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Se una persona senza una particolare preparazione dovesse leggere certe dichiarazioni che appaiono con allarmante frequenza su Facebook, sarebbe naturalmente indotta a credere che la PrEP è una pazzia frutto del delirio se non, come è stato scritto, degli interessi miei personali o dell’associazione Plus.
Il che ovviamente è completamente destituito di ogni verità, nonché di qualunque base scientifica… si perché Plus è abituata a ragionare sulla base dei risultati degli studi scientifici, non delle farneticazioni di un qualunque tizio che si vuole impropriamente accreditare come interlocutore.
Chiariamo anche la faccenda degli interessi, che è stata lasciata intendere su alcuni post su Facebook: sono un lavoratore dipendente di una impresa di ristorazione leader in Italia ma certamente non una multinazionale, mi si applica il contratto nazionale del turismo i cui minimi salariali sono pubblicati per cui potete tranquillamente andare a vedere che cosa guadagno come secondo livello; non sono a libro paga di nessuna multinazionale… magari, sicuramente avrei un salario diverso. Plus, l’associazione di cui sono Presidente e che non è una costola di Arcigay, ha partecipato ai bandi di alcune multinazionali del farmaco, così come di fondazioni, e abbiamo ricevuto finanziamenti per alcuni progetti. Come hanno fatto pressoché tutte le associazioni sia di lotta contro l’HIV/Aids, sia sociali. Per informazione dei piccoli geni dello scandalismo, Gilead ha bloccato tutti gli studi sulla PrEP con Truvada in Europa, quindi Plus non ha fondi da Gilead per la PrEP. Del resto il brevetto su Truvada sta per scadere e Gilead fa decisamente i suoi interessi, purtroppo. Il massimo che abbiamo ottenuto da Gilead, è un finanziamento teso a proporre test per le infezioni a trasmissione sessuale alle persone esposte per via di comportamenti a rischio, o alle persone che asseriscono, per esempio sui social gay, di essere in PrEP.
I test per le IST vanno bene spero, no?

Ma andiamo avanti.
PrEP è ormai una realtà a livello globale e anche in Europa… è mai possibile che siano tutti folli? Alcuni esempi:

Rachel Baggaley, è una funzionaria dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, in inglese WHO), coordina progetti relativi alle attività di testing e di prevenzione di HIV. Alla conferenza mondiale Aids (IAS 2017) di Parigi ha portato una relazione non tesa a dimostrare che la PrEP funziona, ma indirizzata a migliorare la promozione della PrEP. In effetti, nel caso fosse sfuggito, l’OMS promuove la PrEP.
PrEP Facts è uno dei tanti gruppi Facebook basati negli USA, ma dove sono presenti utenti da diversi Paesi inclusa l’Italia. E’ gestito principalmente da utenti evoluti, con esperienza di PreP, che danno suggerimenti e consigli su base scientifica e in base alle varie esperienze che, negli anni, gli stessi utenti hanno fatto. Ovviamente senza mai rubare spazio al medico. I membri di questo gruppo sono oltre 18.000, e non ho mai letto una sola polemica o giudizio sulle scelte degli altri (per definizione degli altri. Cit.). Tutte le domande ricevono risposte adeguate, con rimandi alle fonti. Noi abbiamo aperto il gruppo Prep in italia, ma ovviamente siamo solo all’inizio.
EMA, European Medicine Agency, ha approvato l’uso di Truvada per la PrEP. L’agenzia del farmaco italiana, Aifa, ha agito di conseguenza. Non è vero che la PrEP in Italia non è consentita.
EATG, European Aids Treatment Group, storico gruppo europeo di attivisti nella lotta contro l’Aids, insiste affinché la PrEP sia disponibile in Europa e accessibile a tutti coloro che sono a rischio di contagio da HIV.
Dopo tutto quelli di EATG sono sieropositivi, che gliene frega a loro? Del resto lo stesso possiamo dire per Plus in Italia.
A loro, e a noi, frega, perché sappiamo che cosa vuol dire ricevere una diagnosi di HIV e sappiamo cosa vuol dire evitarla con la prevenzione, tutta la prevenzione. Non solo “quella che ho scelto io”. Lo facciamo perché siamo un gruppo di advocacy, perché siamo attivisti e non dei pirla che si perdono in chiacchiere. Infatti anche lo scorso aprile EATG ha inviato una lettera al sig. John F Milligan, amministratore delegato di Gilead Science, perché Truvada o un equivalente generico sia disponibile in Europa.
Dopo i due grandi studi europei sulla PrEP, Ipergay e Proud, uno dopo l’altro tutti gli stati dell’Unione stanno ragionando sul tema a livello istituzionale, Italia inclusa. In alcuni Stati la PrEP è già una realtà, da ultima la Svezia ha rilasciato un documento che propone di adottarla. Da quasi due anni la Francia ha un programma di PrEP pubblico, gratuito e alla conferenza italiana Aids (ICAR 2017), i ricercatori francesi che hanno portato i primi dati come contributo (visto che in Italia non è stato possibile fare uno studio con Truvada grazie alla nostra lentezza strutturale da un lato, al blocco di Gilead dall’altro).
I francesi hanno raccontato che molti italiani si recano a Marsiglia per prendere la PrEP (e anche gel lubrificante monouso: “ma non lo avete in Italia?”, giusto per rimarcare l’ennesima figura di merda).
Quindi la PrEP in Italia è già un fatto. Ed è un fatto che la situazione ci sta sfuggendo di mano perché, al solito, preferiamo fingere di non sapere. Davvero gli ostinati contrari che scrivono sciocchezze su testate online, credono che la gente si faccia influenzare da chi insiste sull’uso del solo preservativo come unico strumento definito “sicuro” anche di recente in un articolo che non cito per non dare spazio all’ignoranza?
Davvero crediamo che, nell’era di internet e del commercio online, a nessun italiano sia venuto in mente di comprare un generico equivalente laddove viene prodotto, a prezzi notevolmente inferiori rispetto al farmaco brand? Vogliamo davvero lasciare soli gli italiani a gestire questo passaggio, soli nella posologia e modalità di assunzione, senza controlli e test sulle eventuali altre infezioni a trasmissione sessuale che, se non diagnosticate per non ammettere di essere in PrEP presa di straforo, possono portare conseguenze anche serie?
La nostra lentezza nell’agire ci sta portando verso quella direzione. Parliamo di un processo già in essere che va gestito sia dai centri clinici, sia, soprattutto, dalle associazioni che hanno la possibilità di svolgere un ruolo centrale nell’orientare la popolazione di riferimento.
Purtroppo oggi alcune associazioni tacciono per prudenza, non si comprende in base a quali dati, o insistono che tutti devono usare il condom. Come sia possibile non lo so… a chi non lo usa che facciamo? Lavaggio del cervello, ipnosi, fusione direttamente sul pene?
Inoltre il pregiudizio fa si che partano dall’assunto che la PrEP sia alternativa al condom, il che non è. O non è sempre così.
Nel gruppo PrEP Facts di cui ho scritto sopra, ho letto moltissime testimonianze di ragazzi gay in PrEP che continuano ad utilizzare il condom senza problemi, ma grazie alla pillola hanno una serenità mai avuta prima e vivono molto più intensamente la propria vita sessuale, perché sanno che qualunque problema possa capitare con il preservativo (che si può rompere, sfilare, oggi poi c’è la “moda” orrenda di toglierlo senza chiedere il permesso al partner), c’è l’ulteriore scudo della PrEP. Al punto che il ragazzo in questione aveva chiamato il suo post: nuovo effetto collaterale della PreP: serenità.
Il tema della serenità è molto presente anche nei counselling che facciamo al BLQ Checkpoint. Non si contano le persone che vengono a fare il test in preda ad un terribile stato d’ansia per mille motivi.
Nessuno sano di mente sosterrà, qui e ora, che la PrEP è l’unica arma vincente contro HIV, che la PrEP è l’unica forma di prevenzione vincente e così via. PrEP è una delle possibili forme di prevenzione ad HIV. E’ una scelta possibile e lo è grazie alla ricerca scientifica, non certo a motivo della mia opinione.
La PrEP funziona per chi la sceglie consapevolmente, dietro consiglio del medico e tenendo sotto controllo le IST. È una scelta, e come tutte le scelte riguarda solo la persona che la prende. I giudizi e soprattutto i pregiudizi, sono decisamente fuori luogo.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente
https://www.plus-aps.it/prepinfo/

