cingolani ha presentato i dati della coorte ICONA sull’aumento dell’incidenza delle malattie a trasmissione sessuale nelle persone con HIV in Italia. Sono state analizzate 9168 persone, un quarto delle quali donne, un terzo MSM (maschi che fanno sesso con maschi). La sifilide ha una prevalenza del 39% ed è la malattia a trasmissione sessuale (MTS) più frequente. I fattori associati a una maggiore frequenza di MTS sono la giovane età, essere MSM. Essere in terapia antiretrovirale, invece, è associato con una minore probabilità di avere MTS.
Molto interessante, soprattutto per noi italiani, è stato constatare come il tema PrEP in conferenza è stato preso in considerazione alla stregua di qualunque altro tema, in termini scientifici, di utilità, di efficacia, ecc. Simon Collins, per esempio, ha parlato di PrEP sul piano delle prospettive della community. Le prime prove su animali dell’efficacia del tenofovir nel prevenire l’infezione da HIV risalgono al 1995. Nel 2002 alla conferenza CROI, qualcuno chiese a Bill Gates se per proteggersi quando faceva sesso con il suo fidanzato sieropositivo avrebbe dovuto prendere dei farmaci. In qualche modo quella domanda lanciò i primi studi, finanziati proprio da Gates, sulla PrEP. Molti pensano che questa strategia sia fomentata dalle industrie, ma non ci sono evidenze: Simon Collins Glasgow 2014ad esempio Gilead non sta facendo nessun marketing della PrEP negli Stati Uniti. Altri ne mettono in dubbio l’efficacia, ma se non bastassero i dati di iPrEx i recenti dati degli studi PROUD e IPERGAY (due studi, rispettivamente UK e Francia, che hanno sperimentato l’assunzione intermittente al contrario di iPrex per il quale l’aderenza stellare era vitale… curioso come britanni e francesi studino invece di chiedere agli “esperti”), smentiscono anche questo. A chi dice che non dovremmo medicalizzare il sesso si può rispondere che la PrEP non è per r tutti, forse ci sarà un 50% di persone che sceglieranno di usarla e solo per un periodo di tempo. Le persone non hanno sempre comportamenti a rischio, i periodi di attività sessuale più intensa e a rischio in genere non durano in eterno, tendenzialmente si cambia. Naturalmente uno strumento come questo si deve dimostrare utile a livello di popolazione, di comunità, non solo personale. Ma è anche vero che bisogna abbandonare la logica del “gruppo a rischio” per concentrarsi su rischio relativo a una situazione: per questo potenziali utenti della PrEP devono valutare tutti gli aspetti della loro vita personale. E’ del tutto evidente, quindi, l’importanza del peer-counselling anche nella gestione della PrEP. Quindi tutto bene? Certo che no, ci sono alcune preoccupazioni che riguardano la sicurezza, possibili pressioni ad esempio sui sex worker perché usino la PrEP invece dei condom, possibili versioni “di strada” del farmaco, ecc. Ma dubbi sull’efficacia, non ne sono emersi e a nessuno è venuto neanche lontanamente in mente di sostenere la stupida tesi che va tanto in voga in Italia, purtroppo anche fra membri del “movimento gay”: il preservativo costa meno.

Numero delle nuove diagnosi di infezione da HIV, per modalità di trasmissione e anno di diagnosi (2010-2012)
Numero delle nuove diagnosi di infezione da HIV, per modalità di trasmissione e anno
di diagnosi (2010-2012)

Anzi, tutto il contrario. A nessuno sfugge il fatto che il preservativo resta il fulcro della prevenzione. Nel contempo a nessuno è sfuggito il dato dell’uso discontinuo del condom e dell’incremento delle nuove diagnosi. Cosa che, ricordo, in Italia è vera soprattutto per il gruppo MSM che nell’ultimo triennio ha visto un incremento del 18% delle nuove diagnosi (cfr http://www.iss.it/ccoa/index.php?lang=1&id=54&tipo=3- pag 5) pur nell’indifferenza generale. Mi ha quindi piacevolmente sorpreso vedere come il primario del reparto malattie infettive di Modena, Cristina Mussini, durante una presentazione di case studies abbia affrontato il tema PrEP con estrema tranquillità come una delle possibilità offerte dalla scienza. Speriamo bene.

