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La Conferenza Mondiale AIDS di Montreal è iniziata col botto. Come disse Hillary Clinton – “non sarebbe una conferenza senza proteste”. Anche il civile e pacifico Canada mostra parecchie lacune e nessuno sembra intenzionato a soprassedere, giustamente. Io stesso, che pur vengo da un Paese di cui il Canada si fida, ho dovuto produrre un cospicuo numero di documenti sulla mia salute, sul covid, dichiarazioni giurate sul motivo della richiesta di entrare in Canada, Visa, assicurazione, ecc. ma sono riuscito a entrare. Purtroppo molti attivisti e attiviste soprattutto di income countries e perfino personale di IAS, non hanno ottenuto il visto d’ingresso, ma hanno ottenuto accuse di razzismo al Governo canadese nei confronti del quale pressoché tutti gli speaker dell’inaugurazione hanno speso parole molto dure.

Giustamente dure. Nessun esponente del Governo si è presentato ad accogliere i delegati, il Ministro dell’economia (se ben ricordo) ha dato forfait all’ultimo.

In compenso la sessione inaugurale è iniziata con una cerimonia di purificazione e con la benedizione di un’anziana Mohawk che, finito il cerimoniale, nel suo intervento non ha lesinato accuse nei confronti della cultura che ha accettato e nascosto lo sterminio di centinaia di bambini della sua nazione dati in custodia a una nota organizzazione religiosa.

Anche nei prossimi giorni ci saranno sessioni dedicate a come le nazioni indigene si rapportano ad HIV/AIDS e a come siano state ulteriormente emarginate.

L’idea di un Canada accogliente anche nei confronti dei nativi americani si sta sgretolando ora dopo ora e si fa strada l’idea che anche nel civile Canada le diseguaglianze siano importanti.

“Inequalities” (disuguaglianze) è senza dubbio la parola che emerge in questa giornata congressuale.

Disuguaglianze che ovviamente ci sono sempre state, forse un poco meno forti grazie al lavoro costante delle attiviste e degli attivisti, del fondo globale, di interventi mirati e accordi penso alla produzione in loco dei farmaci. Le cose sono radicalmente peggiorate per molte ragioni che molto hanno a che vedere con la guerra in Ucraina e con il covid che hanno assorbito ingenti quantità di denaro a discapito di un approccio globale alla salute. Infatti il fondo mondiale per l’Aids dichiara di aver ricevuto oltre un miliardo di dollari in meno. Una somma consistente che avrà pesanti ricadute proprio su quei Paesi i cui attivisti qui a Montreal si sono già fatti sentire interrompendo la sessione inaugurale con una protesta rumorosa, con cartelli e slogan tesi a ricordare che l’HIV non è ancora finito. Non ci stanno a morire di Aids e occupano il palco perché la voce delle persone con HIV, e non solo quella dei medici, deve essere presente sul palco della Conferenza. E così salta fuori che in Africa è cresciuto il numero delle nuove diagnosi soprattutto donne giovani spesso vittime di violenze. Ma c’è una nuova epidemia e quando questo accade gli Stati diventano egoisti e l’approccio globale nella lotta contro HIV, se mai è esistito veramente, sta sparendo.

Vengo a sapere dello stupore di alcuni giovani medici italiani arrivati a Montreal, forse con la piena, per queste proteste folkloristiche e non posso fare a meno di ripensare alla nostra piccola e silenziosa protesta a Icar di Milano, abbiamo issato un banner in fondo alla sala, in silenzio, mentre parlava il vescovo. E siamo stati identificati dalla polizia.

Piccola nota personale.

La conferenza mondiale Aids è per me fonte di carica, di ispirazione, di energia. È un modo per riprendere fiato, spazio e ragione dalla pochezza culturale, politica e spesso anche associativa dell’Italia. Rivedere la mia vera comunità, quella degli attivisti e delle attiviste internazionali, quelli che si sparano decine di migliaia di chilometri per esserci, fare gruppo, fare community, scambiare idee e best practices. Quelli che nel cuore e nella mente hanno l’attivismo, la fine dell’HIV, la fine delle discriminazioni, quelli che lottano davvero per un mondo migliore e magari credono ancora un po’ negli ideali di Denver. Spero che sia così anche per Salvio che ringrazio per essere venuto a rappresentare Plus.

Dopo due anni di conferenze online finalmente ci siamo. Cazzo quanto mi siete mancate attiviste africane e community, famiglia di tutto il mondo.