Dalla nona IAS Conference on HIV Science dove, guarda un po’, si parla anche di PrEP che per gli scienziati e i ricercatori qui riuniti, va implementata… quali stranezze si celeranno mai dietro queste scelte?
Andiamo a vedere.
Dopo le contestazioni della Presidente della IAS prima e della Ministra della Salute di Francia operate da attivisti africani e di Act Up Paris, di cui ho dato conto direttamente sulla pagina di Plus Onlus su Facebook, la successiva plenaria inizia con una sessione sul rafforzamento del sistema immunitario perché abbatta Hiv. Vaccini siamo ancora a modelli animali, scimmie e topi, dati interessanti che lasciano sperare ma è presto per ragionarci soprattutto conoscendo il “mercato” italiano dei social. Il ricercatore analizza vari modelli e strumenti biologici, per giungere alla conclusione che, in assenza di un vaccino terapeutico ad alta efficacia, è ancora necessaria una combinazione di trattamenti per tenere stabilmente sotto controllo la replicazione virale.
Wafaa El-Sadr, una ricercatrice della Columbia University, ci parla della centralità delle persone con Hiv nei programmi di salute pubblica e di controllo dell’epidemia.
Descrive una situazione ancora pesante per quanto attiene ai morti per AIDS (oltre un milione all’anno), agli anni di aspettativa di vita persi dalle persone sieropositive che iniziano la terapia quando possibile.
Mette l’accento sulla necessità di trovare le persone con Hiv che ignorano si esserlo, metterle in trattamento anti-retrovirale, ma oggi 33 milioni di persone ancora attendono di poter accedere ai farmaci.
L’obiettivo 90-90-90 di UNaids (90% delle persone con HIV diagnosticate, 90% delle persone diagnosticate in terapia, 90% delle persone in trattamento con viremia soppressa), è ancora molto lontano sul piano globale. La slide che ci presenta mostra una serie di gap ancora da colmare: 7,5 milioni di persone ancora da raggiungere per il primo 90, oltre 10 milioni per il secondo 90, quasi 11 milioni per il terzo 90. L’obiettivo di UNaids prevede la data limite del 2020 per cui il lavoro da fare è ancora molto.
L’obiettivo è ancora più lontano, drammaticamente lontano se guardiamo ai dati delle popolazioni chiave come i gay a Mosca dove, grazie alle pesanti discriminazioni subite dal governo di Putin, la situazione è gravissima: solo il 13% degli MSM sa di essere sieropositivo, a scendere la “cascade” è da paura… tanto per sottolineare quanto peso hanno le politica da nazisti che i russi mettono in pratica nei confronti della popolazione MSM, in barba a tutte i richiami e le evidenze scientifiche.


Sheena McCormack, la ricercatrice responsabile, fra l’altro, dello studio britannico “Proud” sulla PrEP, ci spiega l’importanza di introdurre la D di droghe nell’ABC della prevenzione.
Inizia con una pessima citazione dell’ABC di Bush, passa per i risultati incredibili ottenuti nel 2000 con la sola circoncisione maschile, alla haart i cui risultati li conosciamo tutti… o no?, alla PrEP con il primo studio Iprex, lo studio hptn 52 sulla non trasmissibilità di Hiv in soppressione virale. Un viaggio lungo e faticoso, costellato purtroppo di tanti compagni di strada che non ce l’hanno fatta, ma anche un viaggio che sta lentamente portando ai risultati cercati. Un viaggio che per la McCormack, e forse anche per la parte più evoluta della comunità MSM, è ormai storia. E’ ormai ora di andare avanti e cercare ancora di migliorare l’attuale situazione. Cosa che in Italia, stante il perdurare di una situazione bloccata sia sul piano culturale, sia sul piano economico, è ancora largamente sul piano dell’immaginario.
Ovviamente parla anche della storica sessione del CROI 2015 dove vennero mostrati i dati degli studi su PrEP: braccio senza PrEP registra un alto tasso di casi di HIV, 9%. Il braccio con PrEP registra una efficacia dell’86%. Sarebbe stata più alta, se le tre persone che hanno sieroconvertito nonostante la PrEP avessero assunto il farmaco, cosa che non avevano fatto.
Passa quindi a illustrare i nuovi studi che stanno venendo avanti. Uno studio interessante, anche se non pienamente riuscito, ha tentato di mettere in PrEP con tenofovir gli IDU (Injection Drug User) e ha raggiunto una efficacia del 49%, pertanto la strategia di riduzione del rischio resta lo scambio di siringhe anche se viene suggerita una integrazione delle due strategie laddove l’incidenza sia molto alta.
Sono anche stati valutati in alcuni studi i sistemi migliori per smettere di assumere la PrEP. I suggerimenti derivati dagli studi pubblicati, vanno della direzione di diversificare i tempi in base al tipo di pratiche sessuali. Per cui in caso di sesso penetrativo anale, la PrEP va assunta giornalmente per i 2 giorni dopo l’ultimo rapporto a rischio, in caso di sesso vaginale per 7 giorni. Cita anche gli studi in corso sul Cabotegravir a lunga durata (4500 arruolati nel mondo – ma nessuno in Italia ovviamente), che potrebbero portare ad assumere il farmaco una volta al mese se non ogni due, ma è ancora presto per giungere a conclusioni su questo tema, lo cito solo perché sia chiaro come tutti gli attori che operano nel tema della prevenzione si stanno interessando alla PrEP come arma in più che va a coprire quella parte di popolazione che per varie ragioni è più a rischio di altre.
Un’altra opportunità potrebbe arrivare dagli studi sugli impianti sottopelle a lento rilascio, che potrebbero dare importanti contributi anche in termini di prevenzione; viene anche citato lo studio Discover che vede anche l’Italia coinvolta sia pur con un contributi irrisorio in termini di arruolati. E’ uno studio di non inferiorità sulla nuova formulazione del tenofovir che si chiama Taf. Se funzionerà anche in PrEP lo vedremo alla fino dello studio che ha arruolato 5400 persone nel mondo. Quando si dice la potenza economica… in compenso Gilead ha bloccato tutti gli studi su Truvada in Europa, credo di sentire gli applausi di HIV… mah!
La McCormack mostra anche slide relative all’andamento epidemiologico di clamidia, gonorrea e di HIV.
Nella prima slide, i numeri di test (linea punteggiata) e numero di diagnosi per la clamidia (barre verticali). Come si vede, il numero di diagnosi va di pari passo con il numero di test, segno che probabilmente prima dell’ingresso della PrEP avevamo meno diagnosi perché testavamo di meno. Nella seconda slide stessi valori ma per la gonorrea, malattia che ha un decorso “più facile” da fermare e per la quale informare i partner e facilitare il fatto che si curino, aiuta a ridurre il numero di trasmissioni; sono quindi stati promossi test a tappeto e si può vedere una diminuzione di nuovi casi. Stessa cosa può accadere con HIV, come testimoniano i dati inglesi della terza slide. In altre parole, l’incremento di casi di IST che si vedono implementando la PrEP, dipendono in larga misura da un maggior ricorso ai test e che alla lunga questo può portare addirittura a ridurre il numero di casi per alcune infezioni.


Detto questo è del tutto evidente che la PrEP non è in nessun caso un obbligo.
La PrEP è una delle possibili scelte perché di questo si tratta: effettuare una scelta adatta alla propria condizione, che può variare di momento in momento della propria vita. Una scelta tesa a prendere il controllo della situazione e evitare l’infezione da HIV.
In tutto questo la D di drug, farmaci in inglese, può essere aggiunta all’”ABC”, alle basi della prevenzione per tenere sotto controllo HIV… e possibilmente il più lontano possibile.
Il tutto questo è chiaro anche agli scienziati della IAS che il peso della comunità è fondamentale. Senza le persone direttamente interessate non si va da nessuna parte. La sessione dal titolo “Prepping MSM” dove forte è stata la presenza e l’esperienza della comunità MSM e, sorpresa, non solo dagli USA.
L’esperienza della Thailandia infatti è stata di grande ispirazione. Con vari tipi di interventi ispirati più che altro alle necessità insite nelle popolazioni chiavi a cui appunto gli interventi facevano riferimento, la Thailandia implementa la PrEP dal 2015! Hanno effettuato un’analisi della percezione del rischio e dell’attitudine verso la PrEP fra gli MSM e le donne transgender.
Molto evidence based l’appoggio del loro intervento (hanno per esempio lavorato molto sull’analisi della percezione del rischio), ma gli outcome sono decisamente community oriented: il “Princess PrEP programme” mirato alle donne transgender e MSM, già il nome è tutto un programma, è stato fatto dalla comunità e con il suo supporto… già immagino la lotta per il titolo di regina.
Ma anche il Thailandia non tutto è filato liscio, non ci sono stati casi di HIV in effetti ma circa un quinto delle donne trans del campione non voleva assumere altre pillole, quindi potrebbero essere utili altre modalità di assunzione del farmaco; il tasso di mantenimento delle persone nel controllo medico necessario è stato basso, da qui la necessità di un reminder personalizzato per ogni aderente al progetto, ecc. Come vedete sempre nella logica di analisi del reale e di possibili soluzioni sempre orientate al benessere della comunità.
È intervenuto direttamente anche un utente, evoluto ma pur sempre utente, in PrEP da 3 mesi.
Un ragazzo MSM di 25 anni residente a Bangkok, che resto dichiara di usare sempre il preservativo durante i rapporti penetrativi anali… l’italiano gay medio già chiederebbe perché mai allora è in PrEP? Perché nella sua personale percezione del rischio vede comunque un pericolo, rottura del condom, sfilamento, stealthing, per cui non si sente tranquillo e finisce per avere la vita sessuale che vorrebbe. Quindi l’ansia del contagio, una cosa che vediamo ad ogni incontro al BLQ Checkpoint.
Quindi il ragazzo ha fatto una lista dei pro e dei contro.
Pro:
non fiducia completa nel preservativo,
ansia dovuta al timore del contagio,
fa sesso occasionale,
si percepisce come a rischio.
Contro:
effetti collaterali a breve termine
effetti collaterali a lungo termine
il peso dell’assunzione quotidiana (evidentemente a lui non si attaglia quella on demand)
il peso delle visite di controllo
il costo della PrEP e degli esami di laboratorio.
Oggi è in grado di dirci che non ha avuto nessun effetto collaterale al breve termine (di cui tanto si parla, in effetti sono comuni ma non vengono a tutti);
ancora usa il condom nei rapporti penetrativi anali;
invariata la frequenza dei rapporti sessuali prima della PrEP;
sparita la paura del “dopo scopata”.
Afferma di avere ancora qualche perplessità sugli effetti di lunga durata, ma ha chiaro che può smettere quando vuole perché non è sieropositivo (e gli eventuali effetti collaterali rientrano).
Negli USA la PrEP è implementata da ancora più tempo. Qualcuno ricorderà i miei interventi perplessi dopo l’autorizzazione concessa da FDA a Truvada come PrEP dopo solo 1 singolo studio tutt’altro che definitivo. Però che dire, come spesso accade hanno osato facendo anche di necessità virtù, e hanno avuto ragione i tecnici di FDA perché tutti gli studi successivi hanno confermato i dati dello studio Iprex… appunto il primo. Jim Pickett Aids Foundation Chicago ha portato un fantastico esempio di approccio community based. Basta con l’approccio scientifico, ha detto Jim all’inizio dell’intervento, ormai è chiaro che c’è evidenza scientifica. Ora dobbiamo orientare la comunità che non usa certo la PrEP per far contenta la scienza o le multinazionali.
Quindi nuove parole chiave:
piacere,
intimità,
serenità,
lussuria,
amore,
connessione,
onestà,
desiderio.
Quindi una logica tutta incentrata sul bisogno delle persone che scelgono di non accettare i messaggi condom-centrici, il giudizio della gente, la vergogna di fare pratiche che possono portare a discriminazione, ecc. per esaltare gli aspetti positivi così come descritti nella notissima campagna #PrEP4Love dove vengono diffuse parole come amore, carezze, abbracci, calore e non paura, contagio, ecc.
Un approccio evoluto, che implicitamente va nella direzione di una vita sessuale adeguata alle esigenze delle persone che sono evidentemente stanche della paura del contagio. Fra l’altro con una campagna che finalmente non mostra i soliti modelli palestrati ma gente vera, con la ciccia e la panzotta, un altro elemento che fa pensare alla quotidianità più che all’evento isolato e che comunque coniuga splendidamente il concetto di piacere sessuale con quello della riduzione del rischio.


Bello vedere che anche la dott.ssa Rachel Baggaley del dipartimento HIV dell’OMS dove segue il settore prevenzione innovativa, va nella stessa direzione e apre il suo intervento con l’immagine di tre ragazzi con PrEP, condom e carica virale non rilevabile, sulla testa. Si chiede Rachel come promuovere, implementare la prevenzione combinata fra gli MSM. Giustamente ci fa notare come l’implementazione della PrEP porta con sé un aumento del numero dei test eseguiti, per HIV e per le altre IST, affrontare il tema dello stigma, educare al tema Tasp, ecc. Anche la sola promozione della PrEP è tutt’altro che semplice: a fronte del caso San Francisco dove l’80% delle persone in PrEP la sono andata a chiedere spontaneamente e una diffusione delle informazioni che arriva al 100% della popolazione interessata, in Australia e in Sud Africa pochissime persone idonee per la PrEP scelgono di assumerla, restando ovviamente nel rischio di contagio.
L’OMS ha quindi preparato un opuscolo con una serie di suggerimenti per promuovere e integrare le nuove forme di prevenzione, chiarendo nel contempo che PrEP non è solo uno strumento bio-medicale ma anche bio-comportamentale ed è in questa direzione che devono andare i servizi offerti alla popolazione MSM. Nell’offerta della PrEP alle persone ad elevato rischio di contagio, l’approccio deve mettere al centro la persona in una logica di salute pubblica e di diritti umani, non certo di giudizio, isolamento, discriminazione e stigma… con questi quattro regaliamo anni di vita ad HIV.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

La partecipazione di Plus Onlus alla IAS Conference 2017 è stata resa possibile grazie a un contributo non condizionato di ViiV Healthcare.

Nel 2008 partecipai alla Conferenza Mondiale Aids di Città del Messico, dove ho avuto il privilegio di ascoltare la relazione del prof. Pietro Vernazza sullo studio che portò alla Swiss Declaration.
Lo studio, ancorché piccolo, aveva creato molto scalpore nell’ambiente scientifico e quando giunse alla conferenza, l’attesa e la tensione si potevano percepire chiaramente sia da parte scientifica, sia da parte delle persone HIV+.
L’enorme aula che ospitava la plenaria era stipata, almeno 10.000 persone assiepate per ascoltare la notizia dell’anno:
Le persone con HIV, a carica virale non rilevabile, senza altre IST, non sono contagiose. Studio allora piccolo (in seguito confermato da decine di altri), dati e rigore scientifico svizzero.

Ricordo l’emozione mia e di Alessandra Cerioli di Lila: finalmente non siamo più untori.

Ricordo anche l’intervento furibondo di una funzionaria dell’OMS.
Non si possono dare queste notizie in una conferenza mondiale – disse la funzionaria – perché è alto il rischio che i maschi sieropositivi smettano di usare il condom.
La dichiarazione svizzera è alla base delle decine di studi confirmatori della Tasp, trattamento come prevenzione, oggi praticata comunemente in pressoché ogni centro clinico. Oggi l’OMS supporta la Tasp e sostiene che le persone in trattamento efficace non sono contagiose.
Perché questo incipit?
Oggi abbiamo la possibilità di utilizzare Tasp e PrEP per far circolare meno virus nella comunità.
Tuttavia vedo la stessa paura immotivata della funzionaria dell’OMS in molti “scienziati di Facebook”, convinti che la profilassi pre-esposizione, PrEP, porterà ad un crollo nell’uso dei preservativi e il conseguente incremento dei casi di HIV.
Il razionale ideologico che è alla base del ragionamento, spesso ha a che vedere con una semplice equazione: “io uso il condom=tutti devono usare il condom”.
Un modo di ragionare che implica un giudizio e una discriminazione che sono, in parte, alla base delle numerose, troppe, nuove diagnosi annue di HIV in Italia (3-4 mila ormai stabili da tempo).
Provoco, lo so, ma spiego. È evidente che non tutti sono o riescono ad essere talebani del preservativo e la conseguenza è che si espongono al rischio di infezione. In Italia c’è uno zoccolo duro di nuove diagnosi che le attuali strategie di prevenzione non riescono a ridurre. Ormai è evidente da tempo e dobbiamo prenderne atto.

Quindi che vogliamo fare?

Insistiamo che tutti devono usare il preservativo fino a quando nessuno ascolterà più?
Oppure seguiamo la strada aperta dai 2 studi europei, Proud e Ipergay, e realizziamo interventi mirati di prevenzione PrEP based?
Intendiamoci: in nessuno studio è stato dato il farmaco e arrivederci. Sempre è stato proposto un counselling sulle pratiche a rischio e relative tecniche di riduzione, si è parlato dell’uso di condom e lubrificante, di attività e pratiche sessuali e poi di PrEP.
Il farmaco autorizzato per la PrEP oggi è il solo Truvada® (azienda produttrice: Gilead Sciences). Truvada ha la capacità di concentrarsi rapidamente nei tessuti rettali oltre ad una emivita del principio attivo molto lunga. Sia lo studio Proud che Ipergay hanno arruolato MSM (maschi che fanno sesso con maschi) e i risultati sono stati molto buoni: un calo molto consistente dei casi di HIV attesi, prossimo al 90%.
Attenzione: non è un vaccino! È un farmaco, anche se generalmente ben tollerato, non è esente da effetti collaterali per esempio a reni e ossa. Ma anche qui: si tratta di soggetti sieronegativi, che possono interrompere il trattamento in qualunque momento.
Certo la PrEP non può essere assunta a caso. Ci sono degli schemi da seguire, dei controlli clinici da fare a partire dai test per le IST.
Capiamoci: non stiamo parlando di milioni di persone che non vedono l’ora di togliere il condom e scopare come ricci. In Francia, dove la PrEP è disponibile da quasi due anni rimborsata dal servizio sanitario (al contrario dell’Italia), sono circa 3.000 le persone in PrEP. Per lo più nell’area di Parigi.
Dunque in cosa consiste la vostra paura? In niente! C’è una larghissima maggioranza di persone che preferiscono continuare a usare il condom per mille ragioni: non è un farmaco, non vogliono mangiare roba chimica per fare sesso, perché con il preservativo non hanno problemi di erezione, piacere o altro, e così via. Ottimo, fantastico, super, top.
Ma c’è una parte minoritaria di popolazione, anche gay, che non usa il condom. Non mi interessa entrare nel merito in questo momento: non lo usa o lo usa in modo incostante.
Quindi che vogliamo fare?
Continuiamo a discriminare chi fa scelte difformi dalla maggioranza? Proprio noi persone omosessuali che ne subiamo di ogni dalla maggioranza eterosessuale?