Nella sessione sui possibili usi della terapia antiretrovirale a scopo preventivo, è emerso che in alcune paesi l’ampliamento della copertura della terapia ART sulla popolazione HIV+, ha portato non solo a una riduzione della mortalità ma anche a una riduzione della diffusione del virus. L’obiettivo lanciato da UNAIDS è “90-90-90” cioè avere il 90% delle persone HIV+ diagnosticate, 90% dei diagnosticati in terapia e, fra questi, il 90% con viremia non rilevabile. I modelli matematici presentati mostrano una drastica riduzione delle nuove infezioni se si raggiunge questo obiettivo. È un obiettivo ambizioso, “aspirational” come è stato definito. La realtà è che ci sono molte barriere per raggiungerlo e siamo ancora piuttosto lontani. Anche se gli studi dimostrano che la terapia precoce non solo riduce la trasmissione, ma dà anche benefici a livello individuale per la salute della persona, molti paesi, pur avendo adottato le nuove linee guida, ancora iniziano il trattamento piuttosto tardi. A questo si aggiunga che, globalmente parlando, la maggior parte HCV MSM Glasgow 2014delle nuove infezioni vengono da persone inconsapevoli dell’oro stato di sieropositività.
Di cosa abbiamo bisogno per riuscire ad ottenere questi obiettivi? Fondi, ovvio. Serve un investimento speciale all’inizio che sarà poi ripagato perché spenderemo meno in futuro. Come dire che serve volontà e intelligenza politica, capacità di programmazione, ecc. tutta merce rara di questi tempi.
La sessione sull’HCV, epatite C, è stata molto interessante… e preoccupante. Indovinate chi detiene la maglia nera? MSM e drug users. Si è parlato molto di trasmissione di HCV in popolazioni HIV+, ed è emerso con molta chiarezza che sia alcune pratiche sessuali (fisting), sia l’uso di alcune sostanze (GHB) comunque legate al sesso, sono direttamente collegate all’incremento di HCV.

Alain Volny Anne dello European AIDS Treatment Group ha parlato di auto-gestione del paziente e come si possa migliorare. Per autogestione si intende la capacità del paziente di essere un partner che collabora con il medico incorporando interventi cognitivo-comportamentali e di empowerment. Ha introdotto anche il concetto di “paziente stabile” che non è solo quello con carica virale soppressa, ma anche quello capace di ridurre i rischi per la propria salute. È decisamente Volny Glasgow 2014complesso il tema, lo stesso Volny ha mostrato il numero di visite, alto, che ha fatto tra settembre 2013 e giugno 2014, e ha anche ben presente che il 28% delle persone HIV+ soffre di depressione o ha difficili condizioni di vita. I suggerimenti di Alain sono di non abbracciare una sola strategia e di valutare continuamente i bisogni dei pazienti. I programmi di educazione dei pazienti sono importanti così come i miglioramenti nella comunicazione con il medico e la decentralizzazione delle strutture.
Il community advisory board francese, per esempio, ha proposto al ministero della salute di ottimizzare il processo di cura delle persone con HIV riuscendo a organizzare tutte le visite in maniera da renderle più compatibili con i bisogni di vita dei pazienti.
Jens Lundgren di Copenhagen ha analizzato quali sono i bisogni correlati al trattamento HIV e come si può gestirli ottimizzando le risorse. Innanzitutto chiarisce che la cura sanitaria per l’HIV va ben oltre i servizi offerti dalle cliniche, ma coinvolge prevenzione, sostegno sociale, ecc. Ha poi mostrato i dati relativi all’Europa dell’Est dove è in atto una vera esplosione di casi di HIV, infezione che ormai non si trasmette solo tra consumatori di droghe ma anche per altre vie. In questi paesi la ricaduta del trattamento mostra risultati decisamente deludenti. Anche la disponibilità della terapia sostitutiva per le dipendenze da oppiacei non riesce ad espandersi come sarebbe necessario. Serve quindi un approccio dedicato ai consumatori di sostanze per rispondere ai loro peculiari bisogni di salute. Sono stati presentati alcuni modelli che prevedono una cura centralizzata in un unico centro, o diversificata in diversi centri. Anche tra gli MSM la situazione Pipe Glasgow2014non riesce ad essere sotto controllo: l’espansione del trattamento non è tale da riuscire ad abbattere radicalmente il tasso di trasmissione a livello di popolazione, bisognerebbe riuscire ad arrivare all’80% di persone con carica virale non rilevabile per avere una riduzione accettabile del numero di nuove infezioni. Per raggiungere il successo in HIV c’è bisogno di persone con HIV che siano impegnate e visibili, oltre che, ovviamente, di clinici preparati. L’obiettivo finale è di avere una “Stable ART”, condizione in cui le persone stanno stabilmente in terapia con carica virale non rilevabile. I dati mostrano che nell’Europa occidentale circa il 60-80% delle persone in terapia sono stabilmente soppresse ma per mantenere e migliorare questo risultato occorre non compromettere la qualità cura e lavorare su una terapia personalizzata e flessibile. Alcune possibilità possono essere di diversificare la tradizionale visita utilizzando il triage con infermieri specializzati, o cliniche di comunità, oppure la telemedicina per i pazienti più stabili.
Molti carne al fuoco, quindi, molti contenuti importanti che caratterizzano questa conferenza fra più importanti d’Europa e del mondo.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente.