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Sapevi che, anche se non devi fare il 730, puoi comunque decidere a chi destinare il tuo 5 per 1000?

Anche i contribuenti che non devono presentare la dichiarazione dei redditi possono scegliere di destinare l’otto, il cinque e il due per mille dell’IRPEF utilizzando l’apposita scheda.

Per destinare il tuo 5×1000 è necessario porre la propria firma in uno dei cinque riquadri che figurano sui modelli di dichiarazione e scrivere il codice fiscale dello specifico ente scelto.

Ad esempio, se scegli di devolvere il tuo 5×1000 a Plus aps e sostenere il PrEP Point e il BLQ Checkpoint, dovrai firmare il riquadro che riporta la dicitura “Sostegno delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, delle associazioni di promozione sociale…” e scrivere il nostro codice fiscale: 91341670379.

Scarica il modello di scheda per la scelta della destinazione del 5 per mille (MODELLO AGENZIA DELLE ENTRATE) e consegnalo in busta chiusa presso lo sportello di un ufficio postale, tramite un intermediario (Caf o professionista) o attraverso il servizio telematico dell’Agenzia delle Entrate.

Basta una firma e il nostro codice fiscale per donare il tuo 5×1000 e per aiutarci a costruire un futuro senza HIV.

Sandro Mattioli
Plus aps

Come ogni anno dal 2013 ad oggi, la nostra associazione aderisce alla European Testing Week, ossia la settimana europea del test.
Una iniziativa europea tesa a promuovere il test per HIV, che quest’anno si terrà

dal 20 al 27 novembre e vedrà il BLQ Checkpoint aperto tutti i giorni dalle 18 alle 20,30.

Sarà possibile prenotare per telefono (0514211857) i test per HIV, epatite C e sifilide al mattino dalle 9 alle 12 o al pomeriggio dalle 18 alle 20; oppure via mail su prenota@blqcheckpoint.it oppure passando a prenotare direttamente in sede, in via S. Carlo 42C a Bologna.

Il tutto grazie all’impegno dei nostri attivisti e con il supporto del personale infermieristico di USL Bologna.

HIV è ancora oggi un’infezione troppo sotto stimata. Infatti nella nostra Regione le persone che ricevono una diagnosi di HIV quando sono già in AIDS, o prossimi a diventarlo, sono ancora oltre il 60% dei nuovi casi di HIV.

Come spesso accade, ricevere una diagnosi tardiva implica una serie di problemi a partire da una minore possibilità di avere un’aspettativa di vita paragonabile a quella della popolazione generale. Tutto il contrario in caso di diagnosi precoce.
Inoltre oggi, grazie alla potenza dei farmaci, le persone HIV positive in terapia efficace non trasmettono il virus per via sessuale. Un traguardo di conoscenza molto importante che ci aiuta a combattere la discriminazione e il pregiudizio e che, insieme a tutte le associazioni di pazienti e di lotta contro HIV e con il supporto di Simit, stiamo promuovendo grazie alla campagna impossibile sbagliare, che vi consiglio di guardare.

Verso la fine del 2005, assistetti a una riunione convocata dal Centro Operativo Aids, durante la quale la dott.ssa Suligoi illustrò la situazione relativa ai casi di HIV, di Aids e le prospettive future. In quegli anni in Italia la maggior parte dei casi di HIV erano appannaggio dei “tossicodipendenti”, come venivano definiti allora, per via dell’uso di scambiarsi la medesima siringa.
Tuttavia la dott.ssa Suligoi intuì che le cose iniziavano a cambiare e ci fece notare un incremento dei casi fra gli “omo-bisessuali”, altro termine coevo.
Ricordo che alzai la mano e chiesi qualche informazione in più. Mi venne risposto di non preoccuparmi perché eravamo nella media europea in quanto ad incremento di casi fra gli omo-bisessuali.

L’informazione non mi lasciò particolarmente sereno, infatti decisi di controllare i dati ufficiali dell’Unione Europea e scoprii che l’Italia era esattamente a metà della media europea: 12 Paesi meno bravi di noi e 12 più bravi.
Incominciai quindi a cercare di capire cosa facessero quelli più bravi di noi, mi interessò soprattutto notare che non c’erano solo i “soliti” Paesi del Nord Europa, ma c’erano anche Paesi dell’area mediterranea fra i più bravi.
Pochi mesi dopo, durante una conferenza di ILGA Europe, assistetti a una presentazione di Ferran Pujol sul Checkpoint di Barcellona aperto appena un anno prima. Il metodo checkpoint anche se nato in Olanda, poteva essere applicato anche in un Paese a noi vicino come la Catalogna.

Inizia così la storia del BLQ Checkpoint, quando chi scrive era ancora responsabile salute del Cassero.

Ci sono voluti sette anni di advocacy per arrivare a convincere la Regione, ma anche l’associazionismo locale, che il checkpoint come modello d’intervento era assolutamente necessario in una città e una regione che da sempre ha un problema importante con le diagnosi tardive di HIV.

Nel 2013 la Regione Emilia-Romagna fa un atto di importante riconoscimento politico: con il DGR 768/2013 con il quale riconosce il lavoro di Plus che viene definito soggetto attuatore del progetto di interesse regionale BLQ Checkpoint. Un atto pubblico coraggioso, che nessun’altra Regione ha avuto il fegato di fare, a dimostrazione che il lavoro di tessitura politica e anche tecnica alla fine paga. I tempi lunghi si spiegano con la difficoltà, in parte insita nella Pubblica Amministrazione, ad accettare i progetti innovativi soprattutto se difficilmente inquadrabili nelle regole e nelle procedure in essere. In effetti un checkpoint non si inquadra in nessuna di esse perché non è un ambulatorio ma esegue test di screening, non è un centro associativo ma svolge attività per la community. In effetti svicoliamo, probabilmente la Regione dovrebbe oggi pensare a un altro gesto coraggioso realizzando delle regole per i Checkpoint, condivise e trasparenti. Ma questo si vedrà.

Il Comune di Bologna si dimostra subito collaborativo e mette a disposizione una dirigente per strutturare una convenzione, che diventerà a tre con l’aggiunta di Azienda Sanitaria di Bologna. Sarà un processo abbastanza faticoso appunto per gli aspetti innovativi di un centro che mal si adatta alle regole esistenti. Ma alla fine ce la facciamo e viene firmata una convenzione trina: Plus, Comune di Bologna e Azienda Sanitaria.

Il Comune ci trova una sede, i locali che occupiamo attualmente, non propriamente una sede meravigliosa perché si trattava di un ex ristorante chiuso da sette anni, pertanto completamente fuori norma e da ristrutturare. Cosa a cui ha dovuto pensare Plus. Posso dire con orgoglio che siamo riusciti a trovare oltre 300.000€ con i quali abbiamo ristrutturato e allestito una sede che, anche grazie al progetto di ben due architetti (Andrea Adriatico e Nino Tammaro), è oggettivamente un bel posto, molto lontano dalla tipica struttura ambulatoriale alienante. Un luogo in sé accogliente, fermo restando che l’accoglienza vera e propria la fa il personale volontario dedicato a questo scopo che non sbaglia un colpo, agisce sempre in modo molto professionale. Visto l’ammontare speso, concordiamo con il Comune una convenzione di 15 anni che non prevede il pagamento di un affitto.

Il terzo ente firmatario è l’Azienda Sanitaria di Bologna. Grazie all’insostituibile lavoro della dott.ssa Venturi, responsabile del Centro C.A.S.A., forse l’unica responsabile genuinamente interessata al progetto, otteniamo una convenzione della durata di quattro anni, credo che sia il massimo per USL. In questa fase iniziale l’Azienda si impegna a fornire gli infermieri per l’esecuzione dei test (anzi, del test perché all’epoca abbiamo iniziato con il solo test di screening per HIV), ad occuparsi dell’acquisto del test, della gestione del materiale di consumo e dello smaltimento dei rifiuti speciali. Inoltre USL si sarebbe occupata, in collaborazione con Plus, della formazione del personale volontario dell’associazione. La disponibilità del personale infermieristico viene fissata in sei ore alla settimana, per cui decidemmo di aprire martedì e giovedì dalle 18 alle 21. Dopo otto anni siamo ancora fermi a questa fase di start-up.

Dopo poche settimane dall’apertura, l’Ospedale S. Raffaele di Milano ci coinvolge in uno studio sull’esecuzione di test di screening a risposta rapida su HCV (epatite C).
Di li a poco verranno aggiunti anche i test per sifilide.