Sandro Mattioli
Plus aps

#HIVisible – 2gether, Giornata Mondiale AIDS 2020

LA STORIA DELL’HIV LA RACCONTANO I NOSTRI CORPI

1° dicembre #HIVISIBLE

Nella giornata mondiale per la Lotta all’AIDS, PLUS aps, PLUS Roma e Conigli Bianchi rilanciano l’appello di Paula Lovely, altrimenti conosciuta come Paolo Gorgoni, a tutte le persone che vivono con HIV: oltre alla mascherina, quest’anno mettiamoci la faccia, rendiamoci collettivamente #HIVISIBLE, attraverso un flashmob.

In un momento di crisi sanitaria ed economica globale senza precedenti come quello che stiamo vivendo, le persone che vivono con HIV non possono permettersi di restare invisibili. Per chiedere la continuità dei servizi sanitari, rispondere allo stigma quotidiano e diffondere sieroconsapevolezza, le singole storie non bastano, oggi serve la visibilità di una intera comunità.

Se vivi con HIV e credi che ogni coming out possa ispirarne altri, questo 1° dicembre scendi in piazza con noi. Contribuisci a dare vita a una presa di coscienza transnazionale e a ricordare al mondo che le persone sieropositive esistono. Noi esistiamo. Esistono i nostri corpi fieropositivi, i nostri bisogni, i nostri desideri, la nostra bellezza e la nostra potenza.

Se avevi già pensato di parlare della tua sieropositività e non l’hai ancora fatto, questa potrebbe essere l’occasione giusta. Per partecipare al flashmob serve soltanto:

– vivere con HIV
– tessuto rosso
– mascherine e distanziamento

Scrivi a info@plus-aps.it per aderire a #HIVISIBLE.

Se sei una persona sierocoinvolta ma non positiva, puoi supportare #HIVISIBLE in moltissimi modi:

– con foto e video in diretta dalla piazza (#HIVISIBLE)
– coinvolgendo amici/amiche e alleati/alleate
– aiutandoci a diffondere la comunicazione sui social
– amplificando la voce troppo spesso silenziata delle persone sieropositive.

– – – – – – – – – – – –

Plus aps, Persone LGBT+ sieropositive, nasce con l’intento di far sì che le persone LGBT+ sieropositive siano tutelate sia come persone LGBT+ che come persone sieropositive, in un contesto in cui la formazione e l’informazione scientifica viene promossa e portata avanti in un clima paritario, da professionisti, operatori e volontari che condividono lo stesso background sociale ed esperienziale degli utenti. 

Conigli Bianchi: un gruppo di attivist*, performers, fumettist*, illustratori e illustratrici, cantanti, attori e attrici che hanno deciso di unire le forze per aprire un discorso pubblico sul tema più misconosciuto del pianeta.
“Sogniamo di fare una rivoluzione parlando di sangue ma senza spargerlo. Vogliamo rompere il silenzio che circonda HIV, divulgare informazioni aggiornate e combattere lo stigma che circonda le persone che vivono con HIV.”

Paula Lovely (@Paula_Lovely_Gorgeous) è una dragtivista che lotta per restituire centralità ai corpi sieropositivi. Dal 2018 ha ideato un percorso politico e performativo di autodeterminazione e racconto di sé che definisce “una PornoRivoluzione Fieropositiva”. Crede che i movimenti di liberazione nati da creazioni individuali possano crescere, esprimersi e guadagnare di senso solo quando si trasformano e ramificano, solo quando permettono ad altrettante voci e racconti di venire alla luce.

# HIVISIBLE è l’occasione di performare 2gether. Non si tratta di un atto solitario, ma dell’evoluzione in senso collettivo di un lavoro preesistente. L’episodio zero, +Gl0ry+, è un atto sacrificale in cui un corpo drag e sieropositivo viene ri-sessualizzato in una performance che mescola le formule cattoliche dell’eucaristia all’utilizzo di un Gl0ry h0le. L’episodio 1, b1oom, racconta invece di una trasformazione irreversibile: al decimo anno dalla diagnosi di HIV, passando per il dolore fisico dell’ago, col sangue innocente in vista, b1oom rappresenta la scelta di fiorire.2gether, l’episodio 2, è la celebrazione della gloria e della forza che risultano dall’unione.

