Articoli

Il fiocco rosso come simbolo della lotta contro HIV, è stato introdotto nel 1991… nel 2023 sembra che serva ad altro.

A molti attivisti, persone vicine a Plus, o più semplicemente persone che vivono con HIV, è sembrato strano o, meglio, indelicato il fatto che oggi per domani sia stato riassegnato alla lotta contro la violenza alle donne. Tema assolutamente degno di tutto l’interesse sociale che, giustamente, sta suscitando ma questo “scippo” – come ormai viene definito da molte persone con HIV – era davvero necessario? E, soprattutto, a molti appare chiaro che l’utilizzo del fiocco rosso per altro presuppone che nessuno sappia che quello è il nostro simbolo. In effetti questa azione rischia di sancire l’invisibilizzazione del tema HIV in Italia. Cancellato dalla lotta contro il patriarcato.

Il colore rosso in sé è usato per sensibilizzare l’opinione pubblica su molte campagne o problemi sociali che spesso ci vedono ancora fermi al Medioevo, ombrelli rossi per il sex working, le scarpe rosse sono state esposte più volte nelle piazze appunto contro la violenza contro le donne. Era proprio necessaria questa appropriazione?

Forse qualcuno pensa, impropriamente, che HIV abbia finito la sua corsa, che non si muoia più, che i contagi sono ormai limitati a poche categorie di persone (come si diceva un tempo), in sostanza che sia un problema risolto. Perfino qualche clinico arriva a sostenere che, in fondo, prendete una pillola al giorno che sarà mai!

Mi dispiace tanto svegliarvi dalla pigrizia mentale che, a tratti, sembra colpire la popolazione italiana spesso convita che se non se ne parla pressoché più, allora il problema non esiste. Ma le cose stanno diversamente.

Sicuramente è vero che grazie ai farmaci molto potenti l’aspettativa di vita delle persone che vivono con HIV è aumentata fino ad arrivare, in caso di diagnosi precoce, ad essere sovrapponibile a quella della popolazione generale. Ma in Italia abbiamo una percentuale di diagnosi tardive, ossia persone che ricevono la diagnosi quando sono già in Aids o prossimi a diventarlo, altissima. Tra le più alte d’Europa. Il ché è un brutto presagio che indica come sul piano della prevenzione ci sia ancora tanto da lavorare perché ben oltre la metà delle persone che si contagiano oggi non avrà affatto una diagnosi precoce né, verosimilmente, un’aspettativa di vita uguale a quella della popolazione generale.

Inoltre, l’orientamento corrente della ricerca ci porta a pensare, dati alla mano, che le persone con HIV tendono ad invecchiare precocemente, molto probabilmente a causa dell’altro modo che usa HIV per ammazzarci: l’attivazione del sistema immunitario. Un’attivazione che, a sua volta, attiva un processo infiammatorio cronico nelle persone con HIV. Praticamente un campanello d’allarme che squilla dal cervello ai talloni, stressa organi, cellule, ecc. e che, con ogni probabilità, è la causa dell’elevata incidenza di patologie oncologiche e cardiovascolari nella popolazione che vive con HIV. Si insomma HIV ci ammazza di cancro o di malattie cardiache, ci mette solo molto più tempo rispetto all’AIDS.

Inoltre, non potremmo essere più lontani dalla soluzione vera del problema ossia una cura eradicante per la quale i ricercatori, anche internazionali, ammettono a denti stretti che non abbiamo le conoscenze per togliere HIV dal nostro corpo. E anche la cosiddetta cura funzionale, ossia lasciamo HIV dov’è ma lo teniamo bloccato con qualche farmaco (soluzione che non mi sembra risolva il tema dell’infiammazione cronica), è tuttora nella fase delle “challenge”, le sfide, come si legge ancora in numerosi studi scientifici. In altre parole stiamo ancora cercando di capire come risolvere il rebus. Anche gli studi sui vaccini preventivi stanno fallendo uno dopo l’altro da anni, dunque forse non siamo particolarmente advanced pure li.