Alla scadenza della convenzione lato USL, dopo vari solleciti per un incontro teso a rinnovo ovviamente, per tutta risposta ci arriva una mail con la convenzione già rinnovata, in peior, e già firmata dalla dott.ssa Gibertoni allora direttrice generale dell’Azienda Sanitaria di Bologna. La convenzione passa da 4 anni a uno, si mette così una pietra tombale sulle reali possibilità di sviluppo del BLQ Checkpoint… come se questo non fosse sufficiente, quest’anno (2023) il rinnovo annuale della convenzione ha subito un ritardo di ben sei mesi. Per cui siamo nelle condizioni di ipotizzare programmi di sviluppo senza la collaborazione di USL, che manco risponde alle mail e si fa negare al telefono, della durata massima di 12 mesi, quest’anno ridotti a sei.

Poi si chiedono perché chiudere.

Per riprendere l’esempio del Checkpoint di Barcellona, i cui abitanti sono più o meno come quelli della nostra regione, quel centro è aperto 12 ore al giorno, il personale interno riceve uno stipendio, hanno comunque decine di giovani volontari che promuovono il servizio nelle discoteche, ai Pride e così via. Il centro distribuisce la PrEP gratuitamente mentre noi dovremo impazzire. Un centro che ha aperto 17 anni fa in puro volontariato, che oggi offre un’opportunità di lavoro e segue oltre 2.000 persone. Questo significa sviluppo.

A Bologna invece da alcuni anni ci dobbiamo pagare i test per sifilide per motivi burocratici ma mai confermati ufficialmente, non abbiamo contezza di chi sia il nostro medico di riferimento perché dal giorno in cui la dott.ssa Venturi è andata in pensione semplicemente questo passaggio è saltato, siamo stati spostati dal Dipartimento cure primarie a quello di salute mentale senza alcuna spiegazione. Chissà, forse qualcuno ha ipotizzato che i gay possano avere problemi in tal senso. A ben vedere siamo riusciti ad andare avanti in questi ultimi 4 anni solo grazie all’appoggio della Responsabile infermieristica che ci segue, anche meglio di un medico, dott.ssa Assueri.

Va da sé che Plus non ha alcun preconcetto ideologico, pertanto a fronte di un impegno serio della Pubblica Amministrazione e dell’Azienda Sanitaria nello specifico, un impegno che vada nella direzione logica che ha portato il Sindaco Lepore a firmare il protocollo Fast Track City e che, quindi, metta il BLQ Checkpoint nelle condizioni di uscire dalla fase di start-up e dare un serio contributo al raggiungimento degli obiettivi di UNAids prima del 2030, non abbiamo nessun problema a fare marcia indietro.

Ma al momento resta in essere la decisione di chiudere il BLQ Checkpoint a partire dal 1 luglio 2023. Di seguito il comunicato stampa.

Sandro Mattioli
Plus aps
Presidente.

Perché questo questionario?
In Italia la PrEP è ancora un tabù. Se la usi o la vorresti iniziare, avrai quasi sicuramente affrontato ostacoli e pregiudizi. In questo questionario hai la possibilità di far sentire la tua voce in forma anonima. Le tue risposte ci aiuteranno a conoscere e possibilmente risolvere le difficoltà che hai incontrato o che ancora incontri.

Chi ha creato il questionario?
Il questionario nasce da una collaborazione tra il collettivo PrEP in Italia Plus Roma, associazione di persone LGBT+ che si occupa di offrire servizi sulla salute sessuale.

Chi può partecipare al questionario?
Possono partecipare tutte le persone maggiorenni che usano o vorrebbero utilizzare la PrEP e che abitano in Italia.

Ci saranno domande personali? La tua privacy sarà tutelata?
Sì, ci saranno domande personali, ma le tue risposte saranno raccolte in forma anonima e aggregata e non potremo risalire alla tua identità. Leggi tutta l’informativa.

Proseguendo con la compilazione del questionario acconsenti al trattamento dei tuoi dati secondo quanto specificato nell’informativa.

Ti faremo delle domande sulla tua vita sessuale. Non è per farci gli affari tuoi. Se conosci Plus Roma e PrEP in Italia sai già che crediamo nell’autodeterminazione e non giudichiamo mai le persone. Sapere come vivono la sessualità le persone in PrEP o che vorrebbero iniziarla è fondamentale per orientare il nostro lavoro, offrire servizi sempre più specifici e mobilitarci per migliorare la loro esperienza.

A chi puoi rivolgerti per avere informazioni?
Puoi scrivere a info@prepinfo.it

Questo questionario è stato realizzato grazie a una donazione di ViiV Healthcare SRL.

La plenaria di oggi è stata particolare, come si dice di solito quando non ci piace qualcosa. È iniziata con un complesso ma interessante “a che punto siamo” sul tema della remissione che, in estrema sintesi, vuol dire lasciare HIV nel nostro corpo ma controllarne la replicazione. Come questo possa combattere l’attivazione immunitaria e la relativa infiammazione che ci porta ad avere una serie di problemi di salute, non mi è chiaro. Tuttavia, ragionando in direzione di una cura, sempre che la remissione sia l’unico obiettivo non irraggiungibile con le conoscenze attuali. In altre parole di guarire non se ne parla neanche.

La cosa insolita è che ne parlano pochissimo anche i pazienti, gli attivisti, le associazioni di pazienti che pur dovrebbero avere questo ambizioso obiettivo ben presente quantomeno sullo sfondo di ogni decisione politica e di ogni progetto. Mah… siamo strani.

La relatrice, Melania Ott, ci ha informato del fatto che l’HIV nei reservoir anche se silente comunque trascrive. Secondo lei se riuscissimo ad attaccare questa trascrizione raggiungeremmo la remissione. In realtà noi non abbiamo farmaci che bloccano la trascrizione per cui è tutto da inventare. Alcune molecole, che sono in fase di studio, potrebbero fungere da inibitori della trascrizione e prevenire la riattivazione dalla latenza.

La successiva relazione è stata tenuta da Ricardo Leite che ha cercato di convincerci sul valore dell’intelligenza artificiale nei vari campi della lotta contro HIV, prevenzione e gestione del paziente inclusa. Al netto delle potenzialità dello strumento, il dott. Leite sembrava che volesse venderci un qualche prodotto miracoloso con uno stile di vendita molto USA forse utile per vendere auto usate ma fastidioso in una conferenza mondiale. Tuttavia una cosa giusta l’ha detta: ormai gli ospedali sono imprese e ragionano troppo spesso in termini di produttività, neanche fossero la Ford. In effetti sentiamo spessissimo ragionane in termini di numeri di test effettuali, di esami eseguiti ma molto meno spesso osserviamo come stanno i pazienti. Quindi rimettere al centro il paziente… ok non è una cosa nuova, ma la similitudine fra la catena di montaggio di Ford e gli ospedali l’ho trovata molto efficace. Che sia la AI la soluzione non lo so ma sicuramente può essere un aiuto anche senza arrivare a proporre dei bot la posto dei medici.

L’ultima presentazione ce l’ha fatta, credo per la prima volta in una plenaria, Gesine Mayer-Rath di professione economista. In una articolata e francamente noiosa presentazione, ci ha spiegato come misurare l’impatto economico. Per esempio ci si può basare sul “capitale umano” ossia le persone, è possibile aggiungere la produttività, i costi di produzione e distribuzione, ecc. ecc. tutto decisamente al di la delle mie misere capacità, ma continuo a pensare che il fattore umano non possa che travalicare tali calcoli soprattutto quando si tratta di decidere di salvare la vita a qualcuno. Vorrei ricordare che non poi un milione di anni fa, la prestigiosa rivista Forbes sosteneva che trattare HIV non paga. Per cui comprenderete che l’attenzione su certe teorie possa tendere a scemare. Per fortuna la relatrice è dell’altra parrocchia e arriva a calcolare che per ogni dollaro speso nel rispondere alla crisi HIV, ci si guadagna da 1 a 3 dollari in “capitale umano”, che salgono da 2 a 13 dollari se prendiamo in considerazione una serie di fattori. Siamo salvi.

Accenno anche a due sessioni parallele a cui ho partecipato. La prima riguarda il tema della discriminazione. Due le relazioni più interessanti secondo me. Quella di Mario Sanchez del Kock Institute, che ha messo in relazione la discriminazione subita delle persone trans e non binarie in Germania, con la loro capacità di operare scelte di prevenzione. La seconda del dott. Noori di ECDC, che ha descritto cosa è emerso da uno studio realizzato fra gli operatori sanitari in merito ad atteggiamenti discriminatori. Ovviamente mi soffermo sui risultati, il 39% non ha conoscenze corrette su U=U, su PEP il 44%, su PrEP il 59%.

Addentriamoci: il 30% dei medici non ha chiaro cosa sia U=U e PEP, il valore sale al 50% su PrEP. Ovviamente questo è il meglio, le altre figure professionali sanitarie (infermieri, dentisti, ecc.) vanno peggio.