Firme:

Altre associazioni, gruppi, collettivi

Arcigay Ferrara, Gli Occhiali D’Oro
A.S.A. onlus
B-Side Pride
BogaSport
Cassero LGBTI+ Center
Coming-Aut LGBTI+ Community Center Aps
Gruppo Trans aps
IAM – Intersectionalities And More
IDA – Iniziativa Donne AIDS
Komos – Coro LGBT Bologna
Laboratorio Smaschieramenti
La MALA Education, collettivo
LILA Bologna
MIT, Movimento Identità Transessuale
NPS Italia onlus
Omphalos LGBTI, Perugia
Red Bologna aps
Rete Genitori Rainbow

Singole:

Vanni Piccolo
Cesare Di Feliciantonio, Manchester Metropolitan University
Massimo Cernuschi, ASA Milano
Daniele Calzavara, Milano Checkpoint
Margherita Errico, Nps Check Point Napoli
Fabio Gamberini
Rita Masina, Infermiera Policlinico S. Orsola-Malpighi
Natale Schettini, medico
Giovanni Guaraldi, medico
Marco Canova, medico
Filippo von Schloesser, Nadir
Giorgio Barbareschi, EATG, LILA Piemonte
Rosaria Iardino, Fondazione The Bridge
Sara Iuculano, studentessa
Francesco Lepore, giornalista

Le dichiarazioni di Vittorio Sgarbi, intervistato dai conduttori de La Zanzara, sono ovviamente destituite di qualunque fondamento scientifico o sociale. È palese che il tema HIV\Aids gli è del tutto ignoto e che si è trattato di un disperato tentativo di rinverdire i fasti di una notorietà ormai sbiadita.

Certe esternazioni misogine ed omofobe, sono utili solo a dare nuove infezioni alla pandemia.
Confidiamo che tutte le persone dotate di neuroni funzionanti, diano alle parole del critico d’arte, il peso che meritano. In Italia l’HIV è ancora un tema sociale proprio a causa della grassa ignoranza che lo circonda, della paura irrazionale e dello stigma che ne consegue.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

CIVILIZZATI-02

E va bene provo a dire la mia sui diritti omosessuali, spinto dagli articoli apparsi sul quotidiano La Abito ma non leggeStampa e, soprattutto, dalla linea editoriale scelta dal quotidiano ossia quella di non scegliere. Tipica della stampa italiana che da tempo ha scelto di smettere di fare il proprio mestiere: fare cultura, far crescere la capacità della scatola cranica degli italiani infondendo il dubbio e la capacità critica. La Stampa ha posto un articolo di Emanuele Felice di fianco a quello di Franco Garelli. Uno pro e uno meno pro, per non dire contro. Linea editoriale in stile un colpo al cerchio e uno alla moglie ubriaca (cit.)

Emanuele Felice scrive un buon articolo, forse leggermente troppo di cuore, ma buono, dal titolo “Italia ultima sui diritti per colpa della politica”. Buono nel senso che descrive lo stato di fatto del nostro paese. Un luogo dove le persone omosessuali faticano a vivere e dal quale spesso emigrano. In effetti basta attraversale le Alpi e voilà: diritti e matrimoni si sprecano. Ma non è solo questo. “Qui a Madrid, l’aria che si respira è diversa…” ricordo ancora le parole testuali di uno dei miei tanti amici, omosessuali come me, che hanno abbandonato l’Italia (e non sempre per vivere in un Paese più ricco), stanchi di vivere e respirare discriminazione quotidiana in qualsivoglia ambiente: dallo sport alla politica, dalla religione alla scuola, alla cultura.

L’Italia è un paese che discrimina e al quale piace discriminare perché, diversamente, avrebbe messo mano alle leggi vigenti quando era il momento: 10-20 anni fa, quando anche le altre nazioni dell’Europa occidentale discutevano e legiferavano su temi come quelli di cui si discute oggi.

La tanto citata norma tedesca alla quale il nostro governo fa riferimento, è stata approvata, vado aBacio sposi memoria ma non credo di sbagliare, nel 2001. Pertanto, contrariamente a quanto sostiene Franco Garelli nel suo articolo su La Stampa, l’eventuale approvazione del ddl Cirinnà non ci toglierebbe affatto dalla scomoda posizione di fanalino di coda dell’Europa: raggiungeremmo solo la Germania, che non ha certo la legislazione più avanzata d’Europa, con 15 anni di ritardo.

Una norma che, ripeto, se approvata, consentirebbe a fatica solo un mezzo riconoscimento delle unioni omosessuali, inclusa la tanto discussa stepchild adoption che fa riferimento solo alla possibilità di adottare i figli del partner. Per chi non ha avuto figli da precedenti rapporti, l’adozione resta preclusa. Con buona pace della capacità di crescita, di sviluppo, di inserimento sociale della maggior parte delle coppie omosessuali italiane.

Capiamoci ragazze e ragazzi: è su questa roba qui che siamo chiamati ad animare le strade. Una norma che nasce vecchia di 15 anni e che, comunque, non rende giustizia a decenni di lotte del movimento italiano.