Smettiamola, subito!
Non abbiamo nessuna base scientifica a sostegno e, quel che è peggio, la PrEP è già presente anche nel nostro Paese. È possibile comprare Truvada in farmacia con una prescrizione dello specialista a prezzo pieno: oltre 700€ per 30 pillole, quindi non alla portata di tutte le tasche.
Sappiamo di persone che vanno in Francia a prendere il farmaco e lo assumono dio sa come senza controllo clinico alcuno. Sappiamo di persone che la acquistano online da aziende di generici. Sappiamo che c’è un mercato nero di Truvada che esce dalle farmacie ospedaliere come PEP (profilassi post esposizione) o diretto a persone con HIV che ne fanno un altro uso.
Poco importa. La PrEP è già presente in Italia perché funziona e c’è richiesta.
Il nostro berciare scomposto ha portato stigma e mercato parallelo, quando non nero.

Veramente vogliamo continuare in questo modo? Plus non ci sta!
Dal prossimo autunno partirà Sex Check: un programma di controlli gratuiti rivolto anche a chi sostiene (magari su Grindr o GayRomeo) di essere in PrEP.
Su base trimestrale testeremo diverse IST: HIV, HCV, sifilide, gonorrea, ecc. unitamente a couselling sulle pratiche sessuali e sulla riduzione del rischio.
La tutela della propria salute è un diritto che Plus ha intenzione di sostenere, senza giudizio alcuno. Restate connessi.

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente.

Sabato 1 luglio, in occasione del Bologna Pride, i volontari di Plus Onlus e del RED hanno sfilato con striscioni, magliette e palloncini, facendo conoscere alla cittadinanza la nuova campagna pensata per combattere l’Hiv: Pillole di buon sesso.

Le pillole sono i farmaci antiretrovirali nei loro diversi usi, e la nuova campagna si concentra su due strategie di comprovata efficacia:

  • TasP è la sigla che indica la “terapia come prevenzione”. Si basa su un concetto semplice: se la quantità di virus in una persona con Hiv è drasticamente ridotta dai farmaci, non si trasmette l’infezione ad altri. Riprendendo lo slogan lanciato da Plus nel 2015: Positivo non infettivo.
    La TasP aiuta le persone con Hiv a non considerarsi pericolose per gli altri. E chi non ha l’Hiv può comprendere che fare sesso con una persona in TasP è una delle opzioni più sicure per restare negativi!
  • PrEP sta per “profilassi pre-esposizione”. È un modo perché le persone sieronegative possano ridurre sensibilmente le possibilità di contrarre l’Hiv. Consiste nel prendere quotidianamente una pillola che contiene due farmaci antiretrovirali. In due parole: Negativo non infettabile.
    In Italia non è ancora distribuita, per questo facciamo informazione: è importante poter accedere a ogni risorsa disponibile contro l’infezione!

Lo scorso dicembre, Plus ha lanciato la campagna Fallo come vuoi, che metteva sullo stesso piano di efficacia, contro l’Hiv, preservativo, TasP e PrEP. Il motivo di una campagna specifica sulle «pillole di buon sesso» è semplice: della TasP si parla ancora troppo poco, malgrado sia una realtà da molti anni. Quanto alla PrEP, implementata con successo in svariati Paesi europei, manca ancora la volontà politica di renderla accessibile in Italia, dove la barriera del prezzo costringe gli interessati a rimediarla per vie illegali, senza supervisione medica.

È ora che l’intera gamma delle risorse disponibili per combattere l’Hiv sia nota a tutti e a portata di tutti. È ora di stringere un patto sociale per invertire i dati epidemiologici e debellare l’epidemia. È ora di usare il buon senso per affrontare un tema, quello dell’Hiv, troppo spesso appannaggio del giornalismo scandalistico e di teorie irrazionali. Al Bologna Pride, Plus Onlus e RED lanciano un appello di buon senso: ricominciare dalle pillole di buon sesso.

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Plus onlus lancia un breve sondaggio sulla PrEP, composto da sole sette domande, rivolto a uomini gay o altri maschi che fanno sesso con maschi e donne transgender senza HIV residenti in Emilia-Romagna. Il sondaggio vuole indagare la loro intenzione di utilizzare la PrEP nel caso fosse resa disponibile gratuitamente dalle autorità regionali.

Che cos’è la PrEP?
Alcune ricerche hanno dimostrato che un farmaco, normalmente utilizzato per il trattamento dell’HIV, ha anche un’azione efficace di protezione contro l’infezione stessa, quando assunto con certe modalità dalle persone senza HIV. Questa strategia di prevenzione dell’infezione da HIV si chiama PrEP.

A chi potrebbe servire?
Il farmaco potrebbe in futuro essere disponibile gratuitamente per alcune persone a rischio di infettarsi con l’HIV: ad esempio, chi ha spesso rapporti non protetti con partner diversi, chi ha difficoltà a usare il preservativo e quindi, in generale, non lo usa, ecc…

Da sapere
Ci sono pro e contro in questa strategia di prevenzione, visto che si tratta di assumere un farmaco. Tuttavia, non è sbagliato dire che in generale il farmaco è ben tollerato, di facile assunzione e, soprattutto, come già detto, la strategia è efficace.

Perché questo questionario?
Al momento il farmaco è disponibile nel nostro paese a un costo elevato per il cittadino, tale da rendere la strategia di fatto non utilizzata. Questo questionario ha la finalità di comprendere in modo approssimativo, e senza alcuna pretesa di precisione scientifica, l’eventuale bisogno dei maschi che fanno sesso con maschi e delle donne transgender in merito alla Profilassi Pre-esposizione in HIV (PrEP).
In poche parole, ti chiediamo di rispondere al questionario per comprendere, in caso in cui il farmaco fosse gratuito, se 1) tu saresti un possibile candidato (in base ai tuoi comportamenti), 2) se lo assumeresti e 3) Dove ti piacerebbe rivolgerti per avere accesso a questa strategia.

Attenzione: l’indagine è anonima e limitata, al momento, solo a residenti in Emilia-Romagna.

Per fare il sondaggio, clicca qui. 

Flash! PrEP in Europe

Plus Onlus è tra gli enti promotori di una grande rilevazione condotta quest’estate in tutta Europa. Il tema del sondaggio Flash! è la PrEP, vale a dire la profilassi pre-esposizione contro l’hiv la cui efficacia è stata confermata da due studi: IperGAY e PROUD.

Malgrado un’approvazione generale nei confini della UE, solo la Francia ha introdotto in maniera soddisfacente questo importante strumento nella lotta alle nuove infezioni. In ambito europeo non UE si segnala il caso virtuoso della Norvegia.

L’obiettivo di Flash! PrEP in Europe è saggiare il livello di conoscenza in tema di PrEP e l’eventuale interesse a farne uso. Condotta nei mesi di giugno e luglio 2016 in 10 lingue e 12 Paesi, la rilevazione ha coinvolto 16.000 partecipanti (soprattutto tedeschi). I rispondenti italiani sono stati 353.

Aurélien Beaucamp, presidente dell’associazione francese AIDES, ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Questi risultati confermano l’urgenza del nostro appello affinché la PrEP sia accessibile per tutte le popolazioni vulnerabili e in tutti i Paesi europei. Ora più che mai abbiamo bisogno di un accesso paritario a questo nuovo strumento, per frenare la progressione dell’epidemia in Europa».

I primi risultati della ricerca dimostrano che i rispondenti non solo conoscono la PrEP, ma la userebbero molto volentieri. Le associazioni promotrici ricordano tuttavia l’importanza del monitoraggio medico prima di entrare in PrEP e durante la somministrazione del farmaco (che contiene due principi attivi: tenofovir disoproxil fumarato ed emtricitabina). Un uso «informale» è altamente sconsigliato.

Ecco il pdf scaricabile con i primi risultati: Flash! PrEP in Europe – sintesi in italiano

Plus Onlus, insieme a Nadir, Lila, Arcigay e al Circolo Mario Mieli ha inviato una lettera alla ministra della Salute Beatrice Lorenzin chiedendo l’adozione istituzionale di questo strumento di prevenzione anche in ambito italiano.