Rispetto al fare assistenza a persone con HIV il 53% ha dubbi, il 57% è preoccupato nel prelevare sangue e il 26% dichiara di indossare 2 guanti. Il 6% degli operatori sanitari non vuole avere a che fare con persone trans, sex worker, MSM; la percentuale sale al 12% se IDU. In merito alle ragioni mi limito a dire che il 50% ritiene gli MSM immorali, il 45% che gli IDU sono pericolosi per la salute degli operatori sanitari.

Il 12% ritiene che gli MSM se hanno HIV è perché hanno avuto molti partner sessuali, come un po’ tutti quelli che hanno HIV (12%), perché hanno tenuto un comportamento irresponsabile 22% e se sono viremici non dovrebbero fare sesso (26%).
Rispetto agli atteggiamenti discriminatori rispetto alle persone con HIV nel posto di lavoro, è stato osservato:

  • riluttanza a prendersi cura delle persone con HIV (22%);
  • rivelare lo stato sierologico di un paziente senza il suo consenso (19%;
  • qualità di assistenza sanitaria inferiore (18%)
  • commenti o linguaggio discriminatorio (30%).

Nelle conclusioni il relatore sottolinea un evidente gap di conoscenza sui temi HIV correlati fra gli operatori sanitari e il fatto che più è bassa la conoscenza, più alto è il rischio di commettere errori professionali come l’uso eccessivo di precauzioni. I due guanti sono certo che ha già mandato in bestia Rita (infermiera al PrEP Point di Plus).
Dallo studio emerge la necessità di interventi mirati sulle varie professionalità sanitarie.

Vi do rapidamente conto della sessione diretta da Sheena McCormack che con le sue ricerche e in particolare lo studio Proud ha grandemente contribuito a sdoganare la PrEP in Europa. Il tema della sessione verteva sulla semplificazione dell’accesso alla PrEP. Oggi le linee guida (e ovviamente anche il nostro protocollo) prevedono una prima visita corredata di test per HIV, HCV, HBV, sifilide, CT, NG e dosaggio della creatinina, seguito da una seconda visita a distanza di 4 settimane dalla prima e poi, a regime, una visita ogni 3 mesi. Per comodità cito il protocollo del nostro centro community based. In ospedale se possibile è anche peggio.

Da molte parti si sostiene che questo sistema non è sostenibile sia sul piano economico, sia per il fatto che terrebbe lontano dall’accesso alla PrEP molte persone. Pressoché l’intero panel era dell’idea di semplificare, alcuni al massimo ossia 1 test HIV e se negativo si prescrive la PrEP. Visita medica 1 volta all’anno, nel caso ci sono gli infermieri dedicati. Test praticamente solo ai sintomatici. A occhio direi che una aurea via di mezzo di da preferire in generale, mentre per quanto riguarda il PrEP Point di Bologna servirà una riflessione approfondita più sul metodo che sul merito, anche perché noi “selezioniamo” persone ad alto rischio di contagio per cui le IST sono molto frequenti, spesso i test ogni 3 mesi non sono del tutto sufficienti.

Sandro Mattioli
Plus aps

In questa conferenza caratterizzata dallo slogan put people first, non è quasi mai stata citata la situazione di Gaza dove gli ospedali sono stati distrutti o sono stati chiusi, dove sicuramente ci sono persone che con HIV ci vivranno ancora per poco, salvo consistenti interventi, dove, più in generale, l’esercito di Israele spara e uccide a seconda dell’estro del momento altro che diritto alla difesa. E’ vero, questa è una conferenza scientifica che si occupa di HIV, di salute ma la situazione palestinese è una global health issue.

Del resto, cosa c’è di salutare nella distruzione della Palestina e nel genocidio in atto della sua popolazione? Chi se non una società scientifica globale deve prendere posizione e partecipare alla pressione internazionale su Israele perché si comporti come uno stato civile non come una manica di assassini furiosi? A tutto questo hanno posto rimedio i ragazzi della Youth Force, che hanno posto forza e critica nel messaggio letto durante la protesta nella plenaria di oggi.

La critica alla IAS ci sta tutta, salvo essere degli ipocriti da quattro soldi, non è pensabile scrivere put people first e non dire niente dei palestinesi. Ma, del resto, come ho già scritto è evidente che per IAS ci sono persone e persone. Della guerra in Ucraina si è parlato molto e in diverse presentazioni. Nulla è stato detto delle persone, attiviste e attivisti, rimaste a casa perché la Germania ha vietato il visto. Chiudo sottolineando come ad ogni protesta degli attivisti, compare sul monitor centrale la scritta “We welcome protest at AIDS 2024“, posto che non abbiamo bisogno del permesso e che vorrei pure vedere il contrario, più che accogliere con favore le proteste, IAS deve assumerle come un’occasione di crescita.

La plenaria di oggi ha affrontato il tema della prevenzione, pertanto non poteva iniziare se non con “a che punto siamo con i vaccini”?
Spoiler: più o meno sempre a quel punto, almeno sul piano della concretezza, del qui e ora, e non ditemi che voglio tutto e subito perché sono passati 43 anni dall’inizio (ufficiale) dell’epidemia e 34 dal primo studio aidsvax sulla gp 120. Infatti la presentazione di Devin Sok si chiede “what does the future look like”. Usando in parecchie occasioni paralleli con gli atleti, che vanno individuati da piccoli (se ci si azzecca) e allenati per anni prima di vincere una medaglia d’oro, Devin ci ha parlato dello sviluppo di nuovi sistemi e percorsi vaccinali principalmente basati su anticorpi neutralizzanti che dovrebbero mettere il nostro sistema immunitario nelle condizioni di reagire efficacemente a un eventuale contatto con HIV.

Il relatore insiste molto sul tema dell’innovazione, che diversi studi sono in corso, ma segnala anche l’importanza di rendere affrontabili i costi per il passaggio dalla verifica teorica allo sviluppo. In pratica ci vorrà ancora molto tempo (e soldi) per cui, giustamente, la successiva relazione parla di PrEP.

La relazione inizia con una piccola cronistoria della prevenzione con la ART: la PrEP orale si può far risalire al 2010 con i primi risultati in termini di efficacia e ci sono voluti 2 anni per l’ok degli enti regolatori e 3 per l’ok di OMS… in Italia 5 anni solo per l’approvazione di AIFA ma questo è un film locale. Per l’anello vaginale si parte dal 2016 ma per arrivare all’ok di OMS ne passeranno altri 5.
Per la PrEP con cabotegravir in 1 anno e mezzo sono arrivata tutte le approvazioni (non in Italia).

La ricercatrice è felice di sottolineare questa velocizzazione e lancia la sfida per quanto riguarda il nuovo farmaco di Gilead, il lenacapavir (1 iniezione ogni sei mesi) del quale l’azienda ha comunicato proprio qui i dati conclusivi… in sé ottimi, il problema sono i costi come al solito.

Oltre ai costi della PrEP va considerata la capacità di diffusione che in 12 anni è arrivata ad appena 6,7 milioni di persone quasi tutti in PrEP orale. Ricordo che l’obiettivo di Unaids per la copertura di PrEP è di 10 milioni entro il 2025, ovviamente non sarà raggiunto anche perché preferiamo buttare soldi in guerre e nelle speculazioni che ne seguono.

Se 6,7 milioni in 12 anni non vi sembrano poi così pochi, vi ricordo che dal 2012 ad oggi ci sono stati 17 milioni di nuove infezioni da HIV. Inoltre, non è “solo” una questione di numeri totali ma anche di diffusione nelle aree maggiormente colpite da HIV e quanti fra le popolazioni chiave vengono raggiunti dalla PrEP… ovviamente i valori mostrati sono scandalosamente bassi non solo in Africa ma anche nei Paesi ricchi: negli USA la diffusione della PrEP fra gli afro-americani e i latini è decisamente fallimentare. La relatrice si sofferma di nuovo sul lenacapavir ed evidenzia quanto potrebbe essere rivoluzionario per le donne in particolare ma quanto tali potenzialità potrebbero essere rese vane dal costo del prodotto. Su questa base sollecita i vari stakeholder a muoversi fin da ora: le agenzie regolatorie perché agiscano in fretta, chi contratta i prezzi garantisca anche i volumi di prodotti necessari, OMS emetta le sue linee guida e raccomandazioni rapidamente, gli Stati sviluppino piani di implementazione, studi pilota, ecc. e cerchino di capire come incrementare la domanda di prevenzione. Sicuramente la PrEP deve essere semplificata, decentralizzata e demedicalizzata, serve innovazione anche in questi settori. Anche se non in tema la relatrice cita anche la PEP, efficace ma sotto utilizzata.