Una norma che, come scrive Felice, ricalca le volontà dei conservatori europei laddove il nostro Governo si dovrebbe richiamare a un ideale progressista. Ebbene così non è. Stiamo lottando per dare alla popolazione omosessuale un contentino discriminante, frutto di una politica di retroguardia e conservatrice.

Just marriedAcclarato questo che cosa vogliamo fare? Accontentarci di queste quattro cazzate che ci elargiscono e ci vogliono far digerire come se fosse manna dal cielo?

Mi auguro proprio di no. È del tutto evidente che, non essendo noi Parlamento ma movimento, subiremo le decisioni dei cattolici in politica (qualcuno mi dovrà spiegare, prima o poi, perché per alcune persone devote la loro fede deve impegnare anche quella parte di popolazione che ne è priva), ma spero vivamente che il movimento LGBT italiano abbia un moto di orgoglio, una buona volta, e cessi di essere lo zerbino del partito di governo di turno (piuttosto che tutore di interessi personali), esiga pari diritti, esiga una reale uguaglianza che, in Italia, significa matrimonio egualitario (non unioni civili) e ampliamento della legge Mancino contro le discriminazioni di stampo omofobico.

A partire da questi punti si può iniziare a filtrare, facendo cultura nel quotidiano, l’aria fetida che respiriamo in Italia e forse perfino a far tornare qualche persona omosessuale emigrata dalla disperazione.
Questo sì che sarebbe un bel primo passo, non un ddl vecchio e, sa solo il cielo quanto, massacrato dai conservatori comodamente seduti in aula a gestire le nostre vite personali sulla base della loro morale posticcia. Chi vi scrive quest’anno compie 53 anni.

53 anni di lotte, di manifestazioni per vie e piazze delle principali città italiane e straniere (sì, sono andato anche a Madrid quando Zapatero allargò il matrimonio alle coppie dello stesso sesso). Non ho nessuna intenzione di andare per strada per una cosa come il ddl Cirinnà, per la quale non ho mai lottato, che non ho mai chiesto, che è stata decisa altrove senza tener conto delle reali necessità della gente. Per citare il nostro socio fondatore Stefano Pieralli, alla mia età i piccoli passi li faccio verso la pensione. Alla mia età lotto per qualcosa in cui credo, che valga la pena, sicuramente non lotto per farmi discriminare, non lotto per compiacere gli interessi di pochi.IMG_0575

Ultima cosa: ha ragione chi scrive che siamo un’associazione di lotta contro HIV/AIDS.
L’ho scritto più volte e ora lo ripeto: stigma e discriminazione sono strumenti atti alla diffusione di HIV, non è una mia opinione ma quanto è emerso alla Conferenza Mondiale Aids di Vienna (nella quale da Roma non venne nessuno, nonostante fosse a due passi). Non sfugge a chi scrive che in Italia la maggior parte delle nuove diagnosi, da 4 anni a questa parte, è triste appannaggio dei maschi che fanno sesso con maschi. Non è un caso quindi che Plus prenda una posizione ferma, forte – e pazienza se non condivisa dal delirio buonista del meglio poco che niente (che i miei amici argentini, altro paese cattolico dove è in vigore il matrimonio egualitario, definiscono consuelo de tontos, il contentino dei tonti!).

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

plus_1dicembre15_webAl Festival di Berlino del 2014, nella sezione Panorama, è passato un piccolo film indipendente a stelle e strisce diretto da un ballerino di nome Chris Mason Johnson: Test. A prima vista si tratta di una pellicola romantica incentrata su una compagnia di danza contemporanea a San Francisco, in pieni anni Ottanta. Colonna sonora frocissima e vestiti camp che più camp non si può… per tacer dei tagli di capelli e degli accessori. I due protagonisti, Frankie (Scott Marlowe) e Todd (Matthew Risch), s’innamorano durante la preparazione di uno spettacolo e affrontano una serie di test – compreso quello dell’hiv, a suo tempo una novità assoluta. Il primo test anticorpale ELISA venne infatti introdotto negli Stati Uniti nel marzo del 1985. A colpire, nel film, più che lo smarrimento dinanzi a una pandemia mortale dalla trasmissione ancora incerta, è il senso di vergogna che si accompagna alla decisione di testarsi. Anche allora, lo stigma era più potente dell’infezione e le dava man forte. Sono passati trent’anni esatti: a che punto siamo con la cultura del test?

Nell’ultimo anno, noi di Plus abbiamo lanciato due campagne: « hiv = », sulla condivisione di responsabilità e la subordinazione dello stato sierologico a uno spirito comunitario, e «positivo ma non infettivo», sulla non contagiosità delle persone sieropositive in terapia efficace. I passi avanti compiuti dalla scienza consentono davvero di eliminare il «divide» sierologico archiviando apartheid e paure irrazionali. Ma questa ricetta per il benessere collettivo si regge, ora come nel 1985, su un passaggio fondamentale: conoscere il proprio stato.