Arcigay, Lila, Nadir, Mario Mieli e Plus Onlus hanno inviato una lettera alla ministra della Salute Beatrice Lorenzin chiedendo a gran voce la PrEP (profilassi pre-esposizione contro l’hiv) anche in Italia.

“C’è bisogno di uno strumento in più per contrastare il diffondersi dell’hiv: la Profilassi Pre-Esposizione (PrEP). Ministra ci aiuti!” Questo il messaggio lanciato dalle associazioni di pazienti e dalle comunità colpite dall’infezione.

L’aggiornamento delle Linee guida italiane sul trattamento appena pubblicato sul sito del Ministero della Salute indica la PrEP come uno strumento “efficace per la prevenzione dell’infezione di HIV”. Il vicepresidente di Plus Onlus, Giulio Maria Corbelli, è membro del panel che ogni anno corregge le Linee guida alla luce dei passi avanti compiuti dalla ricerca e dei nuovi farmaci disponibili.

Il documento è scaricabile da qui: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2545_allegato.pdf

Il modello di riferimento per l’introduzione della PrEP è quello francese, che garantisce il rimborso integrale.

In occasione del 1° dicembre, Giornata mondiale della lotta all’Hiv-Aids, Plus ha svelato la campagna #fallocomevuoi – e scegli come proteggerti, la prima in Italia ad assegnare pari validità, nella prevenzione dell’hiv, a tre diversi strumenti: preservativo, TasP (trattamento come prevenzione) e PrEP. Per combattere hiv è infatti indispensabile disporre di molteplici opzioni (anche combinabili), affinché ciascuno possa scegliere la propria soluzione ideale.

Ecco il testo integrale della lettera:

PROFILASSI PRE ESPOSIZIONE IN HIV: LETTERA APERTA E PUBBLICA AL MINISTRO DELLA SALUTE

 

Beatrice Lorenzin
Ministra della Salute
Ministero della Salute
Lungotevere Ripa 1
00153 Roma

Roma, 30 novembre 2016

Signora Ministra, questa nostra per chiedere il Suo urgente intervento affinché anche l’Italia, come già accade in Francia, possa usufruire di uno strumento in più per contrastare il diffondersi dell’HIV: la Profilassi Pre-Esposizione (PrEP).

La situazione nel nostro paese è in stallo, perché l’azienda farmaceutica detentrice del brevetto non ha chiesto – alle autorità italiane – la rimborsabilità del farmaco per l’indicazione specifica preventiva data dall’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), e pare non avere alcuna intenzione di richiederla.

Esistendo anche farmaci equivalenti, a noi associazioni di pazienti e/o comunità colpite dall’infezione interessa che Lei, attraverso i suoi uffici e agenzie di diretta competenza che ben conoscono la questione, si faccia promotrice di trovare una soluzione.

Con circa 4000 nuove infezioni da HIV l’anno diagnosticate, solo politiche di prevenzione mirate e l’introduzione di nuove strategie di provata efficacia scientifica, ampiamente disponibili sul territorio e accessibili alle cittadine e ai cittadini italiani, possono essere la chiave per invertire un trend costante e abbassare drasticamente questi numeri.

 

RingraziandoLa
F.to I Presidenti

ARCIGAY – Flavio Romani
LILA – Massimo Oldrini
NADIR – Filippo Schloesser
CIRCOLO “MARIO MIELI” – Mario Colamarino
PLUS – Sandro Mattioli

 

Lettera alla ministra Lorenzin

In occasione del 1° dicembre, Giornata mondiale della lotta all’Hiv-Aids, Plus Onlus lancia una nuova campagna. La prima in Italia ad assegnare pari dignità e pari validità, nell’ambito della prevenzione, a tre diversi strumenti: il preservativo, la TasP e la PrEP. Non a caso, lo slogan è proprio #fallocomevuoi. La scelta c’è, sta alla persona individuare la strategia che preferisce.

Al preservativo, che non ha certo bisogno di presentazioni e funge da argine contro un’ampia gamma di infezioni sessualmente trasmissibili compresa l’hiv, si affiancano altri due sistemi la cui validità nella prevenzione del virus dell’immunodeficienza umana è ormai scientificamente provata:

• la TasP, cioè il trattamento come prevenzione già affrontato dalla campagna Positivo ma non infettivo che Plus ha ideato in occasione del Gay Pride 2015. Una persona sieropositiva “undetectable” da almeno sei mesi e che prende regolarmente la terapia antiretrovirale secondo le indicazioni del medico è da considerarsi non contagiosa. Undetectable significa con viremia non rilevabile, ovvero con una quantità di hiv nel sangue così bassa da risultare trascurabile.

• la PrEP, profilassi pre-esposizione con due principi attivi: il tenofovir disoproxil fumarato e l’emtricitabina. Studi come PROUD e Ipergay hanno dimostrato come l’assunzione della PrEP impedisce al virus dell’hiv di fare breccia. La PrEP è stata di recente approvata in ambito UE, ma tocca ai singoli Stati, di concerto con Gilead, regolarne l’introduzione e l’eventuale rimborso.

Con #fallocomevuoi, Plus dice chiaro e tondo che la prevenzione ha molte facce. E auspica anche in Italia una mobilitazione che parta dalla comunità LGBT – e in particolare gay e MSM, i gruppi più colpiti – per chiedere a gran voce l’approvazione della PrEP, affinché sia accessibile per tutti coloro che ne hanno bisogno.

#fallocomevuoi

Articolo di Benjamin Ryan

di Benjamin Ryan

Nell’estate del 2016, due studi di ampia portata hanno scoperto quanto segue: nessun partecipante sieropositivo ha trasmesso il virus al proprio partner sieronegativo in presenza di viremia soppressa (non rilevabile), malgrado rapporti sessuali in massima parte senza preservativo. Abbiamo quindi la garanzia che i sieropositivi undetectable non sono contagiosi?

Una recente meta-analisi di vari studi ha scoperto che i maschi che fanno sesso con altri maschi (i cosiddetti MSM) in PrEP (la profilassi pre-esposizione) hanno un tasso molto elevato di infezioni sessualmente trasmissibili rispetto agli altri MSM. Significa forse che prendere la PrEP agevola l’acquisizione di gonorrea, clamidia & co.?

La corretta interpretazione di queste ricerche – quali conclusioni trarre, quali evitare – dipende dalla comprensione di determinati principi della letteratura scientifica. Non bisogna avere un dottorato per arrivarci, ma quando ci si trova di fronte a certe notizie può essere utile ricorrere a un paio di concetti chiave, scientifici e matematici. Eccoli qua.

TasP - articolo di Benjamin Ryan

L’intervallo di confidenza

Forse vi è arrivato alle orecchie il motto lanciato dalla Prevention Access Campaign (PAC), «Undetectable = Uninfectious». Lo slogan si basa sull’assenza di trasmissioni di hiv rilevata nel corso dello studio HPTN 052 e nello studio PARTNER, tuttora in corso. Nessun partecipante sieropositivo con carica virale non rilevabile ha trasmesso al partner sieronegativo. Nel caso dello studio PARTNER, parliamo di 22.000 rapporti sessuali tra MSM e 36.000 rapporti sessuali etero.

Si tratta di un bel po’ di sesso senza preservativo in assenza di trasmissioni. Ciò detto, i ricercatori non saranno mai in condizione di affermare con assoluta certezza che chi è undetectable non è infettivo. Per capire il perché, bisogna prendere in considerazione un concetto importante in ambito statistico noto come l’intervallo di confidenza.

Quando gli autori degli studi scientifici pubblicano le stime relative a un determinato esito – in questo caso il tasso stimato di trasmissioni di hiv nel corso del tempo in presenza di viremia non rilevabile – forniscono anche un intervallo di confidenza. Questo significa che basandosi sui dati a disposizione, gli autori dello studio sono sicuri al 95% che l’esito definitivo si trova all’interno di un certo intervallo. Più dati hanno, più possono restringere l’intervallo di confidenza della loro stima.

Un intervallo di confidenza si può solo restringere, non eliminare. La sua persistenza, categorica conferma dell’inamovibile natura dell’incertezza, sta a significare che qualsiasi affermazione scientifica circa il rischio di trasmettere hiv anche in presenza di un virus soppresso si accompagnerà sempre a un briciolo di dubbio. I ricercatori possono solo consolidare la loro certezza nella stima del rischio.

Mettiamola così: in ambito scientifico non esistono garanzie al 100%, né c’è modo di dimostrare il contrario. Anche se i partecipanti allo studio PARTNER avessero centomila miliardi di rapporti sessuali in presenza di viremia soppressa e con zero trasmissioni, c’è sempre la possibilità che essa scatti in occasione del prossimo. Gli autori dello studio PARTNER possiedono già abbastanza dati per stimare che il rischio di trasmissione quando la viremia non è rilevabile è, davvero, zero. Ma i loro intervalli di confidenza per i vari tipi di atto sessuale sono molto diversi, in quanto si basano sui dati raccolti finora.