Nelle conclusioni la relatrice sottolinea come la PrEP non sia un lusso, semmai lo è non fare niente o non investire in prevenzione.

Sandro Mattioli
Plus aps

La plenaria della terza giornata di conferenza mondiale AIDS, ha visto un tema vasto ma sicuramente importante: “affrontare le barriere strutturali”.
Gli speaker hanno affrontato il tema sotto molteplici punti di vista ma sicuramente gli attivisti sono stati prevalenti, come già nella precedente. Di solito le plenarie sono popolate da importanti relazioni che danno idea dell’indirizzo politico che IAS supporta.

Milos Parczewski dell’università di Pomerania, ci ha illustrato le varianti di HIV presenti nel mondo e, in particolare in Europa, la variabilità molecolare e l’epidemiologia locale.
Per capirci, posto che HIV1 è il tipo di virus principale in Europa, si suddivide in 4 gruppi oltre a una serie infinita di sottotipi e sotto-sottotipi. Del resto stante la velocità di replicazione supersonica di HIV, sarebbe stato insolito il contrario. A quanto pare il più popolare è il gruppo “C”, ma anche altri gruppi stanno prendendo piede. Fra gli altri motivi, anche le guerre aiutano a rimescolare le carte della presenza virale e della varietà di gruppi e sottotipi. Per esempio la guerra in Ucraina. Il ricercatore cita gli studi effettuati sui flussi migratori, per esempio verso la Polonia, causati dalla guerra e su come questi abbiano modificato i gruppi e sottogruppi presenti in quel Paese.
Lo so sembra accademia e in parte lo è in effetti, tuttavia i vari gruppi di HIV posso dare seguito a una diversa progressione verso la malattia. Alcuni gruppi sono più aggressivi di altri, oppure possono rendere più difficile la vita ad alcuni farmaci se non addirittura correlare con fallimento terapeutico. Prima che scappiate tutti dalla Polonia chiariamo che i farmaci di prima linea sono comodamente attivi contro ogni gruppo o sottotipo, senza contare che le persone con HIV sono sottoposte a test di controllo per cui un eventuale, futuro problema verrebbe immediatamente identificato, affrontato e risolto. Tuttavia conoscere quali sono le varianti più virulente può rendere più semplice il lavoro del clinico e anche la vita alla persona con HIV.

La seconda relazione, tenuta da Helen Clark ora presidente della omonima fondazione ma se non erro è stata anche Prima Ministra della Nuova Zelanda, è stata tenuta in forma discorsiva, tradizionale, senza slide, ed ha trattato l’importanza di una visione politica globale per affrontare temi globali come HIV, il riscaldamento del pianeta, ecc. Con il dovuto rispetto la relatrice ha toccato e ci ha ricordato una serie di punti e obiettivi sui quali lavoriamo ogni giorno come attivisti. Ovviamente meglio ricordarli che tacerli ma non ha portato alcuna novità o spunto di riflessione innovativo.

La successiva relazione è stata tenuta da Michaela Clayton dalla Namibia, che si occupa di diritti umani da una vita, sul tema della criminalizzazione di HIV che non ha alcuna evidenza scientifica ma continua ad essere utilizzato esplicitamente o in modo ipocritamente indiretto come in Italia.
La Clayton parte dal principio anzi, dai principi di Denver – si vede che anche secondo lei è ora di riprenderli in mano:

  1. Il diritto di essere coinvolti su ogni decisione presa
  2. Il diritto a vivere una vita piena sia dal punto di vista emozionale che sessuale
  3. Il diritto a trattamenti, visite mediche e servizi sociali di qualità senza discriminazioni
  4. Il diritto di ricevere spiegazioni complete su tutte le procedure mediche e i rischi correlati
  5. Il diritto alla privacy e alla confidenzialità
  6. Il diritto di vivere e morire con dignità

È ora di renderci conto che la criminalizzazione di HIV impatta su un range ben più ampio di diritti umani:

  • il diritto a un trattamento non discriminante davanti alla legge
  • il diritto alla vita
  • il diritto a poter accedere a alti standard di salute fisica e mentale
  • il diritto alla libertà e alla sicurezza come persona
  • il diritto alla libertà di circolazione
  • il diritto di chiedere e godere di asilo
  • il diritto alla privacy
  • la libertà di opinione ed espressione e il diritto di usufruire liberamente delle informazioni
  • la libertà di associazione
  • il diritto al lavoro
  • il diritto di sposarsi
  • parità di accesso all’istruzione
  • il diritto ad un adeguato standard di vita
  • la sicurezza sociale, l’assistenza e il welfare
  • il diritto a partecipare al progresso scientifico e ai suoi benefici
  • il diritto di partecipare alla vita pubblica e culturale
  • il diritto a essere liberi dalla tortura e da trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti

allora ditemi: quanti di questi punti si applicano anche nel nostro Paese che passa per essere così liberal? Da persona omosessuale che vive con HIV, che fa attivismo da oltre 20 anni, vi posso dire serenamente che sono ben pochi.

Ma tornando alla presentazione, nel mondo la criminalizzazione per HIV in termini di trasmissione, esposizione o non disclosure è ancora molto alta e non solo, come forse qualcuno crede, nei Paesi in via di sviluppo. Russia, Stati Uniti hanno leggi specifiche che criminalizzano.
Posso capire che in quadro di ignoranza generale ci sia chi pensa in termini vendicativi e chiede leggi che vadano nella medesima direzione.
Ma da nessuna parte, neppure in Europa, con il carcere e leggi punitive si è mai ottenuto un qualsivoglia risultato misurabile che non sia la legge del taglione. La criminalizzazione non ha alcuna base scientifica o epidemiologica, per cui è evidente che viene praticata per motivi che nulla hanno a che vedere con la lotta contro HIV.

Le difficoltà o il mancato riconoscimento della carica virale non rilevabile, del safer sex o la comunicazione dello stato sierologico come difesa contro l’azione giudiziaria, sono tutti atti la Clayton include nella logica generale della criminalizzazione. E poi c’è un bel planisfero dove compare l’Italia, colorata di viola, che vuol dire non legge specifica ma casi segnalati. In effetti l’Italia non ha una specifica legge che criminalizza HIV, ma comunque mette in carcere le persone che vivono con HIV. Dalla mappa risulta inoltre che 79 Paesi hanno leggi punitive per HIV, 4 hanno introdotto tali leggi nel 2022-24; nonostante alcuni successi la criminalizzazione dell’HIV continua a rappresentare una grave minaccia per la salute pubblica e i diritti umani.

Queste leggi, naturalmente, spesso si incrociano con la criminalizzazione del possesso di sostanze, con il lavoro sessuale, in alcuni stati anche con la criminalizzazione delle persone transgender così come dei gay e altri MSM, dice la Clayton introducendo una logica intersezionale.
Ma le leggi retrive non solo l’unica cosa che ci spinge indietro. La mancanza di dati attendibili, poca attenzione alla epidemiologia, la marginalizzazione di HIV (e di chi vive con HIV), un contesto generale sempre più repressivo e spazi di azione sempre più ridotti per la società civile, ecc. tendono a aiutare HIV. Ma, al netto di tutto questo, non importa non importa quali progressi scientifici raggiungiamo, dovremo sempre affrontare barriere a meno che non affrontiamo direttamente il piano dei diritti umani.

Decisamente mi serve un passaggio rigenerante alla Positive Lounge. Si tratta di uno spazio riservato alle persone che vivono con HIV che viene proposto ormai in tutte le conferenze mondiali aids. È un luogo dove le persone con HIV possono rilassarsi un pochino, bersi un caffè o usufruire dei servizi che (di solito) le associazioni locali organizzano per l’occasione dai massaggi rilassanti allo yoga.

Dopo la lounge ho deciso di iniziare a passeggiare per la foresta dei poster, ossia le centinaia di abstract, di studi, stampati in forma di poster e appesi nelle gigantesche sale del Messe. E inizia subito male per la IAS: il primo poster che leggo è un’analisi sullo spazio messo a disposizione delle donne e delle persone trans dalla conferenza. Emergono dati interessanti: speaker invitate 9%, speaker trans 1,2%; abstract presentati da donne HIV+ 2,4%, da trans 0,37%; scholarship donne HIV+ 6%, trans 1,27%. C’è abbondante spazio di miglioramento.
Un altro abstract ci dice che negli USA una ricerca indica che i farmaci long acting orali sono preferiti a quelli iniettivi. Un abstract francese ha studiato l’utilizzo dei MMG e la soddisfazione degli utenti, per la PrEP. Mi cade l’occhio su uno strano studio che analizza quanto l’uso di silicone liquido incida nell’aderenza terapeutica nelle donne trans argentine. Era presente una delle autrici, felice di poter finalmente parlare “castellano”, che mi si presenta direttamente come trabajadora sexual…muy orgullosa, evvai. Mi spiega tutto lo studio e specifica che il finanziamento era del precedente ministero della salute, non questo di Milei.