Il test hiv, così progredito da aver ridotto il periodo finestra a poche settimane, resta non solo una preziosa verifica per il singolo, ma anche uno strumento di prevenzione in un’ottica macro. La sopravvivenza di hiv/aids dipende infatti dalle infezioni non diagnosticate. E la diagnosi, oggi comeplus_1dicembre15_web nel 1985, resta uno snodo cruciale nel diagramma di flusso della vita di una persona. Solo che ora, rispetto agli anni Ottanta, abbiamo anche i mezzi per tenere sotto controllo l’infezione, e stare bene. Ecco perché abbiamo aperto il BLQ Checkpoint: per far sì che il test – rapido, anonimo, gratuito e sicuro – non sia uno stress ma una bella esperienza, da ripetere con regolarità.

Il 1° dicembre, giornata mondiale per la lotta contro l’Aids, il BLQ Checkpoint sarà aperto in via eccezionale dalle 15 alle 21. L’iniziativa, realizzata in collaborazione con la Asl di Bologna, vuole rendere più facile l’accesso al test HIV e HCV a tutte le persone, in particolare agli uomini gay e a tutti i maschi che fanno sesso con maschi. Il BLQ Checkpoint si trova a Bologna, in via San Carlo 42/C. Venite a testarvi da noi.

Simone Buttazzi
Plus Onlus

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Il 1° dicembre, giornata mondiale per la lotta contro l’Aids, il BLQ Checkpoint sarà aperto in via eccezionale dalle 15 alle 21. L’iniziativa, realizzata in collaborazione con la Asl di Bologna, vuole rendere più facile l’accesso al test HIV e HCV a tutte le persone, in particolare agli uomini gay e a tutti i maschi che fanno sesso con maschi. Il BLQ Checkpoint si trova a Bologna, in via San Carlo 42/C.

Per lanciare questo messaggio Plus onlus ha ideato due campagne la cui grafica è visibile in questa pagina.

Per maggiori informazioni e prenotazioni, è possibile chiamare i numeri 051 252351 o 051 4211857 il martedì e il giovedì dalle 18 alle 21 (orari di apertura consueta del BLQ Checkpoint).