Dando un’occhiata a tutti i possibili tipi di sesso penetrativo con una persona sieropositiva undetectable, l’intervallo di confidenza degli studiosi ci dice che se seguissimo 10.000 coppie per un anno, il virus verrebbe trasmesso tra le 0 e le 30 volte. Dato che lo studio dispone di meno dati per gli MSM, l’intervallo di confidenza per quanto riguarda il rischio di trasmissione nel sesso anale con eiaculazione e partner hiv+ attivo oscilla attualmente tra 0 e 270.

Col procedere dello studio PARTNER, questi intervalli di confidenza sono destinati a rimpicciolirsi. E col tempo, almeno finché non si registreranno trasmissioni, la scienza potrà dire con sempre maggiore certezza che il rischio di passare il virus è così minuscolo da essere trascurabile.

PrEP - Articolo di Benjamin RyanCorrelazione vs. causalità, ovvero perché è così difficile determinare se la PrEP è responsabile dell’aumento delle IST

Può essere molto difficile, per gli studi scientifici, anche solo avvicinarsi all’obiettivo di dimostrare che un determinato fattore provoca un determinato esito. In una recente meta-analisi che mette a confronto il tasso di infezioni sessualmente trasmissibili tra MSM partecipanti a studi sulla PrEP e quello degli MSM coinvolti in altri studi, i ricercatori hanno scoperto che per i maschi in PrEP è 25 volte più probabile ricevere una diagnosi di gonorrea, 11 volte più probabile riceverne una di clamidia e 45 volte più probabile essere diagnosticati con la sifilide.

Quello che l’articolo non può dire con certezza è se andare in PrEP o partecipare a uno studio sulla PrEP faccia sì che gli uomini contraggano un maggior numero di IST. L’unica cosa acclarata è questa associazione, questo link, questa correlazione tra uso della PrEP e alti tassi di infezioni sessualmente trasmissibili. In altre parole: chi prende la PrEP tende a contrarre IST. O, detto con maggiore accuratezza, chi partecipa a studi sulla PrEP registra alti tassi di infezioni sessualmente trasmissibili. Tuttavia, un numero indefinito di cosiddetti fattori di confondimento può aver contribuito a questo alto tasso di infezioni che interessa i partecipanti agli studi sulla PrEP.

È più che comprensibile che un gruppo di MSM in PrEP tenda a contrarre un sacco di IST, visto che sono proprio i comportamenti sessuali ad alto rischio a far sì che una persona sia adatta a entrare in uno studio del genere – comportamenti che agevolano la presenza di gonorrea, clamidia o sifilide. E la buona notizia è che i maschi che rischiano di più sono anche i più interessati alla PrEP: quindi, se tutto va bene, la loro assunzione di Truvada dovrebbe concorrere al calo delle nuove infezioni.

Spesso, gli autori delle ricerche tendono a correggere o controllare i dati per tenere conto dei fattori di confondimento e dare un senso più netto di causa ed effetto, o almeno suggerire che una variabile possa aiutare a predirne un’altra – ad esempio l’obesità come fattore predittivo dell’infarto. Controllare questi fattori può aiutare gli studiosi a individuare con maggiore chiarezza il loro ruolo nell’esito che stanno esaminando.

Gli autori dell’articolo sulla PrEP non hanno modificato il tasso di IST per dare conto di qualche fattore confondente. Non hanno teorizzato che la differenza tra i tassi di infezione tra gli MSM in PrEP e quelli degli altri studi possa in parte essere funzione del fatto che per partecipare agli studi sulla PrEP bisogna essere propensi a rapporti rischiosi. La loro analisi non è stata strutturata per esaminare i cambiamenti nel tasso delle IST nel corso del tempo o per individuare le potenziali cause di tali tassi.

Se uno studio volesse capire se andare in PrEP cambia il tasso di IST, dovrebbe prima fotografare il tasso prima di assumere il Truvada e poi monitorare come cambia nel tempo. Anche in tal caso, lo studio non potrebbe dire se il tasso di IST avrebbe comunque seguito una traiettoria analoga anche senza introdurre la PrEP. I ricercatori avrebbero bisogno di un gruppo di confronto composto da persone simili, non in PrEP, in modo da seguire l’andamento delle IST nel corso del tempo.

Ma se i membri di questo gruppo di controllo non vengono selezionati a caso, ecco che il paragone rischia di introdurre variabili disorientanti. Le differenze nei comportamenti sessuali che influenzano le scelte di quegli MSM che hanno deciso di propria sponte di andare in PrEP o di partecipare a uno studio sulla PrEP, rispetto a quelli di coloro che hanno scelto di non farlo, potrebbero viziare i risultati di un confronto tra i due gruppi.

Lo studio PROUD con la PrEP, centrato su MSM con comportamenti ad alto rischio in Inghilterra, ha istituito sul serio un gruppo di confronto – allo scopo di determinare quanto la PrEP riesce a prevenire le nuove infezioni – facendo sì che una porzione dei partecipanti ricevesse il Truvada in un secondo momento. In questo modo tutti i partecipanti sono entrati nello studio alle medesime condizioni, ma ad alcuni di essi, scelti a caso, la PrEP è stata somministrata più tardi. Effettuato un confronto tra i tassi di IST dei partecipanti in PrEP e quelli in attesa di prenderla – tassi in entrambi i casi molto elevati – i ricercatori non hanno individuato alcuna correlazione tra l’inizio della PrEP e un aumento delle infezioni.

Altri studi sulla PrEP non hanno tendenzialmente riscontrato alcun cambiamento nel tasso di IST tra i partecipanti nel corso del tempo. Tuttavia, uno studio basato su una somministrazione della PrEP non giornaliera ha registrato un calo nell’uso del preservativo appena i partecipanti sono passati dalla fase placebo a quella open label, in cui sapevano cosa stavano prendendo. Questa è, finora, la prova scientifica più solida di come, almeno tra gli MSM, andare in PrEP coincida davvero con un aumento dei comportamenti sessuali a rischio, un fenomeno che può essere definito compensazione del rischio o, in parole povere, disinibizione.

Articolo originale (pubblicato su POZ il 4 novembre 2016)