Sandro Mattioli
Plus aps

Uno degli slogan della Conferenza è “Put people first”. Tuttavia molti attivisti che non vivono negli Stati “giusti” non hanno potuto partecipare perché la Germania ha negato loro il visto, in diversi casi motivato con il fatto che non sono ricercatori, a quanto dicono le associazioni, sono solo quegli stronzi che HIV lo vivono direttamente sulla loro pelle. E’ incredibile che ancora oggi non sia chiaro che i veri esperti nella lotta contro HIV sono le attiviste e gli attivisti che ogni giorno si confrontano con gli imbecilli che ci discriminano, anche membri delle nostre community, sono quelli che ogni giorno fanno scelte drammatiche come decidere se allattare un figlio e passargli HIV o vederlo morire di fame, o chi ogni giorno viene aggredito se dice di vivere con HIV.

Eppure ecco che un qualsiasi Stato decide chi può o non può partecipare a una conferenza come questa, nata e cresciuta proprio grazie alla collaborazione fra attivismo e ricerca scientifica.
IAS ha già emesso un comunicato ridicolo dove si legge che non può incidere sulle scelte nazionali della Germania. Il che ovviamente è vero, ma può scegliere di fare la conferenza in uno Stato dove le leggi immigratorie non sono pensate per mantenere i privilegi di quattro politici bianchi.
Il punto vero è che la Germania dona miliardi di euro, per cui il dubbio che certe scelte abbiano molto a che fare con i soldi è bello forte.

È su questa base che le associazioni hanno organizzato una protesta durante la plenaria: diverse decine di attivisti in camice bianco (opportunamente disegnato), hanno issato cartelli “we are the expert” e “visa denied”. Una sedia vuota con sopra quest’ultimo slogan è stata lasciata sul palco a rappresentare le numerose assenze di attivisti.
Non è certo la prima volta che accade, perfino quando la conferenza tornò negli USA, perché il Presidente Obama aveva rimosso il divieto di ingresso negli USA delle persone con HIV, rimase il blocco per le/i sex worker o le persone che assumono sostanze, ecc. che mandarono video denunciando di non poter essere presenti grazie a leggi assurde.

Ma torniamo alla plenaria che, nella logica del put people first, è incominciata con la relazione di Anna Turkova dal University College London che ci ha illustrato la situazione dei bambini con HIV. 1,4 milioni di bambini vivono con HIV, la grande maggioranza manco a dirlo in Africa. Anche se in 10 anni il numero di nuove infezioni fra i bambini è sceso di 100.000 unità in generale, ma ancora in Africa si registrano enormi difficoltà in questo settore, a partire dalla messa in ART delle donne in gravidanza. Il 47% delle nuove infezioni nei bambini è dato dal ritardo di inizia della terapia o dall’allattamento al seno. Del resto, come ho scritto sopra, in molte zone rurali africani le mamme devono scegliere se far morire di fame i loro figli o allattarli e passare HIV. Se in queste zone è complicato e difficile raggiungere la soppressione virale per un adulto, vi lascio immaginare le percentuali di HIV che registrano i bambini e quanto possano essere lontani dalla viremia “azzerata”.
Numerosi sono i progetti che cercano di porre rimedio a questo enorme problema, ma si tratta di progetti finanziati da donatori o fondazioni che non sempre danno continuità. Molte speranze vengono riposte nei long acting per la prevenzione ma i costi altissimi li rendono inaccessibili.

Dopo la protesta degli attivisti in camice, è la volta della presentazione di Richard, un attivista dell’inglese THT (Terence Higgins Trust), forse la più vecchia associazione contro HIV d’Europa. Sempre nella logica People First, Richard si chiede se le associazioni sono la chiave per raggiungere gli obiettivi di UNAids. Intanto ci mostra che la situazione britannica non è delle migliori, cosa che ignoravo. Secondo i dati presentati si registrano problemi nella cascade of care così come nello stigma. Impressionante il dato secondo il quale 2/3 degli abitanti non bacerebbero una persona con HIV. Naturalmente ecco quello che le associazioni britanniche stanno facendo moltissimo per raggiungere gli obiettivi dati entro il 2030, in particolare sulle determinanti sociali. In effetti, c’è chi ha calcolato che le determinanti sociali contribuiscono per il 40% delle nuove diagnosi, problemi che le associazioni affrontano con il 10% dei fondi disponibili.
Le conclusioni dell’attivista sono molto chiare: nessun gruppo può raggiungere da solo gli obiettivi di UNAids, ma sicuramente non si raggiungono senza il lavoro delle associazioni di volontariato che è sottostimato e poco apprezzato. Cosa che deve finire.

L’ultima presentazione è di Olga Gvozdetska direttrice generale di salute pubblica presso il Ministero della salute ucraino. Una presentazione molto forte che inizia con le foto dell’enorme ospedale pediatrico, 700 bambini ricoverati, 9.000 operazione annue, di Kiev prima e dopo la sua distruzione a opera dei missili russi.

Con la voce rotta Olga ci ha raccontato le vicissitudini sanitarie di un Paese in guerra. Un Paese che aveva ottenuti buoni risultati nella lotta contro HIV convincendo lo Stato a farsi carico centralmente del problema. Con la guerra l’Ucraina ha rischiato il crollo sui nostri temi, lo Stato ha dovuto cessare qualunque investimento come è facile immaginare, ma ha saputo reagire. A fronte della distruzione dei principali centri clinici del Paese il Ministero ha attuato una fitta azione di decentralizzazione utilizzando, da un lato, tutte le risorse disponibili nelle province anche le strutture associative; dall’altro lato chiedendo aiuto al fondo monetario internazionale e al fondo globale per HIV, TB e malaria che stanno tenendo in piedi la situazione. Grazie al supporto internazionale l’Ucraina sembra essere riuscita a riprendere il controllo e a tornare ai valori prebellici.

Sono arrivato nella capitale della Baviera per partecipare alla conferenza mondiale AIDS 2024, con un volo che è andato bene, tranne che l’attesa per i bagagli è durata più del volo. Ai miei colleghi è andata peggio perché Lufthansa gli ha cancellato il volo sotto al naso, poco prima dell’imbarco, facendo perché un’occasione agli attivisti e soldi all’associazione, che di certo non ne ha da buttare via. Almeno per quello che riguarda la mia esperienza, Lufthansa si è sempre dimostrata una compagnia brava nel fare soldi.

Ma invece di darle le perle, torniamo alla conferenza che ovviamente un po’ ha sofferto della situazione voli, così come visti perché pure i tedeschi quanto a leggi immigratorie non scherzano. Il mio amico Marco Stizioli ha già fatto notare che sono tutti a dire di non voler lasciare indietro nessuno o di mettere le persone al centro e poi quelle persone manco riescono ad ottenere un visto per entrare in Germania. Situazione comune ad altre grandi civiltà che pur di dotano di leggi immigratorie che non esito a definire assurde, che so… gli USA?

Dico questo perché la sessione a cui volevo partecipare stamattina verteva su un progetto del Kenya che ha posto al centro le farmacie di comunità per implementare il numero di persone in terapia, ma non sapremo mai che cosa sono le community pharmacy perché la sessione non si è potuta tenere proprio per un problema di vista (secondo i gossip).

Pertanto mi sono fatto un giro al Global Village, ridente, colorato e vibrante villaggio popolato da tutte quelle marginalità, quelle persone che vivaddio non sono normali secondo le elucubrazioni di qualche militare italiano. E così camminando fra sieropositivi orgogliosi, persone trans, sex worker, prepster ecc. ecc. mi sono ritrovato nello spazio che EATG (European AIDS Treatment Group) ha deciso di dedicare non già ai tre 95, ma a quelli che restano fuori: i tre 5. E infatti lo spazio si chiama 5-5-5. Una idea geniale.

Proprio in questo spazio, Marco Stizioli – ormai membro EATG a pieno regime – ha presentato l’intervento che Marco Barracchia ha realizzato con l’aiuto di PrEP in Italia e un pochino anche di Plus (trovate il video nel canale you tube dell’associazione). La presentazione è andata molto bene, è stata centrata sui tempi della PrEP che in Italia è arrivata anni dopo gli USA, sui problemi socio-culturali, di discriminazione strutturale che guastano il nostro Paese, ma anche sui successi che, anche se tardivi, siamo riusciti ad ottenere.
Un’attivista, credo africana seduta di fianco a me, ha commentato con “i soliti privilegiati” una slide che descriveva la situazione degli MSM. Le ho fatto notare che in Italia i privilegiati cubano il 40% delle nuove diagnosi e che il suo commento era quanto di più offensivo e discriminatorio potessi sentire, completamente fuori luogo nel Globale Village. Lei mi ha dato ragione e si è scusata. Finita la sessione è andata via quasi correndo. Sicuramente era in ritardo per un altro evento, ma mi piace pensare che fosse un po’ dispiaciuta per l’accaduto e volesse evitare il confronto. Nel frattempo qualcuno ci ricorda cosa sta accadendo il Palestina e tutto riacquista la giusta dimensione.