Glasgow2014La Conferenza di Glasgow, “http://hivglasgow.org/ 2014” anche quest’anno si è tenuta nella splendida cornice dello Scottish Exhibition Centre altrimenti detto “Armadillo” per la sua caratteristica forma. La conferenza ha visto la partecipazione di un folto gruppo di volontari di Plus che hanno potuto partecipare chi grazie alle scholarship, chi ad inviti degli sponsor, chi grazie a un training. Una ricerca di Plus è stata accettata dalla commissione di valutazione, in forma di poster, e quindi pubblicata sul Journal of the International AIDS Society (JIAS). La conferenza quest’anno è stata caratterizzata dalla presenza consistente di scholarship (tra le quali quella di chi scrive) nonostante la crisi, dalla presenza massiccia di EATG in rappresentanza della community, dall’assenza, per fortuna, di incidenti.
Sembra una cosa di poca importanza quella delle scholarship, ma non lo è affatto in quel contesto. Soprattutto per la modalità con cui viene gestita: le persone cui è stata accettata la domanda di scholarship, infatti, devono sottostare ad alcuni obblighi, per altro molto piacevoli, quali un brunchPoster Plus Glasgow 2014 di benvenuto nel quale ci si conosce e nel quale uno dei co-chair della conferenza, Ian Weller padre della conferenza, gira instancabile fra i vari gruppetti che si formano presentandosi, chiedendo informazioni come un qualunque partecipante. Un medico di chiara fama che non se la tira è un evento che vale la pena di evidenziare. La cena delle scholarship a fine conferenza, è un’occasione per chiacchierare fra partecipanti di varie nazioni, scambiare esperienze. Nel mio tavolo in particolare, la lingua ufficiale è immediatamente diventata lo spagnolo: si trattava di un tavolo latino con partecipanti da Cuba, Argentina, Spagna e, ovviamente, Italia.
Una parte importante della conferenza è stata dedicata all’epatite C e, quindi, alle coinfezioni. Devo dire che anche in questo campo il gruppo degli MSM si batte fra i peggiori in termini di dati di incidenza, purtroppo. Il tutto, manco a dirlo, nell’ignoranza generale almeno per quanto riguarda il nostro paese. E’ stato infatti con malcelato stupore e invidia che ho seguito presentazioni dove si definivano le strategie del Regno Unito per contenere l’epidemia. Quindi esiste la possibilità di avere delle strategie?!
Rispetto alle presentazioni ne citerò solo alcune per ovvie ragioni si spazio:
Cingolani Glasgow 2014Antonella Cingolani ha presentato i dati della coorte ICONA sull’aumento dell’incidenza delle malattie a trasmissione sessuale nelle persone con HIV in Italia. Sono state analizzate 9168 persone, un quarto delle quali donne, un terzo MSM (maschi che fanno sesso con maschi). La sifilide ha una prevalenza del 39% ed è la malattia a trasmissione sessuale (MTS) più frequente. I fattori associati a una maggiore frequenza di MTS sono la giovane età, essere MSM. Essere in terapia antiretrovirale, invece, è associato con una minore probabilità di avere MTS.
Molto interessante, soprattutto per noi italiani, è stato constatare come il tema PrEP in conferenza è stato preso in considerazione alla stregua di qualunque altro tema, in termini scientifici, di utilità, di efficacia, ecc. Simon Collins, per esempio, ha parlato di PrEP sul piano delle prospettive della community. Le prime prove su animali dell’efficacia del tenofovir nel prevenire l’infezione da HIV risalgono al 1995. Nel 2002 alla conferenza CROI, qualcuno chiese a Bill Gates se per proteggersi quando faceva sesso con il suo fidanzato sieropositivo avrebbe dovuto prendere dei farmaci. In qualche modo quella domanda lanciò i primi studi, finanziati proprio da Gates, sulla PrEP. Molti pensano che questa strategia sia fomentata dalle industrie, ma non ci sono evidenze: Simon Collins Glasgow 2014ad esempio Gilead non sta facendo nessun marketing della PrEP negli Stati Uniti. Altri ne mettono in dubbio l’efficacia, ma se non bastassero i dati di iPrEx i recenti dati degli studi PROUD e IPERGAY (due studi, rispettivamente UK e Francia, che hanno sperimentato l’assunzione intermittente al contrario di iPrex per il quale l’aderenza stellare era vitale… curioso come britanni e francesi studino invece di chiedere agli “esperti”), smentiscono anche questo. A chi dice che non dovremmo medicalizzare il sesso si può rispondere che la PrEP non è per r tutti, forse ci sarà un 50% di persone che sceglieranno di usarla e solo per un periodo di tempo. Le persone non hanno sempre comportamenti a rischio, i periodi di attività sessuale più intensa e a rischio in genere non durano in eterno, tendenzialmente si cambia. Naturalmente uno strumento come questo si deve dimostrare utile a livello di popolazione, di comunità, non solo personale. Ma è anche vero che bisogna abbandonare la logica del “gruppo a rischio” per concentrarsi su rischio relativo a una situazione: per questo potenziali utenti della PrEP devono valutare tutti gli aspetti della loro vita personale. E’ del tutto evidente, quindi, l’importanza del peer-counselling anche nella gestione della PrEP. Quindi tutto bene? Certo che no, ci sono alcune preoccupazioni che riguardano la sicurezza, possibili pressioni ad esempio sui sex worker perché usino la PrEP invece dei condom, possibili versioni “di strada” del farmaco, ecc. Ma dubbi sull’efficacia, non ne sono emersi e a nessuno è venuto neanche lontanamente in mente di sostenere la stupida tesi che va tanto in voga in Italia, purtroppo anche fra membri del “movimento gay”: il preservativo costa meno.

Numero delle nuove diagnosi di infezione da HIV, per modalità di trasmissione e anno di diagnosi (2010-2012)
Numero delle nuove diagnosi di infezione da HIV, per modalità di trasmissione e anno
di diagnosi (2010-2012)

Anzi, tutto il contrario. A nessuno sfugge il fatto che il preservativo resta il fulcro della prevenzione. Nel contempo a nessuno è sfuggito il dato dell’uso discontinuo del condom e dell’incremento delle nuove diagnosi. Cosa che, ricordo, in Italia è vera soprattutto per il gruppo MSM che nell’ultimo triennio ha visto un incremento del 18% delle nuove diagnosi (cfr http://www.iss.it/ccoa/index.php?lang=1&id=54&tipo=3- pag 5) pur nell’indifferenza generale. Mi ha quindi piacevolmente sorpreso vedere come il primario del reparto malattie infettive di Modena, Cristina Mussini, durante una presentazione di case studies abbia affrontato il tema PrEP con estrema tranquillità come una delle possibilità offerte dalla scienza. Speriamo bene.