Traduzione di Simone Buttazzi

glasgow-2016Plus Onlus è stata presente anche alla edizione 2016 della HIV Drug Therapy di Glasgow, una conferenza interessante e molto partecipata, come sempre del resto.
In effetti oltre 2000 partecipanti si notano, ma, al di la di questo, i contenuti esposti la confermano come una delle più importanti conferenze al mondo.
Durante la sessione inaugurale, Anthony Fauci, uno dei massimi esperti di HIV con la fortuna di saper esporre pressoché ogni tema legato all’argomento con estrema facilità, ha arringato la folla con il suo “Follow the science” indicando come sia solo restando sull’evidenza scientifica che è possibile sconfiggere HIV anche grazie agli strumenti che già abbiamo.
Sembra una ovvietà ma non è affatto così. Consideriamo quanto stigma, discriminazione, criminalizzazione e altre follie degenerative del cervello di pochi ossessionati possono condizionare la diffusione di HIV, pur non avendo nulla a che vedere con l’evidenza scientifica.
Inizia da lontano la lettura di Fauci, dal 1981 quando il MMWR (Morbidity and Mortality Weekly Report), riportò i primi casi di PCP e Sarcoma di Kaposi a Los Angeles e New York. Oggi i dati al 2015 della pandemia, sono di quelli fanno tremare le gambe:
• 36,7 milioni di persone che vivono con HIV,
• 1.1 milioni di morti,
• 2.1 milioni di nuove infezioni (fonte UNaids).
Tuttavia, mentre l’aspettativa di vita nel 1980 mediamente non superava i 12 anni senza la ART, oggi, grazie ai trattamenti efficaci, in media abbiamo una aspettativa di vita di 53 anni addizionali. Oggi è ormai acclarato che l’offerta della terapia come prevenzione aggiuntiva è utile a concedere meno spazio all’epidemia, tuttavia è evidente che per mettere in trattamento i diversi milioni di persone con HIV nel mondo occorrono volontà politiche, prima ancora dei fondi necessari (che qualcuno più avanti dimostrerà essere meno di quel che si crede). In caso di esito positivo al test la cosiddetta retention in care è un tema che affligge molti paesi. Sicuramente gli USA che perdono numeri impressionanti di pazienti fra la diagnosi e l’inizio del trattamento, lo è anche per l’Italia anche se, per una volta, il nostro paese riesce a fare molto meglio della grande potenza.
Il tema della continuità del trattamento è direttamente proporzionale alla possibilità di avvicinarci all’obiettivo 90-90-90 proposto al mondo da UNaids (90% delle persone con HIV diagnosticate, 90% in trattamento, 90% a viremia soppressa). È un obiettivo molto ambizioso e la data limite del 2020 lo pone nella sfera delle idee irrealizzabili, tuttavia anche solo avvicinarsi in modo consistente alla meta, comporterebbe una grossa “botta” all’epidemia. Infatti, come è ormai largamente faucidimostrato, la soppressione virale comporta una possibilità di contagio talmente remota da poter dire zero, ma è ovvio che la carica virale va mantenuta abbattuta, che il paziente deve essere aderente e deve essere controllato da un sistema sanitario in grado di funzionare. Il che è maggiormente vero oggi che i pazienti HIV+ invecchiano, si trovano ad affrontare le co-morbidità tipiche dell’età che avanza a fronte di un sistema sanitario sempre più a corto di fondi, nella sensazione generale che HIV non sia più un’emergenza.
Attenzione: HIV ci mette pochissimo a tornare ad essere un’emergenza.
Vorrei anche chiarire che se l’obiettivo è ambizioso non è irrealizzabile. Secondo quanto riportato da HIV Medicine il 18 agosto 2016, la Svezia è il prima stato che dichiara di aver raggiunto quanto disposto da UNaids.
Ma non è tutto qui. Anthony Fauci ci ricorda che anche in caso di esito negativo non ce la caviamo con un ok tutto bene arrivederci, e propone il “Prevention Contiuum” ossia l’offerta di tools che facciano si che la persona con esito negativo resti tale. Fauci parla di counselling, di “Combination HIV Prevention”. È una gioia ascoltarlo e vorrei che molti compagni di viaggio (e che si fanno dei bei viaggi) italiani lo potessero ascoltare, è una gioia annotare che il BLQ Checkpoint sta già facendo pressoché tutto ciò che il professore cita.
Tornato alla terapia, Fauci cita alcuni fra i principali studi, ultimo quello pubblicato su JAMA lo scorso luglio, che lo portano a dire che ad oggi non ci sono casi documentati di trasmissione in coppie siero-discordanti dove il partener HIV+ è a viremia soppressa e lo fa citando i 58.000 atti sessuali dello studio, chiudendo così l’argomento.
prepTuttavia, non pago, ne apre immediatamente un altro: la PrEP. E va immediatamente alla best practice di San Francisco dove, grazie alla PrEP offerta a 1200 persone, in un anno mezzo hanno azzerato le nuove diagnosi fra gli arruolati nel programma. Mentre si sono registrate 82 nuove diagnosi fra chi non era nel programma (fonte AIDS 2016 abstract FRAE0104).
Con un eloquente gesto teso a dire spero che questo sia un messaggio chiaro a tutti, Fauci passa al futuro, prossimo per altro, e ci descrive gli studi sui farmaci a lento rilascio per poi passare alle sfide vere per il futuro che indirizza verso che quella che chiama HIV Persistence: la cura. Chiarisce subito che la cura classica, l’eradicazione, non è, qui e ora, nelle nostre possibilità ma è possibile giungere a controllare il rebound virologico grazie ad anticorpi specifici (cita un suo studio su animali pubblicato su Science il 13 ottobre, secondo il quale una breve terapia ARV con l’aggiunta di anticorpi particolari, porta ad un prolungato controllo della viremia a fronte della sospensione della terapia)… insomma ci spazi per la speranza. Ma non si ferma qua e dice al sua anche sul tema vaccino.
Fauci presenta due strade per un vaccino: quella tradizionale (approccio empirico o induttivo) che riproduce una infezione naturale e porta alla riorganizzazione del sistema immunitario che ci attrezza per combattere e vincere il contagio. Ci abbiamo già provato, infatti Fauci cita il noto studio realizzato in Thailandia con i fondi del ministero della difesa USA (risultati pubblicati su New England Journal of Medicine nel 2009), ci riprova l’NIH con uno studio che sta per iniziare in Sud Africa che prevede l’utilizzo di anticorpi monoclonali.
Studi interessanti ma anche necessari perché Fauci ci fa notare che si, è vero che il trattamento anticorpiARV è utile per la lotta contro HIV e per la sua prevenzione, ma costa molto. Il costo dei trattamenti per HIV, unitamente a quelli per HCV e il cancro, hanno portato pesanti dissesti in più un sistema sanitario nei paesi del primo mondo e Fauci sembra voler offrire una soluzione da temporeggiatore mostrando una tabella relativa ai farmaci generici per HIV, già utilizzabili per molti principi attivi e parecchi altri brevetti stanno per scadere. In effetti un accesso diffuso ai generici potrebbe garantire un utilizzo del trattamento ARV su larga scala, ma Fauci denuncia l’over-charging sui farmaci e chiede trasparenza sui prezzi come già ha fatto l’OMS. Ma Fauci va anche oltre, arrivando a ipotizzare i buyers club laddove i prezzi dei farmaci non dovessero consentire il trattamento diffuso e fa un preciso riferimento a Gilead, ai 10 miliardi di dollari di tasse che avrebbe aggirato e al costo dei farmaci per HCV.
È doveroso segnalare che durante un panel discussion, la prof. Mussini, direttrice della Clinica

Prof.ssa Mussini
prof. Mussini, direttrice della Clinica Malattie Infettive del Policlinico di Modena, ha citato il BLQ Checkpoint come best practice italiana nell’ambito delle nuove strategie per incrementare i test e limitare il numero delle diagnosi tardive

Malattie Infettive del Policlinico di Modena, ha citato il BLQ Checkpoint come best practice italiana nell’ambito delle nuove strategie per incrementare i test e limitare il numero delle diagnosi tardive. Un riconoscimento pubblico in una grande conferenza internazionale che è stato molto gradito.
Jens Lundgren ha tenuto una lettura sui dati scientifici a sostegno dell’inizio immediato della terapia in tutte le persone che ricevono la diagnosi di HIV. Lundgren è tra i ricercatori che ha condotto negli anni passati lo studio START, un grande studio in tutto il mondo per stabilire il rapporto tra rischi e benefici dell’inizio immediato della terapia. Ci sono voluti più di quattro anni per arruolare le oltre 4.500 persone che hanno preso parte allo studio, anni in cui tante discussioni sono state fatte su questo tema, anche dubitando che ci fosse la necessità di questo studio. Alla fine lo studio si è svolto in 215 centri di 35 paesi. Per prendere parte allo studio le persone dovevano avere una conta dei CD4 di almeno 500 cellule. Lo studio doveva continuare con i due gruppi – uno che iniziava la terapia subito e l’altro che aspettava fino a che i CD4 scendevano sotto la soglia di 350 considerata di riferimento allora dalla maggior parte delle linee guida per l’inizio della terapia – fino alla fine di quest’anno ma a metà 2015 il comitato che analizza i dati ha deciso di offrire la terapia a tutti perché era già evidente che in questo modo si evitano molti problemi di salute. Infatti ci sono state sensibilmente meno persone morte o che hanno sviluppato delle malattie gravi nel gruppo che ha iniziato la terapia subito rispetto a quelle nel gruppo che ha atteso il declino dei CD4. Anche la qualità della vita è migliorata nei primi due anni nelle persone che hanno iniziato la terapia subito. Una delle slide mostra come il rischio di sviluppare malattie collegate all’infezione da HIV cresce notevolmente nel gruppo che aspetta ad iniziare la terapia, ma non è nullo nemmeno nel gruppo che la inizia subito; questo indica che HIV è capace di fare danni anche in presenza di terapia almeno in alcune persone. Anche il rischio di lundgrenavere un tumore si riduce di circa il 60% se si comincia la terapia subito. Il rischio di malattie cardiovascolari invece non diminuisce significativamente. È stato fatto anche un sottostudio per valutare la elasticità delle arterie ma non si sono viste differenze grosse tra i due gruppi. Un altro sottostudio ha guardato la funzione polmonare: la differenza si vede tra chi fuma e chi non fuma, ma non tra chi inizia la terapia subito e chi aspetta. Infine hanno guardato anche se c’erano differenze per le funzioni neurologiche: nessuna differenza in questo caso, l’unica cosa che si vede è che le persone imparano a fare i test neuropsicologici sempre meglio nel corso del tempo. Adesso che lo studio è finito, i ricercatori possono vedere se c’è un qualsiasi aumentato problema di salute dovuto al fatto di fare la terapia per un tempo più lungo. Ovviamente ci sarebbe bisogno di seguire le persone per più tempo, ma in questi anni di studio non si è visto niente che possa far pensare a un danno di questo tipo. Una delle riflessioni finali è che la terapia precoce non elimina del tutto i problemi legati all’infezione da HIV, c’è quindi bisogno di nuove strategie per risolvere questo problema.
Fra i molti poster presentati, diversi sull’utilizzo dei farmaci ARV come prevenzione, interessante il lavoro di 56 Dean Street sulla percezione del rischio negli MsM in PrEP.
56-dean-strQuasi l’80% in daily PrEP e una minoranza ha scelto di assumerla secondo necessità. I risultati sono stati ottenuti sottoponendo un questionario anonimo a oltre 100 MsM nel quale veniva chiesto da quanto tempo fossero in PrEP, se e come fosse cambiata l’attività sessuale e la scelta dei partner, oltre a come percepiscono il rischio di prendere una IST.
Dal questionario è emerso un incremento nei rapporti condomless negli utenti in PrEP da più di 4 mesi, rispetto a coloro che aveva iniziato da poco l’assunzione. Inoltre dallo studio emerge che i partecipanti fossero molto più rilassati di un tempo rispetto alla possibilità di prendere HIV, ma più preoccupati di prendere una IST.
È importante che protocolli sulla PrEP vengano inseriti screening sulle IST e interventi di riduzione del rischio.
Ragionamento supportato anche da un altro studio dell’Università di Montreal sull’incremento di Chlamydia dopo la prescrizione della profilassi pre esposizione.
Sempre sulla PrEP è stato interessante notare come sia stata inserita nelle sessioni dedicate ai case studies. Il prof. Molina, padre della PrEP francese, ha portato sia il caso di una donna eterosessuale sposata ad un uomo con HIV che voleva avere figli e per via naturale, sia il caso di Mr B, un uomo gay di 30 anni in coppia con un partner HIV- con il quale fa sesso condomless, ma che con gli altri partner occasionali non ha un uso consistente di condom nei rapporti anali. Mr B è HIV-, HBV e HCV negativo, ha sentito che esiste una profilassi e chiede un supporto medico. Interessante notare come anche fra i sanitari del panel di discussione, l’atteggiamento non era più lo stesso e la differenza fra la donna che voleva un figlio e il ragazzo che faceva sesso in giro. Un medico avrebbe segnatamente consigliato di essere fedele al compagno e fine li. La platea, che poteva votare, consigliava di usare sia la Prep che il condom.
Le conclusioni di Molina sono da manuale: le persone a rischio elevato di contagio, devono riceve in via prioritaria interventi, quali counselling vis a vis, sulla riduzione del rischio e PrEP.
In caso di avvio della profilassi, è necessario eseguire test Ab-Ag al momento, dopo il primo mese e successivamente ogni tre mesi.
La PrEP, secondo Molina, deve essere parte integrata delle strategie di riduzione del rischio.
Un serie di presentazioni hanno cercato di valutare come raggiungere più rapidamente l’obiettivo 90-90-90. Si è parlato di barriere al test e, invece di distruggerle si pensa al test a casa, così come al home kit per la PrEP da un lato, mentre dall’altro il recupero delle raccomandazioni dell’OMS che prevedono per i sieropositivi una visita ogni 3-6 mesi e il ritiro dei farmaci ogni 3-6 mesi. Chissà se qualche centro clinico le ha mai lette.