La “Opening Session” quest’anno è stata abbastanza spartana e, per la verità, spero che anche le prossime conferenze mondiali seguano l’esempio tedesco. Al di là delle solite parole di benvenuto, i due interventi più interessanti sono stati quelli di Winnie Byanyma, attivista ugandese di lungo corso, ingegnere, politica, diplomatica, nonché direttrice esecutiva di UNAIDS per 4 anni. Quindi abile nell’usare le parole e, infatti, ha iniziato ringraziando la ricerca, gli attivisti, i politici, perché oggi il 77% delle persone con HIV nel mondo sono in terapia. Erano il 47% dieci anni fa. Siamo cresciuti del 30%, “good job” grida Winnie. Ma, c’è sempre un ma quando si comincia con gli aspetti positivi, i politici iniziano a fare marcia indietro, i fondi stanno calando e devono essere mantenuti e devono andare nella direzione di proteggere le donne in particolare, che ancora oggi raggiungono percentuali di incidenza da capogiro.

Una piccola pause e poi il colpo di teatro: l’attivista chiama in causa direttamente e più volte Gilead, la multinazionale del farmaco. “I know you are in the room” – dice Winnie – e la ringrazia perché Gilead è riuscita a creare un farmaco iniettivo che si chiama lenacapavir (il primo inibitore del capside che si pensa possa essere efficace per sei mesi come PrEP iniettiva), che come prevenzione è un miracolo. Ma nei Paesi africani ha un prezzo troppo alto, quindi un miracolo inutilizzabile. L’attivista arriva a chiedere un prezzo di 100$ all’anno. Un farmaco così sarebbe perfetto per prevenire HIV nelle donne africane che non rischierebbero di essere aggredite perché viste mentre ingoiano le pillole di PrEP.

Gli applausi sono scrosciati manco a dirlo. Da che ho memoria, non ricordo che qualcuno abbia tirato in ballo direttamente, con tanto di ragione sociale, una big pharma e abbia citato il nome di un principio attivo. È stata brava e coraggiosa. Tuttavia non posso non sottolineare che la politica ugandese non ha detto una parola sulla legge che proprio in Uganda sta mettendo alle strette la popolazione LGBT che rischia il carcere, se non la pena di morte. Dubito che questa norma aiuterà la lotta contro HIV.

A seguire l’intervento del Cancelliere Scholz. Il quale ha colto al volo le richieste di chi l’ha preceduto e ha ricordato l’enorme finanziamento che ogni anno la Germania eroga al fondo mondiale per la lotta contro HIV, TB e malaria e che continuerà a versarlo; che la Costituzione tedesca tutela la dignità umana a prescindere dal genere, dal colore della pelle, da chi ami ecc. e continuerà a farlo… e così via le cose che tutti i politici dicono, con la differenza che forse in Germania chi prende impegni in un consesso internazionale poi si ricorda di averli presi. In Italia i politici nazionale non partecipano pressoché mai neppure alla conferenza italiana per cui non si pone neppure il problema di quel che raccontano.

Nel mentre che veniva annunciato lo spettacolo di chiusura, si sente una voce dal microfono della platea. È una ragazza che legge un comunicato, in un inglese un po’ affaticato che compensa con l’autenticità e la rabbia di chi non vuole più essere di scriminata perché trans.

Rabbia che esprime leggendo con la foga di chi non ne può più. Legge una lunga serie di “basta”, di richieste e man mano che legge alte persone si alzano e le vanno vicino. Alla fine saranno diverse decine di persone vicino a lei e tutta la platea la incita con grida e applausi, finché concludono tutti insieme con “trans rights now”. Un bellissimo esempio di comunità che lotta per i diritti di una sua parte, molto emozionante. Spero davvero che porti a qualcosa.

Sandro Mattioli
Plus aps

Grazie alla disponibilità dell’Azienda Sanitaria, anche nel 2024 si terrà il corso di formazione per i volontari del BLQ Checkpoint, nonché di Plus e del PrEP Point.

Il corso inizierà il 28 settembre 2024 e terminerà nel week end del 8-10 novembre con il consueto laboratorio residenziale. L’iscrizione è obbligatoria.

Per partecipare è necessario inviare una mail a:
info@plus-aps.it indicando:
nome e cognome
numero di cellulare

Salvo diversa indicazione, le ore d’aula si terranno presso la Casa della Salute Porto-Saragozza in via Sant’Isaia 94a, Bologna.

Le ore d’aula nella Casa della Salute Porto-Saragozza, sono aperte a chiunque voglia approfondire gli argomenti trattati, quindi anche se non vuoi fare il volontario ma ti interessano i temi, sei libero di entrare ed ascoltare. Invece la parte residenziale del corso – che si terrà in una sede da definire – è riservata a chi vuole fare il volontario.

Il limite massimo di iscrizioni per ogni sessione è di 20 persone. Il corso è gratis. L’organizzazione tecnica è a cura dell’Azienda Sanitaria di Bologna che ne effettua anche la certificazione. Per cui se qualcuno fanno comodo alcuni crediti formativi, si faccia avanti e li richieda. Maggiori informazioni vi saranno fornite dalla responsabile, dott.ssa Valeria Gentilini, all’inizio del corso.

Ecco la bozza di programma. Le eventuali variazioni verranno effettuate su questa pagina del sito di Plus. Restate connessi:

28 settembre5 ottobre12 ottobre19 ottobre26 ottobre
Aula BrugiaAula ColonneAula ColonneAula ColonneAula Colonne
9,30-13,309,30-11,309,30-11,309,30-13,309,30-13,30
Il BLQ Checkpoint:
cos’è, perché è nato, come funziona
Epatiti B e C:
cause, sintomi, test
Il ChemSex: il fenomeno, i rischiHIV for beginners: cos’è, la trasmissione, il trattamento, la prevenzioneIl counselling fra pari: sospensione del giudizio, empatia, ascolto attivo
11,30-13,3011,30-13,30
PrEP e PEPLe STI: cosa sono, trasmissione, terapia
Sandro MattioliLorenzo BadiaFilippo LeserriSandro MattioliEleonora Gennarini
Valeria Gaspari

Ormai non esiste più solo la PrEP orale per proteggersi dall’HIV. In Europa è già autorizzata la PrEP iniettabile ogni due mesi, ma purtroppo non è ancora disponibile nel nostro paese. Si sta inoltre studiando una pillola che combina la protezione dall’HIV alla contracezione orale.

È la pillola per la doppia prevenzione. Vediamo di cosa si tratta.

Cos’è la pillola per la doppia prevenzione?

Un consorzio di aziende e associazioni sta studiando la Pillola per la doppia prevenzione: una singola pillola da prendere tutti i giorni per proteggersi dall’HIV e allo stesso tempo evitare gravidanze indesiderate. La Pillola per la doppia prevenzione contiene due diversi farmaci: la profilassi pre-esposizione orale (PrEP) e la contraccezione orale combinata (COC).

Il regime di assunzione è di 28 giorni:

Giorni 1-21: PrEP orale (TDF/FTC) + levonorgestrel ed etinilestradiolo (LNG/EE)

Giorni 22-28: Solo PrEP orale.

Il packaging

DDP tablet colors and pack

Quali sono i potenziali effetti collaterali del pillola della doppia prevenzione?

Sia la PrEP orale che la COC sono sicure ed efficaci. Non ci sono interazioni tra i due farmaci e possono essere assunti insieme.

Bisogna solo completare gli studi per capire se i due farmaci in una sola pillola sono sicuri ed efficaci!

Quando sarà disponibile?

Se gli studi confermeranno l’efficacia, Viatrias – la casa farmaceutica titolare del brevetto – entro l’anno prossimo potrebbe fare richiesta di autorizzazione negli USA, in Kenya, Sudafrica e Zimbabwe.

Al momento non sembra sia prevista la richiesta di autorizzazione in Europa.

Traduzione e sintesi della pagina https://www.prepwatch.org/products/dual-prevention-pill/

A partire dal 1° luglio, gli strumenti per le raccolte fondi di Meta non saranno più disponibili nella tua zona…

Con questa secca comunicazione Facebook e Meta (un bel nome da sostanza stupefacente) ci informano che non sarà più possibile organizzare raccolta fondi per la nostra associazione di volontariato.