Nella sessione sui possibili usi della terapia antiretrovirale a scopo preventivo, è emerso che in alcune paesi l’ampliamento della copertura della terapia ART sulla popolazione HIV+, ha portato non solo a una riduzione della mortalità ma anche a una riduzione della diffusione del virus. L’obiettivo lanciato da UNAIDS è “90-90-90” cioè avere il 90% delle persone HIV+ diagnosticate, 90% dei diagnosticati in terapia e, fra questi, il 90% con viremia non rilevabile. I modelli matematici presentati mostrano una drastica riduzione delle nuove infezioni se si raggiunge questo obiettivo. È un obiettivo ambizioso, “aspirational” come è stato definito. La realtà è che ci sono molte barriere per raggiungerlo e siamo ancora piuttosto lontani. Anche se gli studi dimostrano che la terapia precoce non solo riduce la trasmissione, ma dà anche benefici a livello individuale per la salute della persona, molti paesi, pur avendo adottato le nuove linee guida, ancora iniziano il trattamento piuttosto tardi. A questo si aggiunga che, globalmente parlando, la maggior parte HCV MSM Glasgow 2014delle nuove infezioni vengono da persone inconsapevoli dell’oro stato di sieropositività.
Di cosa abbiamo bisogno per riuscire ad ottenere questi obiettivi? Fondi, ovvio. Serve un investimento speciale all’inizio che sarà poi ripagato perché spenderemo meno in futuro. Come dire che serve volontà e intelligenza politica, capacità di programmazione, ecc. tutta merce rara di questi tempi.
La sessione sull’HCV, epatite C, è stata molto interessante… e preoccupante. Indovinate chi detiene la maglia nera? MSM e drug users. Si è parlato molto di trasmissione di HCV in popolazioni HIV+, ed è emerso con molta chiarezza che sia alcune pratiche sessuali (fisting), sia l’uso di alcune sostanze (GHB) comunque legate al sesso, sono direttamente collegate all’incremento di HCV.

Alain Volny Anne dello European AIDS Treatment Group ha parlato di auto-gestione del paziente e come si possa migliorare. Per autogestione si intende la capacità del paziente di essere un partner che collabora con il medico incorporando interventi cognitivo-comportamentali e di empowerment. Ha introdotto anche il concetto di “paziente stabile” che non è solo quello con carica virale soppressa, ma anche quello capace di ridurre i rischi per la propria salute. È decisamente Volny Glasgow 2014complesso il tema, lo stesso Volny ha mostrato il numero di visite, alto, che ha fatto tra settembre 2013 e giugno 2014, e ha anche ben presente che il 28% delle persone HIV+ soffre di depressione o ha difficili condizioni di vita. I suggerimenti di Alain sono di non abbracciare una sola strategia e di valutare continuamente i bisogni dei pazienti. I programmi di educazione dei pazienti sono importanti così come i miglioramenti nella comunicazione con il medico e la decentralizzazione delle strutture.
Il community advisory board francese, per esempio, ha proposto al ministero della salute di ottimizzare il processo di cura delle persone con HIV riuscendo a organizzare tutte le visite in maniera da renderle più compatibili con i bisogni di vita dei pazienti.
Jens Lundgren di Copenhagen ha analizzato quali sono i bisogni correlati al trattamento HIV e come si può gestirli ottimizzando le risorse. Innanzitutto chiarisce che la cura sanitaria per l’HIV va ben oltre i servizi offerti dalle cliniche, ma coinvolge prevenzione, sostegno sociale, ecc. Ha poi mostrato i dati relativi all’Europa dell’Est dove è in atto una vera esplosione di casi di HIV, infezione che ormai non si trasmette solo tra consumatori di droghe ma anche per altre vie. In questi paesi la ricaduta del trattamento mostra risultati decisamente deludenti. Anche la disponibilità della terapia sostitutiva per le dipendenze da oppiacei non riesce ad espandersi come sarebbe necessario. Serve quindi un approccio dedicato ai consumatori di sostanze per rispondere ai loro peculiari bisogni di salute. Sono stati presentati alcuni modelli che prevedono una cura centralizzata in un unico centro, o diversificata in diversi centri. Anche tra gli MSM la situazione Pipe Glasgow2014non riesce ad essere sotto controllo: l’espansione del trattamento non è tale da riuscire ad abbattere radicalmente il tasso di trasmissione a livello di popolazione, bisognerebbe riuscire ad arrivare all’80% di persone con carica virale non rilevabile per avere una riduzione accettabile del numero di nuove infezioni. Per raggiungere il successo in HIV c’è bisogno di persone con HIV che siano impegnate e visibili, oltre che, ovviamente, di clinici preparati. L’obiettivo finale è di avere una “Stable ART”, condizione in cui le persone stanno stabilmente in terapia con carica virale non rilevabile. I dati mostrano che nell’Europa occidentale circa il 60-80% delle persone in terapia sono stabilmente soppresse ma per mantenere e migliorare questo risultato occorre non compromettere la qualità cura e lavorare su una terapia personalizzata e flessibile. Alcune possibilità possono essere di diversificare la tradizionale visita utilizzando il triage con infermieri specializzati, o cliniche di comunità, oppure la telemedicina per i pazienti più stabili.
Molti carne al fuoco, quindi, molti contenuti importanti che caratterizzano questa conferenza fra più importanti d’Europa e del mondo.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente.