Alla conferenza sono presenti numerosi espositori e booth di associazioni. È sempre molto interessante gironzolare e scoprire cosa fanno gli altri, specie se “gli altri” sono il THT che si è gorgoniinventato un simpatico pieghevole “gratta e vinci” per valutare se è ora di fare il test oppure no. Poi uno si volta e dallo stand di Gilead compare il viso di Simone Marcotullio di Nadir e subito sotto Paolo Gorgoni della nostra associazione, entrambi testimonial della campagna “Beyond HIV” alla quale numerose associazioni hanno dato un contributo.

L’ultima plenaria è stata interamente dedicata alla PrEP. Uno sguardo al passato, dove siamo arrivati ora, i follow up in corso, le possibilità per il futuro. Chiunque sia minimamente avvezzo alle conferenze avrà già capito che questo significa che PrEP ha piena titolarità nelle conferenze scientifiche.
Ma andiamo con ordine e, a proposito di ordine, ricordiamo che la PrEP è raccomandata con forza dall’OMS nelle sue linee guida. Raccomandata per chi? ECDC, European Center fo Disease Control, ci spiega che in Europa l’epidemia sta crescendo pressoché solo fra gli MsM. L’ECDC prende atto ecdcche le politiche di prevenzione rivolte a questa popolazione sono miseramente fallite e che la PrEP deve essere indirizzata verso questo gruppo in primis.
Valentina Cambiano, ricercatrice presso University College London, nella sua bella relazione sulla costo-efficacia della PrEP nel cosiddetto “primo mondo”, cita ben 15 studi sui costi della profilassi nei paesi ad alto reddito e le sue conclusioni sono molto più restrittive: allo stato dei fatti, la PrEP è costo-efficace non per tutti gli MsM, solo per coloro che sono effettivamente ad alto rischio. E qui entra in gioco il ruolo del counselling, possibilmente peer counselling e possibilmente da non confondersi con la relazione medico-paziente. Ossia l’associazionismo e in ruolo fondamentale che può e deve svolgere nella diffusione della PrEP.
Non paga la Cambiano si addentra nel tema citando due modelli indipendenti realizzati in Olanda e UK. Per comodità cito solo quello espresso in euro, dal quale emerge che il costo annuo di una persone in PrEP (monitoraggio incluso) è 7400€ in caso di assunzione giornaliera, 3850€ se assunzione on demand; il costo medio di un paziente in trattamento sta fra i 12400€ e i 13500€. Non mi sembra occorra un genio per notare la differenza tanto è vero che la Cambiano ipotizza addirittura che la PrEP possa essere cost-saving in qualche caso.
Tuttavia non è facile capire chi è eleggibile per essere inserito in un programma PrEP, ci viene in aiuto il prof. Molina di Parigi secondo il quale si devono selezionare persone:
• Adulte >18 anni
• HIV negativi al basale, meglio se dimostrato con un test combo
• Senza segni di infezione primaria da HIV
• Senza recenti esposizioni al rischi (almeno 4 settimane)
• Alto rischio di contagio
Di più: Molina chiarisce anche cosa significa per lui alto rischio per il gruppo MsM
• Sesso anale condomless con più di 2 differenti partner negli ultimi 6 mesi;
• IST diagnosticata negli ultimi 12 mesi (sifilide, gonorrea, chlamydia, HBV, HCV, ecc.)
• PEP (profilassi post esposizione) multiple negli ultimi 12 mesi;
• Uso di droghe durante i rapporti sessuali (cocaina, GHB, MDMA, ecc.)

Sempre secondo Molina, alcune persone non possono essere inserite in un programma di PrEP:
• Persone sieropositive o siero-ignote;
• Persone con segni di infezione primaria da HIV;
• Creatinina • Persone con HBV cronica se PrEP on demand;
• Ipersensibilità al TDF o FTC o agli eccipienti

Le dosi proposte, come è ormai noto, sono una pillola al giorno oppure on demand ma solo per gli MsM (causa assenza di dati su altri gruppi).
Le persone che si sottopongono a PrEP, dovrebbero sottoporsi a una visita al basale, dopo il 1° mese e poi ogni 3 mesi. Devono anche essere eseguite analisi e test quali HIV, HBV, HCV, IST e prep-attivisticreatinina da ripetere dopo il 1° mese e ogni 3 mesi per quanto riguarda HIV, almeno una volta all’anno per le altre IST.
Ma Molina è il padre della PrEP in Francia dove la profilassi è già disponibile. Che succede nel resto dell’Europa? Ci si arrangia con internet, interPrEP, ossia, chi può, compra farmaci generici online. Un gruppo di ricercatori britannici ha effettuato un monitoraggio dei prodotti che circolano online, per evitare che i farmaci per la PrEP avessero la stessa sorte del Viagra con la vendita online. Per farlo ha chiesto la collaborazione di un gruppo di persone che fanno capo ai servizi e che hanno asserito di comprare i farmaci in internet. A tali persone sono stati fatti prelievi per monitorare il livello di farmaco nel sangue e vedere se fosse effettivamente sufficiente a ottenere una copertura. I risultati dello studio sono confortanti: non ci sono segni di farmaci falsificati, i siti online si sono dimostrati genuini. Ma è stato evidente che il Truvada brand non è acquistabile da tutti, così come, del resto, il generico è una spesa che molti posso affrontare ma non tutti. In Europa, i generici saranno disponibili con ogni probabilità dal 2017.
Come sempre, noi italiani arriveremo a prendere delle decisioni sulla base di studi effettuati da altri, in altri territori e su gruppi probabilmente non sovrapponibili ai nostri, senza avere idee chiare sull’impatto nella clinica, senza sapere come e chi effettuerà la distribuzione, il tutto in un sistema sanitario sottoposto a tagli lineari e con budget sempre più ridotti. È facile ipotizzare che la vita della PrEP italiana non sarà semplice, dovrà imparare a sopravvivere fra medici ignoranti gli effetti della profilassi, la community impreparata ed altrettanto ignorante, la possibilità concreta di ulteriori discriminazioni nella community rispetto a chi scegli PrEP come gli USA hanno ampiamente dimostrato (cfr truvada whore).

Sandro Mattioli
Plus Onlus
Presidente

La partecipazione di Plus Onlus alla HIV Drug Therapy 2016 è stata resa possibile grazie a un contributo non condizionato di ViiV Healthcare.