Da ultimo aggiungo che anche se abbiamo la fortuna di nascere in Italia, dove abbiamo punte del 98% di persone con HIV non più contagiose perché in terapia efficace, ma anche quasi 2.000 nuove diagnosi l’anno scorso, l’OMS ci informa che ci sono stati oltre 630.000 decessi a causa dell’azione di HIV globalmente. E aggiungo anche che in Italia è ormai tradizione combattere contro gli strumenti di prevenzione per vari motivi, non ultimo quello religioso. Il condom ha subito per anni gli strali della gerarchia cattolica anche ai massimi livelli, il femidom quasi nessuna sa che esiste, la PrEP ultimamente subisce attacchi, a tratti scomposti sia da alcuni fra coloro che hanno giurato di curarci, sia dalla nostra stessa comunità LGBTQ+ sempre pronta al giudizio (verso gli altri ovviamente).

Pertanto chiudo pensando che HIV è ben lontano dall’essere un problema risolto e né nascondersi dietro a ignoranza o pressapochismo, né fare a cambio con altre situazioni sociali pesanti, potrà cambiare questa realtà. Invece di scambiarci i fiocchi, scambiamoci aiuti perché ne abbiamo tuttə ancora tanto bisogno in questo Paese così arretrato.

Sandro Mattioli
Plus
Rete Persone LGBT+ Sieropositive

In origine c’era solo il preservativo, poi sono arrivati:

  • U=U, in presenza di una carica virale stabilmente non rilevabile il rischio di trasmissione dell’HIV è zero. “Undetectable equals Untransmittable” ovvero “Non Rilevabile è uguale a Non Trasmissibile”
  • la PrEP, un farmaco da prendere prima e dopo un rapporto sessuale per proteggersi dall’HIV
  • La PEP è sempre un farmaco che però va assunto solo dopo un rapporto a rischio, entro 48 ore. Evita che HIV si riproduca nell’organismo. Va richiesto in un pronto soccorso e, dopo la valutazione di unə infettivologə, andrà preso per 28 giorni.

In Canada si sta sperimentando anche la PIP, PEP in your pocket:

Avere in tasca un farmaco da assumere dopo un rapporto a rischio senza dover andare in pronto soccorso potrebbe diventare un nuovo strumento di prevenzione, soprattutto per chi ha pochi rapporti a rischi l’anno.

La PIP è sostalziamente la PEP, con la differenza che non c’è bisogno di rivolgersi a un pronto soccorso soccorso perché si ha già la PEP con sé (in your pocket – nella tua tasca, appunto). Non sempre è infatti facile accedere a un pronto soccorso, per mancanza di mezzi di trasporto ad esempio.

L’idea di questa modalità è venuta al team di ricerca di Isaac Bogoch che ha deciso di sperimentarla in due cliniche HIV a Toronto. Alle persone che hanno dichiarato al massimo 4 rapporti a rischio HIV in un anno è stata proposta una prescrizione di PEP così da poterla usare in caso di necessità, ad esempio:

  • dopo la rottura del preservativo o un suo non utilizzo
  • dopo la condivisione di strumenti per l’uso di sostanze per via iniettiva
  • dopo una violenza sessuale

Allo studio hanno partecipato 112 persone e 35 hanno ricorso la PIP in caso di necessità e 19 di questo ne hanno fatto uso più volte. Alcune persone in PrEP, dopo aver scoperto la PIP, hanno deciso di interromperla e hanno optato per la PIP, visto la scarsa frequenza di rapporti sessuali. Altre, invece, dopo il ricorso alla PIP hanno deciso di inziare la PrEP.

“La PIP è una strategia innovativa di prevenzione dell’HIV per persone con una minore frequenza di esposizione all’HIV e fornisce loro autonomia e libertà d’azione”, ha dichiarato il team di ricerca. “Lə pazienti possono passare dalla PIP alla PrEP in base all’evoluzione del rischio”.

“Non tuttə vogliono aspettare quattro ore in un affollato pronto soccorso alle 2 del mattino e parlare con unə perfettə sconosciutə della propria vita sessuale. Trattiamo lə adultə come adultə e diamo loro il ciclo completo di PEP in anticipo. Funziona e le persone sono felici”.

“Niente è scolpito nella pietra e seguiamo regolarmente i pazienti per rivalutare le loro esigenze di prevenzione dell’HIV. Le persone non seguono un percorso lineare nella vita e il rischio di HIV è dinamico. Lavoriamo con lə pazienti per adattare la loro modalità di prevenzione dell’HIV alle loro esigenze attuali e future. Questo è un approccio centrato sul paziente e basato sull’evidenza”.

Traduzione dell’articolo: PEP-in-Pocket Is Another Option for HIV Prevention