catania-prideDa molti anni lotto perché credo che l’uguaglianza sia un diritto irrinunciabile, che la discriminazione sia una cosa schifosa, perché le persone LGBT possano vivere una vita migliore non relegata ai margini della comunità. Un po’ di anni or sono, mi è stata notificata la diagnosi di HIV e mi è apparso chiaro fin da subito che rivelare il mio stato sierologico nella comunità di appartenenza, sarebbe stato molto difficile.
La prima volta che dissi a un gruppo LGBT che sono sieropositivo, nell’interminabile silenzio imbarazzato che ne seguì, solo una persona ebbe il coraggio di dire qualcosa e disse “Ah!”.
Accoglienza, supporto, sostegno emozionale argomenti pressoché inesistenti in una delle maggiori comunità organizzate del Paese. Fu chiaro, quindi, che avrei dovuto lottare anche il quella sede per l’uguaglianza, contro la discriminazione, contro l’isolamento.
Da allora qualche passo in avanti è stato fatto, ovviamente. Se in un primo momento le persone mi cercavano di nascosto per parlare di HIV, oggi alcune persone si sono sentite sufficientemente a loro agio nella community per fare il loro secondo “coming out”, rivelando quindi anche lo stato sierologico, insieme all’orientamento sessuale.
Tuttavia, nel momento clou della vita politica delle organizzazioni LGBT italiane, i Pride, l’argomento HIV/AIDS è sempre stato complicato da inserire. Qualche evento collaterale collegato al Pride, qualche campagna di prevenzione, soprattutto negli ultimi anni, è stata portata all’attenzione della comunità, anche nella grande parata finale. Ma le facce perplesse dei partecipanti con il flyer in mano, tradiscono ancora oggi l’idea che l’HIV non c’entra con i Pride, che l’identità di una minoranza di MSM (maschi che fanno sesso con maschi) sieropositivi non ha spazio nella festa. Che c’entra dopo tutto? Ci vogliamo divertire non pensare a pochi sfigati.
Il punto è proprio questo. Ci siamo divertiti senza tenere conto né della possibilità, tutt’altro cheimage remota, che il virus entri nel nostro organismo, né della possibilità che una parte della comunità si senta esclusa o, quantomeno, non accolta.
Possibilità tutt’altro che remota perché siamo un gruppo esposto, in particolare noi MSM. I dati di prevalenza relativi alla nostra comunità, ci mostrano in modo inequivocabile che se è verissimo che HIV riguarda tutti, è altrettanto vero che non colpisce tutti allo stesso modo.
Dopo anni di lotte e, devo dirlo, anche di risposte deprimenti da parti di molti dirigenti gay, oggi siamo ad una svolta, spero, decisiva: Arcigay Catania ha deciso di tematizzare il Pride locale a partire da quest’anno, e il primo tema sarà l’HIV.
Il Presidente di Arcigay Catania, Giovanni Caloggero, ha chiesto a Plus di collaborare, insieme a LILA Catania, alla realizzazione di un Pride che lanci un segnale politico chiaro: HIV ci riguarda da vicino, noi siamo un gruppo esposto al rischio.
E’ una indicazione politica importantissima e molto forte, un segnale in controtendenza rispetto al generale sentire politico che ritiene sia meglio non rischiare una sovrapposizione fra HIV e popolazione MSM.
Lo slogan scelto dagli organizzatori è “Un Pride in Plus”. Uno slogan che nel citare direttamente il nome della nostra associazione, ci riconosce come interlocutori importanti. Ruolo che, ovviamente, saremo onorati di sostenere con la nostra presenza, i nostri volontari, le nostre magliette, gli slogan tesi a mostrare che una persona sieropositiva è fatta proprio come tutti gli altri, non è un mostro, non è un untore, è una persona che si innamora, che fa sesso, che si protegge e che non vuole essere discriminata.
Grazie ad Arcigay Catania finalmente possiamo dire che la comunità LGBT ha fatto il primo passo nella giusta direzione

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente