Silenzio = Discriminazione

Silenzio = Discriminazione

Nel corso di questo mese Plus ha dato voce al blogger Mark S. King, che con la sua prosa accattivante e provocatoria ha messo qualche puntino sulle i.

Mark ha spiegato ai sieronegativi cosa significa, oggi, vivere con hiv, ha tracciato la linea che separa il rischio teorico dal rischio effettivo, ha parlato di bareback in maniera schietta e amorale e ha tentato, infine, di individuare in un film porno del 2004 l’inizio della moda del sesso senza preservativo, dandone un’interpretazione basata sui fatti.

Sulla medesima linea d’onda, fattuale e non ideologica (né tanto meno moralistica) ci sembra necessario concludere questo «settembre antistigma» con alcune considerazioni stringenti.

A cominciare dal ruolo del preservativo, che resta imprescindibile ma va ricontestualizzato. Il condom è una sine qua non valida per tutti, negativi e positivi, poiché è l’unico scudo utile ad arginare le infezioni sessualmente trasmissibili, da quelle croniche a quelle passeggere che possono comunque fiaccare il sistema immunitario e agevolare l’hiv. Oltretutto, la legge italiana non ha ancora recepito lo status «undetectable» (la non contagiosità di chi ha la viremia non rilevabile) che riguarda l’80% delle persone sieropositive diagnosticate nel nostro Paese, e questo va sempre tenuto presente in caso di incontri «sierodiscordanti».

Poi ci sono altri dati di realtà, a cominciare dalle idiosincrasie che da sempre, hiv o non hiv, penalizzano l’uso del condom. Motivo per cui è ora di riconoscere lo status di safer sex anche ad altri strumenti, a cominciare dalla TasP, vale a dire la terapia come prevenzione, i cui effetti succitati in tema di viremia stanno trovando conferma grazie allo studio Partner.

È importante sottolineare come le condizioni di successo della TasP siano piuttosto severe (a tale proposito, date un’occhiata al vademecum Sesso Gay Positivo) e per stare sul sicuro, anche alla luce di altri infezioni come la sifilide e l’epatite C – sempre più presente tra gli MSM – si ritorna giocoforza al buon vecchio profilattico. D’altro canto, nella realtà dei fatti vi è uno scarto sostanziale tra adoperare uno strumento, per l’appunto, artigianale e poco amato, e ricorrere a una protezione 24/7 come quella offerta da una terapia in pillole.

Sulla convenienza e la sostenibilità della PreP, cioè la terapia antiretrovirale preventiva a mezzo Truvada©, il dibattito è ancora apertissimo. Gli aspetti di ordine medico – aderenza, effetti collaterali – vanno soppesati insieme a quelli economici, ovvero il costo ancora abnorme di queste medicine, e il freno globale costituito dai brevetti.

Nel frattempo, per le persone sieropositive la battaglia continua giorno dopo giorno, ed è una battaglia soprattutto sociale e culturale. Sociale, perché l’hiv è un’infezione contagiosa che interessa quella sfera delicatissima dell’interazione umana che è il sesso. Culturale, perché se l’ambito medico resta opaco e inaccessibile ai più, il tema dello stigma è a portata di tutti. Ed è su questo tema che Plus ha deciso di focalizzarsi grazie agli articoli di Mark.

In cima alla lista c’è il disinnesco di un’immagine deflagrante, oltre che sbagliata: la persona sieropositiva contagiosa, disperata e inaffidabile. A ben vedere, il rischio reale di nuove infezioni riguarda in primis le persone in sieroconversione, cioè fresche di contagio e nella massima parte dei casi all’oscuro della cosa, e in seconda battuta quelle che non solo non lo sanno, ma non fanno nemmeno regolarmente il test. Una persona diagnosticata, al corrente del proprio stato sierologico e seguita da un medico, non è quasi mai un pericolo – e una volta entrata in terapia non lo è al cento per cento.

Persino le coinfezioni o le altre cause dei cosiddetti blip virali (l’improvviso aumento della viremia nelle persone in cura, o la differenza tra virus nel sangue e nello sperma) non escono dal recinto del rischio irrisorio e residuale, per quanto possano rappresentare un problema per la salute del diretto interessato.

Da questo punto di vista, il salto copernicano che va introdotto nella concezione stessa del profilattico è che il goldone serve ai positivi soprattutto per proteggersi, oltre che per proteggere. Proteggersi dalle infezioni che la terapia non targetizza e che rischiano di compromettere un sistema immunitario già ballerino.

L’altro salto riguarda le persone sieronegative e la loro percezione del rischio. Alla luce delle evidenze scientifiche bisogna saper distinguere il contatto dal contagio: hiv è uno dei tanti virus ormai entrati a far parte del nostro quotidiano, ma dalla vicinanza all’infezione il passo è bello lungo. Hiv si trasmette con notevole difficoltà. Comprenderne le dinamiche e accettarle senza cedere alle malie del rischio teorico significherebbe mettere la parola fine alla discriminazione delle persone sieropositive.

Ecco perché noi di Plus ne parliamo senza censure, nella speranza che questi argomenti diventino oggetto di discussione anche nel nostro Paese. Uno dei primi slogan della lotta all’aids fu silence = death, per evitare che l’elefante della pandemia restasse ignorato nel bel mezzo del salotto. Oggi di hiv non si muore quasi più (in Occidente, almeno), ma resta la gestione – anche sociale, interpersonale – di un’infezione cronica per la quale non s’intravede ancora una cura. Un’infezione spesso taciuta dalle persone colpite proprio per paura dello stigma – lo stesso stigma che si ciba dell’ignoranza diffusa e di vecchi stereotipi duri a morire. L’hiv non si vede, ma il silenzio la rafforza.

I tempi degli strali, dei decaloghi biblici e del politicamente corretto hanno mostrato la corda: è il momento di decisioni informate, prima di tutto in ambito sessuale, la cui responsabilità va condivisa in parti uguali tra tutti noi, positivi e negativi.

Non più «lungi da me», ma «so quel che faccio».

È questa la sfida che Plus lancia alla comunità lgbt italiana.

Simone Buttazzi

[l’immagine che apre l’articolo è una rielaborazione dell’ultima inquadratura, censurata, del film Porcile (1969) di Pasolini. Dietro alla maschera c’è un Ugo Tognazzi che ci ricorda come avere qualcosa da dire, e star zitti, sia una gran porcata]