Da sempre quando un’impresa piena di soldi scrive cose del genere, mi viene spontaneo immaginare un contrappasso. In questo caso non ci vuole davvero molto immaginazione se consideriamo che Facebook è più vicina al tracollo che alla fase di lancio. Ormai è schifata dai giovani che, a torto o a ragione, preferiscono social dove si scrive poco o niente, dove le immagini sono predominanti e i video durano pochi secondi (poi qualcuno si chiede il perché di certe scelte superficiali o della scarsa capacità di analisi).

Le associazioni del Terzo Settore in Italia sono pressoché abbandonate a sé stesse stante che ricevono pochi o nessun finanziamento pubblico, se accade per lo più parliamo di fondi appena sufficienti per resta a galla.

Per fare un esempio la città di Berlino ha deciso di investire un milione di euro in tre anni per la start-up del suo BLN Checkpoint. Berlino è una sorta di città stato con una popolazione paragonabile a quella della regione Emilia-Romagna che per il BLQ Checkpoint ha deciso di investire 50.000 euro all’anno, che arrivano pure in ritardo di solito… all’associazione ne arrivano 35.000 per l’esattezza, con i quali dobbiamo pagare le bollette in particolare luce e gas che raddoppiano ogni anno, inclusa la TARI che il Comune non ci ha mai abbonato nonostante il centro svolga de facto un servizio pubblico. Da qualche anno in qua, con quei fondi ci dobbiamo pure pagare i test per sifilide perché USL ha semplicemente deciso di smettere di acquistarli adducendo ridicole motivazioni su test utilizzati da metà dei checkpoint europei. A questa spesa si aggiungono i materiali sanitari anche di consumo, i test che utilizziamo per il PrEP Point, ecc. per un totale di 70.000€ che Plus deve trovare per altre vie e altri porti…. questo solo per darvi un’idea di cosa significa tenere aperto un servizio “pubblico” per un’associazione. Onestamente io sono stupito che il BLQ Checkpoint sia ancora aperto dopo tanti anni e lo è solo grazie al contributo dei volontari che sono sempre disponibili e ai fondi donati da imprese private, senza le quali non sarebbe possibile fare niente.
Oggi viene meno anche quel poco che arrivava via Facebook.

Per cui che dire?! Grazie greedy Facebook.

ICAR2024 è iniziata con una protesta della associazioni per la PrEP universale, per tuttə, senza barriere.

La PrEP nonostante la comprovata efficacia è ancora gravata da varie barriere che ritardano, o in alcuni casi impediscono, l’accesso alla profilassi. Vari studi in questo ICAR 2024 si sono concentrati proprio su questo.

Le barriere economiche all’accesso sono state parzialmente eliminate con l’introduzione della rimborsabilità del farmaco: lo studio PrIDE dimostra che un terzo delle 11,675 persone che hanno assunto la PrEP in Italia hanno iniziato il percorso a maggio 2023, quando è stata introdotta la rimborsabilità.

Che il costo del farmaco abbia tenuto a lungo persone che ne avrebbero beneficiato lontane dalla PrEP è evidenziato anche da uno studio sull’utenza di Bergamo. I più penalizzati sono stati i giovani, per i quali i costi rappresentavano un ostacolo maggiore. Allo stesso modo i dati del Bologna PrEP Point confermano una percezione di costi eccessivi.

Proprio a Bologna però le persone in PrEP evidenziano più il peso dello stigma interno alla comunità LGBT+ verso chi usa la PrEP. Serve dunque lavorare nella comunità perché la liberazione sessuale smetta di essere un vuoto slogan.

Barriere strutturali permangono nella distribuzione territoriale dei servizi PrEP: secondo lo studio PrIDE la metà degli utenti si trova in Lombardia e il 17% nel Lazio, sottoponendo il personale sanitario ad una pressione eccessiva dovuta anche alla mancanza di risorse. Non abbiamo inoltre dati pubblici aggiornati sull’identità di genere di chi assume la PrEP.

Anche uno studio dell’ospedale Niguarda di Milano conferma questi limiti: dal 2021 riporta un calo degli ingressi in PrEP dei pazienti che richiedono la PEP a causa di limitazioni di budget, nonostante un quarto di questi sia estremamente interessato.

La gratuità del farmaco può quindi essere un punto di partenza ma decisamente non di arrivo per l’implementazione della PrEP per tutt3. Servono nuove risorse organiche per i centri PrEP per permettere una copertura sempre maggiore e capillare sul territori oggi ignorati, e soprattutto serve rivolgersi anche alle donne e alle persone con utero che sono grandi assenti nel discorso e nell’utilizzo della PrEP.

Come se non bastasse, tutta la distribuzione della PrEP si basa su linee guida vecchie e non in linea con gli standard OMS. Uno studio comparativo organizzato da tutte le associazioni ha evidenziato come in Italia il percorso richieda una medicalizzazione eccessiva e lasci fuori tutti i centri community-based dalla distribuzione del farmaco, rendendo di fatto impossibile la presa in carico dell’utenza marginalizzata che non può o non vuole accedere ad un ospedale.

Inoltre, in questi spazi vengono richieste informazioni private sull’attività sessuale non necessarie e in modo invadente. Non solo, l’uso di evidenze scientifiche datate fa si che permangano indicazioni di utilizzo fortemente scoraggianti per le persone con utero: si chiede l’assunzione fino ad un mese dopo l’ultimo rapporto, mentre le linee guida OMS raccomandano di interrompere la PrEP dopo una settimana per chi ha la vulva e dopo due giorni per chi ha il pene.

Tutti questi dettagli potrebbero essere risolti con azioni a costo zero, ma capaci di contribuire a ridurre lo stigma attorno alla PrEP e favorirne l’assunzione in persone che già la desiderano.

Long acting PREP

Sono state presentate due analisi dell’interesse nella comunità LGBT+ alla PrEP long acting con Cabotegravir: una iniezione ogni due mesi al posto delle compresse.

La prima, condotta da PrEP in Italia e Plus Roma, si è rivolta alla community in generale, e ha rivelato che l’interesse verso il Cabotegravir fosse più alto in persone già attente ai temi della prevenzione di HIV, al corrente di U=U e già in PrEP. Il secondo studio di Milano Checkpoint tra gli utenti PrEP del centro ha visto interesse verso la nuova formulazione in circa tre quarti degli intervistati. Questi erano tipicamente persone che assumono la PrEP daily e che soffrono di più lo stress derivato dall’uso di una compressa (essere sempre in orario, essere “visibili” nel momento dell’assunzione, ecc). Al momento il Cabotegravir è autorizzato in Europa, ma non è ancora disponibile in Italia. La casa farmaceutica ViiV ha fatto richiesta di rimborsabilità.

Attenzione alla posologia

Una persona seguita per la PrEP presso l’ospedale Sacco di Milano è risultata positiva all’HIV perché la assumeva in modo non ottimale e senza supervisione medica da maggio 2022. La trasmissione del virus è dunque da imputarsi all’aderenza insufficiente alla PrEP. L’utente ha già raggiunto una carica virale non rilevabile. È fondamentale ricordare di assumere la PrEP per constanza. E siamo tuttə chiamatə a sviluppare strategie che rispondano meglio alle necessità di gruppi fragili e marginalizzati.

DoxyPEP

La DoxyPEP è una cosa diversa dalla PrEP:

200mg dell’antibiotico Doxiciclina presi dopo un rapporto orale, vaginale e anale senza preservativo (massimo entro 72 ore) per ridurre di più del 70% il rischio di clamidia, sifilide e, in maniera molto ridotta, gonorrea. Al momento gli studi ne garantiscono l’efficacia solo in persone con pene. Nonostante la mancanza di linee guida nazionale, l’uso della DoxyPEP si sta diffondendo in Italia, specie tra maschi che fanno sesso con maschi.

Sia il Milano Checkpoint che il programma Sex Check di Plus hanno indagato questo fenomeno. A Milano, il 23% degli utenti PrEP sapeva dell’esistenza della doxyPEP, tra gli intervistati di Plus il 52%. La percentuale di persone che ne fanno uso però non è molto differente (8% e 14% rispettivamente), così  come è purtroppo simile la percentuale di chi ne ha fatto utilizzo senza supervisione medica, circa la metà del campione.

A Milano, il 49% degli utilizzatori ha assunto la DoxyPEP secondo una posologia scorretta e dunque non efficace: un problema anche per il rischio di favorire l’insorgenza di antibioticoresistenze, che preoccupano una percentuale significativa degli utenti di Sex Check.

Al San Raffaele di Milano hanno preso atto della situazione e già prescrivono la DoxyPEP agli MSM che vivono con HIV o prendono PrEP. Viene offerto all’utente un counselling sul farmaco e la prescrizione, da autosomministrarsi al bisogno: consigliano di assumerla entro 72h ore da una intensa attività sessuale (più di 5 partner in un giorno). Circa un quarto delle persone, per lo più chi riportava una maggiore esposizione al rischio di IST, ha effettivamente assunto la doxyPEP.

Questo conferma che, quando lo strumento di prevenzione è affiancato da un counselling efficace siamo in grado di valutare il rischio ed assumere correttamente la profilassi, prendendo in mano in toto la gestione della nostra salute sessuale. Proprio per evitare assunzioni scorrette e ottimizzare l’efficacia è urgente richiedere linee guida nazionali e uniformità di accesso al servizio presso i centri PrEP nazionali.

Gli abstract presentati da PrEP in Italia

La conferenza ICAR si è svolta a Roma dal 19 al 21 giugno nella splendida cornice dell’Università Cattolica, circondati dai simboli di quel potere italico che ci discrimina da secoli e che ha la responsabilità di migliaia di infezioni da HIV grazie alle follie di numerosi illustri esponenti della gerarchia e di ben due papi con le loro dichiarazioni sui preservativi, per anni l’unico strumento di protezione contro il contagio, ma a più riprese declassato a cosa sostanzialmente inutile, per tacere della colpevolizzazione delle persone con HIV ree di non aver rispettato la morale cattolica.
Spiace che nessuno ci abbia fatto caso, incluse le associazioni di lotta contro HIV che pur dovrebbero sapere cosa ha significato l’influenza della gerarchia cattolica sul mondo della politica e le enormi difficoltà che questo Paese si trova ancora oggi ad affrontare su questa infezione a trasmissione sessuale.

Tuttavia, a ben vedere qualcosa si è mosso. Durante la serata inaugurale, durante i saluti delle autorità, un folto gruppo di attivistə è salito sul palco e ha esposto un banner con la scritta “PrEP Universale – basta barriere”. Nata da un’idea di Plus, l’iniziativa ha visto la collaborazione e la partecipazione di pressoché tutte le associazioni. L’esposizione del banner è stata accolta da un forte applauso ed è stata supportata anche dall’ospite principale della serata: la dott.ssa Sheena McCormack, la ricercatrice che, con il suo studio PROUD, nel 2015 ha portato in Europa la PrEP. Quando le ho parlato della situazione italiana sulla PrEP, dell’incredibile ritardo della sua implementazione in Italia (che per la cronaca ha significato migliaia di diagnosi di HIV!) dettato verosimilmente da disinteresse, ignoranza, calcolo economico da bottegai, la ricercatrice si è detta stupita e ci ha assicurato il suo totale sostegno. Mi ha confermato quello che penso da tempo, ossia che all’estero molti ricercatori hanno una visione idealizzata del nostro Paese, non sanno quanto siamo arretrati sul piano sociale ancorché molto ben piazzati su quello scientifico.

Quindi la protesta è andata bene ed è stata supportata anche dalla bellissima seconda lecture tenuta da Daniele Calzavara di Milano Checkpoint. La sua lettura magistrale, dedicata al nostro Giulio Maria Corbelli, è stata di alto profilo. Daniele ha dato una lettura della situazione orientata alle mutazioni sociali imposte dall’epidemia di HIV, ma ha descritto anche il ritorno di una società nuova, forse plasmata da HIV, ma che sicuramente è in cerca di un riscatto. Una nuova società fatta di identità di genere nuove, di fluidità sessuale. Una società alla ricerca di strumenti altri e che cerca di crescere, sperimentare, anche grazie ai molti strumenti che oggi la prevenzione offre.

Da parte mia, avrei dovuto ricordare Giulio Maria Corbelli e introdurre Daniele in 1 minuto secondo la scaletta… in effetti temo che mi sia fatto prendere la mano e ho finito per fare un intervento di almeno 6/7 minuti. Si certo ho ricordato Giulio, quando durante ICAR 2018 sempre a Roma, come chair della plenaria introdusse la protesta delle associazioni che interruppero la conferenza chiedendo la PrEP per tutti (non solo per chi ha i soldi per potersela pagare!). Giulio iniziò il suo intervento ricordando come la PrEP fosse giunta in Italia con colpevole ritardo, fatto di rinvii, di pregiudizi e stigma che, del resto, ancora oggi subiamo anche dall’interno della nostra comunità MSM che, sia pur un po’ meno rispetto ai primi anni, ancora oggi addita, giudica le persone che scelgono di proteggersi con la profilassi pre-esposizione. Ricordare il Giulio attivista per la PrEP ovviamente mi ha consentito di parlare della situazione attuale sulla PrEP riprendendo le parole del nostro striscione.

Gli ostacoli che oggi deve superare una persona che in PrEP sembrerebbero più orientati a contenere i costi della prevenzione che non alla salute degli utenti. Nessuno dei vari passacarte delle Regioni che hanno optato per ostacolare la prevenzione, ha verosimilmente pensato al costo che affronteranno per ogni diagnosi di HIV. Ma si sa: la politica preferisce spendere per i farmaci e ottenere un risultato immediato, più che spendere (meno) per la prevenzione e ottenere dei risultati in tempi medio-lunghi che andranno ad avvantaggiare altri.

Passi in avanti ne sono stati fatti, sia pur con colpevole ritardo. Oggi la PrEP in Italia è autorizzata e in carico al servizio sanitario nazionale. Tuttavia per ottenerla ogni persona deve andare in un ospedale, farsi visitare da un medico infettivologo (l’unico che può prescriverla sulla scheda prescrittiva di AIFA, giustamente solo cartacea e esclusa da qualsiasi sistema elettronico. Così sarà sicuramente più facile monitorare i costi!); ottenuta la prescrizione, che ha validità di 3 mesi, ogni utente andrà nella farmacia ospedaliera dell’ospedale dove lavora quel medico (non in altri!) e potrà avere fino a 3 flaconi del farmaco preventivo. Inoltre ogni utente dovrà sottoporti ad esami di controllo per diverse IST, funzionalità renale, ecc. Ricapitolando: 4 volte all’anno in visita, 4 volte dal farmacista ospedaliero, 4 volte in ambulatorio MTS/malattie infettive (spesso in entrambi perché molti ambulatori malattie infettive si rifiutano di effettuare i tamponi per clamidia e gonorrea). Un tour de france che non solo è impegnativo per l’utente per esempio in termini di permessi sul lavoro (a cui nessun passacarte delle Regioni sembra aver pensato), ma è impegnativo anche per il personale sanitario che, già saturo per la gestione delle persone con HIV e altre infezioni virali, ora si trova a dover gestire il follow up anche di persone sane che vorrebbero restare tali.

Mi chiedo quanto tempo passerà prima che qualcuno si renda conto che tutto questo giro porterà, verosimilmente, ad un incremento della cosiddetta PrEP sauvage, ossia senza controllo medico, che già sta prendendo piede secondo i nostri dati.

La conferenza è proseguita senza particolari problemi, almeno che io sappia, se escludiamo una furente riunione della CsC dove fra veti e poca onestà intellettuale, non siamo riusciti a nominare il Presidente del prossimo Icar che si terrà a Padova nel maggio del prossimo anno. Stendiamo un velo pietoso.

Restano i problemi economici che, per esempio, hanno portato a chiedere che gli attivisti romani non partecipassero alla cena della community che ogni anno viene organizzata dal provider Effetti. Ogni anno. In effetti non posso fare a meno di chiedermi perché, stante che i fondi sono sempre meno, ICAR continua ad essere organizzata come 10 anni fa: 1 volta all’anno, quando altre conferenze anche internazionali non hanno questa cadenza, sempre in location differenti, sempre con lo stesso provider sicuramente in gamba, ma non si vede perché non valutarne altri in periodi di “vacche magre“. Del resto dicono che i fondi sono sempre meno, ma noi non abbiamo mai visto un bilancio di Icar né abbiamo mai ricevuto risposte quando richiesto. Quindi, dopo tutto, ha senso continuare così.

Gli attivisti di Plus sono stati, lasciatemelo dire, fantastici. Sempre presenti alle sessioni a dimostrazione di serietà, ma anche con una gran voglia di fare baldoria insieme. Ammetto che quei ritmi mi avrebbero ucciso in mezza giornata. Sono stati anche bravi a sopportare il caldo nella zona “villaggio della community” ossia dove allestiamo i nostri banchetti, quest’anno piazzati in un ballatoio alto dove non passava nessuno, speriamo che a Padova gli spazi scelti per la community siano più adeguati. Se finalmente riusciremo ad avere un Presidente lato community, mi auguro che vorrà prestare attenzione anche a questi aspetti per noi importanti.

Sandro Mattioli
Plus aps
Presidente